Dubai, ecco l'isola a forma di palma

Le Palm Islands sono tre isole artificiali, Palma Jumeirah, Palma Jebel Ali e Palma Deira, antistanti Dubai, negli Emirati Arabi Uniti.

Il Pantheon della Roma antica

All'inizio del VII secolo il Pantheon è stato convertito in basilica cristiana, chiamata Santa Maria della Rotonda.

Casa Batllò, Barcellona

Considerata una delle opere più originali del celebre architetto catalano Antoni Gaudí , l'edificio è stato dichiarato, nel 2005, patrimonio dell'umanità dell'UNESCO.

Giza e le sue Piramidi

Giza deve la sua importanza al fatto di ospitare, su un pianoro roccioso che si trova alla periferia della città, una delle più importanti necropoli dell'antico Egitto.

I trulli pugliesi

I Trulli di Alberobello sono stati dichiarati Patrimonio mondiale dell'umanità dall'UNESCO.

Villa Adriana, Tivoli

Costruita a partire dal 117 d.C. dall’imperatore Adriano, è la più importante e complessa Villa a noi rimasta dell’antichità romana.

Mediateque di Toyo Ito, Sendai

Toyo Ito: quando la comunicazione è come la luce.

venerdì 18 luglio 2014

Mario Botta, Centro wellness Bergoase

Arosa offre una straordinaria configurazione geografica del bacino naturale, circondato da montagne.  La copertura degli spazi ipogei diventa una fase segnata da presenze vegetali geometriche che suscitare la curiosità del visitatore.
Mario-Botta-Wellness-centre-Tschuggen-Bergoase- 12Questo particolare contesto quindi ci ha suggerito una soluzione intrigante di impatto visivo e, soprattutto, di grande rispetto per il villaggio circostante. Il grande volume scompare nella terra; emergono solo i vegetali e, allo stesso tempo, meccanici "alberi di luce", segnando il carattere collettivo e ricreativo della struttura.
Mario Botta Architetto-Wellness centre 'Tschuggen Bergoase'Lo spazio interno appare come un continuum a schiera con la pendenza al fine di limitare le opere di scavo. A seguito di indicazioni del cliente, il design modulare consente la massima flessibilità nell'organizzazione delle diverse funzioni.
Le diverse aree della "Berg Oase" sono caratterizzate dalla loro interrelazione e privilegiato rapporto con l'ambiente attraverso gli alberi tecnologici che garantiscono l'illuminazione naturale, una straordinaria vista verso il paesaggio e, di notte, sono i segni della vita interna del resort che, attraverso l'illuminazione artificiale, guadagna una magica atmosfera.
Lo spazio interno è diviso in quattro livelli e sauna esterna, del solarium e piscina sono raggiungibili direttamente da piscine e impostato su un terrazzamento attraente, immerso nella natura
La nuova struttura è accessibile attraverso una passerella di vetro ("promenade architecturale"), dall'hotel esistenti nonché a partire dal livello di ingresso dell'Hotel. Il nuovo edificio, oltre lo spazio"non costruito" degli "alberi", risolve il rapporto con l'hotel esistente ed il terreno attraverso un grande muro in pietra naturale. Lo spazio pubblico esterno pertanto è riprogettato al fine di creare un'atmosfera accogliente e per risolvere il problema parcheggi così discretamente integrato nel piano.

Renzo Piano, Jean-Marie Tjibaou in Nuova Caledonia

Il Centro è stato intitolato a Jean-Marie Tjibaou, leader indipendentista kanak assassinato nel 1989. I Kanak sono una etnia diffusa nel Pacifico, in particolare in Nuova Caledonia, dove costituiscono il 41% circa della popolazione totale dell'isola. L’isola, capitale Nouméa, è territorio francese avviato verso l’autonomia. Durante le trattative per l’indipenderza le autorità locali chiesero e ottennero dal gover¬no francese il finanziamento di un grande centro culturale dedicato alla cultura Kanak. Per realizzare questo progetto nel 1990 fu indetta una gara internazionale a inviti, che nasceva nell’ambito dei “grands travaux” voluti da François Mitterand. Il centro è stato inaugurato ufficialmente da Lionel Jospin nel 1998. Il sito è situato sulla penisola Tina, appena a est di Nouméa. Un luogo spettacolare, tra il mare aperto e la laguna protetta, con sullo sfondo le montagne e i promontori che si protendono nella baia Magenta. Il concorso aveva un programma molto ampio: commemorare la società tradizionale kanak fornendo, nel contempo, un punto focale all’inevitabile evoluzione della sua cultura. Le attività del centro comprendono mostre, eventi speciali, musica e danza: l’obiettivo è far sì che la cultura kanak, pur modificandosi, non perda contatto con le sue radici storiche. https://itarchiblog.files.wordpress.com/2013/02/renzo-piano-caledonia.jpgLo spirito del Pacifico è effimero: le costruzioni della tradizione Kanak nascono all'unisono con la natura, usando i materiali deperibili che essa offre; perciò la continuità del villaggio nel tempo non è legata alla durata del singolo edificio, ma alla conservazione di uno schema costruttivo. Prendendo le mosse da un legame profondo con la natura tipico di quella civiltà, il progetto ha seguito due grandi linee guida: da una parte evocare la capacità di costruire dei kanak, dall’altra utilizzare, accanto ai materiali tradizionali quali il legno e la pietra, materiali moderni come il vetro, l’alluminio, l’acciaio e tecnologie leggere d’avanguardia. Il Centro non è racchiuso e concluso in un edificio singolo: è un insieme di “case” e spiazzi alberati, di funzioni e percorsi, di pieni e vuoti. Circondato ai tre lati dal mare, il sito è coperto da una fitta vegetazione, in mezzo alla quale si snodano i percorsi pedonali e si sviluppano i “villaggi”: grappoli di costruzioni fortemente legate al contesto, che con la loro presenza a semicerchio definiscono spazi collettivi aperti. Lungo il crinale del promontorio, una passeggiata coperta leggermente arcuata collega le parti del complesso. Gli edifici sono strutture curve simili a capanne, fatte di listelli e centine in legno: gusci dall'apparenza arcaica, all'interno dei quali l'ambiente è dotato di tutte le opportunità offerte dalla tecnologia contemporanea. Questi dieci grandi spazi monotematici si aprono improvvisamente sulla strada interna del Centro offrendo un passaggio da uno spazio compresso a uno spazio espanso e inatteso. Le doghe dei rivestimento esterno sono di larghezze differenti e spaziate in modo disuguale: l'effetto ottico di leggera vibrazione così ottenuto accresce l'affinità con la vegetazione. Il legno scelto è l’iroko: è un legno stabile, resistente all’attacco delle termiti e può essere usato anche sotto forma lamellare. Richiede inoltre poca manutenzione, e nel modo in cui è stato utilizzato evoca le fibre vegetali intrecciate delle costruzioni locali. 
http://www.galinsky.com/buildings/tjibaou/cct-exterior.jpg Pur nella omogeneità del modello base, gli spazi ricavati posso¬no avere un carattere molto differente a seconda delle attività che devono ospitare. Il tetto e le superfici laterali sono trasparenti; i pannelli di vetro sono schermati da lu¬cernari esterni. Grazie alla forte analogia formale con la vegetazione e gli inse¬diamenti tradizionali del luogo, le capanne sono l'elemento che unifica il progetto. Sono anche l'elemento dominante: ben dieci, di tre dimensioni diverse. Le quattro più piccole hanno 8 metri di diametro e sono alte 20 metri. Le tre mediane hanno il diametro di 11 m e sono alte 22. Le tre grandi hanno il diametro di 13.5 m e sono alte 28. Queste costruzioni esprimono la relazione armoniosa con l'am¬biente che caratterizza la cultura Kanak. Il legame non è solo e¬stetico, ma anche funzionale: sfruttando le caratteristiche del cli¬ma della Nuova Caledonia, le capanne sono state dotate di un si¬stema di ventilazione passiva molto efficiente. Ancora una volta è stata realizzata una doppia copertura: l'aria circola liberamente tra due strati di rivestimento in legno lamellare. L’orientamento delle aperture nel guscio esterno è stato studiato per sfruttare gli alisei provenienti dal mare, o per in¬durre le correnti di convezione desiderate. I flussi d'aria vengono regolati mediante lucernari. In condizio¬ni di leggera brezza, questi si aprono per favorire la ventilazione; all'aumentare del vento si chiudono, a partire da quelli più in basso. La soluzione è stata progettata con l’aiuto del computer, e sperimentata nella galleria i vento grazie a modelli in scala. Questo sistema di circolazione dell'aria dà anche “voce” alle ca¬panne.  http://www.generativedesign.com/progettazionegenerativa2003/642638/Matrici1/Tjibaou_m6.JPGTutte insieme fanno un particolare suono; che è quello dei villaggi Kanak. L'accesso al Centro Jean-Marie Tjibaou avviene tramite un per¬corso pedonale snodato lungo la costa, che segna una sorta di cambio di dimensione: parte dal parcheggio, si insinua nel¬la densa vegetazione indigena, porta alle scale che si inerpicano sul promontorio, e giunge infine alla corte di accesso del Centro. Qui si trovano i servizi di accoglienza. Il Centro è organizzato in tre villaggi. Il primo è dedicato alle at¬tività espositive. Nella capanna immediatamente accanto all'in¬gresso, una mostra permanente presenta ai visitatori la cultura Kanak. Più in basso si trovano gli edifici dedicati alla storia del¬la comunità e all'ambiente naturale dell’isola, e poco distante, u¬no spazio per le esposizioni temporanee. In questo villaggio sorge anche un auditorium parzialmente interrato, da quattrocento posti. Sul retro dell’auditorium c'è un anfiteatro per spettacoli all'aperto. Nel secondo villaggio si trovano gli uffici del Centro, dove lavo¬rano gli storici, i ricercatori e i curatori delle mostre. Le capanne di fronte agli uffici ospitano una biblioteca multimediale. Il villaggio al termine della passeggiata, un po' appartato dal flusso dei visitatori, è dedicato alle attività creative e agli uffici amministrativi. Le capanne ospitano studi di danza, pittura, scultura e musica. A lato c'è una scuola, dove i bambini sono introdotti alle forme d'arte locali. Tra il bordo della laguna e la cima del promontorio è stato svilup¬pato un altro percorso, questa volta tematico. Concepito con l'aiu¬to dell’antropologo Alban Bensa, che ha collaborato a questo progetto, viene chiamato il “cammino della storia". La rappresentazione che i Kanak fanno dell’evoluzione umana si avvale di metafore tratte dal mondo naturale: il sentiero riassume i grandi miti sui quali si regge la cultura kanak. È una storia raccontata con le piante e la loro associazione simbolica.

Zaha Hadid, il MAXXI di Roma

http://eliinbar.files.wordpress.com/2012/08/scan_doc0025.jpgIl MAXXI - Museo nazionale delle arti del XXI secolo è un museo di arte contemporanea, è stato progettato dall'architetto Zaha Hadid ed è gestito dall'omonima fondazione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, presieduta da Giovanna Melandri.
Il museo è stato pensato come un luogo pluridisciplinare destinato alla sperimentazione e all’innovazione nel campo delle arti e dell’architettura. Nel MAXXI risiedono due istituzioni museali, il MAXXI arte e il MAXXI architettura, le cui collezioni permanenti sono incrementate sia attraverso l’acquisizione diretta di opere che tramite progetti di committenza, concorsi tematici, premi rivolti alle giovani generazioni, donazioni, affidamenti. Direttore artistico dal 3 settembre 2013 è il critico d'arte Hou Hanru.
Oltre ai due musei il MAXXI ospita un auditorium, una biblioteca e una mediateca specializzate, una libreria, una caffetteria e un bar/ristorante, gallerie per esposizioni temporanee, performance ed iniziative formative. La grande piazza che disegna gli spazi esterni può accogliere opere ed eventi dal vivo. 
http://www.polkadot.it/wp-content/uploads/2010/10/Maxxxi.jpgLa sede del MAXXI è stata progettata dall'architetto Zaha Hadid e si trova nel quartiere Flaminio di Roma. Il complesso architettonico – con i suoi 27 000 m² circa – costituisce un nuovo spazio urbano articolato e “permeabile” al passaggio. Un percorso pedonale esterno segue la sagoma dell'edificio e si apre in una grande piazza che, ripristinando un collegamento urbano interrotto per quasi un secolo dal precedente impianto militare, offre ai visitatori un luogo di sosta.
All'interno una grande hall a tutta altezza conduce ai servizi di accoglienza, alla caffetteria ed alla libreria, all'auditorium e alle gallerie destinate a ospitare a rotazione le collezioni permanenti dei due musei, le mostre e gli eventi culturali.

Nel luglio del 1998 viene bandito dalla Soprintendenza Speciale Arte Contemporanea, su incarico del Ministero per i Beni Culturali, il concorso internazionale di idee per la realizzazione a Roma del nuovo polo nazionale, culturale ed espositivo, dedicato all'arte e all'architettura contemporanee.
http://www.arcspace.com/CropUp/-/media/49570/maxxi_12.jpgLa giuria internazionale è chiamata a valutare 273 candidature, tra cui vengono selezionati i 15 progettisti ammessi alla seconda fase, che nei tre mesi successivi elaborano i progetti di concorso. Intanto, la ricerca di un'area dismessa in una posizione centrale e strategica della città, aveva portato, l'anno precedente, all'individuazione del grande complesso delle officine e dei padiglioni militari della ex caserma Montello al Flaminio, da anni inutilizzato, come luogo deputato ad ospitare il campus.
Le linee di indirizzo del concorso prevedevano di integrare il progetto con il contesto del quartiere Flaminio, di conservare l'edificio che affaccia su via Guido Reni e il grande corpo a due piani al confine con la chiesa parrocchiale, di creare spazi aperti lungo il perimetro del progetto, di porre attenzione all'illuminazione naturale e al controllo ambientale, di creare continuità nella circolazione e nei percorsi.
http://ad009cdnb.archdaily.net/wp-content/uploads/2009/12/1260973109-maxxi-rome-zha-8339-528x351.jpgA fine febbraio 1999 la giuria seleziona il progetto vincitore, realizzato da Zaha Hadid. È un campus multifunzionale che compone e integra diversi spazi articolati e complessi: funzioni museali e laboratori di ricerca, spazi di accoglienza e servizi di supporto al museo, funzioni commerciali e spazi per eventi, percorsi di collegamento interno e strade pedonali di carattere urbano si intrecciano su più livelli in un sistema dinamico e continuo. Gli studi e gli schizzi preliminari denunciano un'attenta lettura del contesto e delle preesistenze, tanto che la giuria sceglie il progetto non solo per la creatività della soluzione architettonica proposta, ma anche per la sua capacità di integrarsi nel tessuto urbano circostante. Nel luglio 1999, viene approvata la legge che istituisce il “Centro per la documentazione e la valorizzazione delle arti contemporanee”, prevedendo al suo interno il Museo delle Arti contemporanee e il Museo dell'architettura, finanziandone la progettazione e la realizzazione, oltre che il funzionamento e l'acquisizione delle prime opere. L'approvazione della legge istitutiva e l'attribuzione dei primi fondi per il funzionamento e la costituzione delle collezioni consente al Centro di divenire immediatamente operativo, avviando le sue prime attività di programmazione culturale ben prima del completamento delle fasi progettuali e dell'avvio dei lavori per la sua realizzazione. Il Centro prende il suo nuovo e definitivo nome: MAXXI, Museo nazionale delle arti del XXI secolo.

http://eliinbar.files.wordpress.com/2012/06/maxxi_rome_zh181109_rh2.jpgConcluso il concorso, le linee guida e le forme iniziali sono coerentemente sviluppate nel corso della progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva, che confermano l'idea di un campus urbano, in cui la tradizionale nozione di edificio si amplia in una dimensione più vasta, che investe tanto lo spazio della città quanto quello interno, a prevalente destinazione museale. L'articolazione funzionale, strutturata in aree con connotazioni precise, percorsi e zone polivalenti e flessibili, prevede sostanzialmente i due musei – MAXXI arte e MAXXI architettura – che ruotano intorno alla grande hall a tutta altezza attraverso la quale si accede ai servizi di accoglienza, alla caffetteria e alla libreria dedicata, ai laboratori didattici, all'auditorium e alle sale per eventi dal vivo e per convegni, alle gallerie dedicate alle esposizioni temporanee e alle collezioni di grafica e fotografia.
Il progetto si confronta con il sistema urbano delle caserme, adottandone il profilo contenuto e orizzontale. La circolazione interna confluisce in quella urbana, sovrapponendo più strati di percorsi intrecciati e di spazi aperti alle condizioni specifiche del luogo. Le complessità delle forme, il variare e l'intrecciarsi delle quote determinano una trama spaziale di grande complessità. L'andamento rigato della copertura contiene una memoria degli shed dei capannoni preesistenti. Il percorso pedonale – che all'interno diverrà museale – attraversa il sito seguendo la sagoma arrotondata del museo e scivolando sotto i volumi in aggetto degli edifici. Il progetto sembra alludere alle stratificazioni storiche e archeologiche della città di Roma che si presentano con la metafora dei layers digitali.
L'idea progettuale sul piano architettonico presenta un segno deciso che predomina negli spazi all'aria aperta, segnati dai volumi in aggetto, e negli ambienti di accoglienza, poi contraddetto dalla spazialità più sobria delle gallerie destinate a ospitare le collezioni dei due musei. Con differenti gradi di permeabilità, flessibilità e trasparenza, le diverse gallerie sono connotate dal controllo delle condizioni ambientali e di luce. Arte, architettura e spazi per eventi dal vivo convivono in una sequenza scenografica di suites caratterizzate da un uso modulato e zenitale della luce naturale. Lo spazio non si identifica esclusivamente in un percorso lineare, ma offre una gamma di scelte alternative per far sì che il visitatore non torni mai sui propri passi, godendo di suggestivi scorci panoramici sull'architettura, le opere e la città. 
https://fotografovolante.files.wordpress.com/2011/02/ra_20111109_07062.jpg
Edificio D
Due volumi dell'ex caserma Montello sono recuperati dal nuovo progetto, diventando parte integrante del campus: l'edificio su strada viene inserito completamente nel corpo principale del museo; l'Edificio D è stato, invece, sede provvisoria dell'attività espositiva e culturale del MAXXI, nell'attesa della costruzione del museo vero e proprio.
Il primo intervento di recupero e adeguamento funzionale, realizzato in tempi brevissimi e basato sul criterio del “minimo intervento”, ha riportato gli ambienti interni alla spazialità originaria, restituendo unitarietà alle due grandi sale. La struttura in ferro a vista, il pavimento in battuto di cemento in cui affiorano i residui della pavimentazione originale in mattonelle di asfalto pressato, la continuità delle finestre lungo i due lati lunghi, conferiscono luminosità e grande respiro agli spazi espositivi. La semplificazione e la neutralità cromatica delle finiture determinano spazi di grande flessibilità che si offrono alle più diverse soluzioni allestitive.
Al termine di una seconda fase dei lavori la palazzina ospiterà spazi articolati destinati a diverse funzioni per accrescere l'offerta del nuovo museo e sottolineare la sua dimensione di campus pluridisciplinare e polifunzionale: la bibliomediateca, il bar-ristorante, la libreria dedicata, gli uffici di direzione e amministrazione.
 Il MAXXI architettura è il primo museo nazionale di architettura presente in Italia. Il suo interesse è centrato tanto sull’architettura “d’autore” quanto su quella cosiddetta “anonima”. Nel museo convivono due anime distinte, quella che procede verso la storicizzazione dell’architettura del XX secolo e quella contemporanea che vuole rispondere agli interrogativi del presente, interpretando le aspettative della società attuale. museo storico e museo contemporaneo, pur possedendo caratteri e prospettive di sviluppo decisamente distinte, determinano una dimensione multipla e trasversale. Il MAXXI architettura si pone come interlocutore delle altre istituzioni culturali italiane del settore (quali la Biennale di Venezia o la Triennale di Milano), nel campo della formazione secondaria e universitaria e della rete dei centri e archivi di architettura. A livello internazionale, il MAXXI architettura aderisce e condivide gli obiettivi dell’ICAM, la Confederazione internazionale dei musei d'architettura.

Le collezioni
Il patrimonio del MAXXI architettura è costituito dalle acquisizioni dirette, ma è anche legato al sistema di gestione di un vero e proprio “patrimonio virtuale”, costituito dalla rete dei musei e degli archivi pubblici e privati presenti in Italia, che permette di estendere a dismisura il patrimonio di riferimento. Mediante intese e accordi specifici – in parte già in atto – è possibile considerare collegati al museo di architettura i fondi conservati presso l’Archivio Centrale dello Stato di Roma, l’Archivio Progetti IUAV di Venezia, l’Accademia nazionale di San Luca.
Oltre agli archivi personali, le collezioni di architettura comprendono gli archivi tematici, che raccolgono i progetti legati a un tema, come per esempio i materiali dei concorsi di progettazione promossi dalla DARC, tra cui quello per la realizzazione della sede del MAXXI e quelli legati alla missione istituzionale di promozione dall’architettura, come quelli destinati ai giovani architetti. Vi è infine una sezione che raccoglie disegni, modelli, schizzi e documenti legati a un progetto o a un singolo tema, e a questo circoscritti, che non possiedono cioè l’organicità presente in misura maggiore o minore in un archivio completo o in una sezione consistente di esso.
Le collezioni speciali raccolgono i prodotti delle attività - mostre, committenze, laboratori – derivanti dai progetti culturali e di ricerca dello stesso museo. Installazioni e progetti site specific concepiti e realizzati appositamente per il MAXXI, con il fine di esplorare i linguaggi e le forme di comunicazione della contemporaneità anche al di là degli strumenti disciplinari. Articolate per settori, le collezioni speciali raccolgono anche prototipi e oggetti di design, manufatti e oggetti significativi di realtà specifiche dell’architettura, come la sperimentazione legata alla costruzione e alla produzione industriale.
Le ricerche promosse dal MAXXI architettura hanno utilizzato la fotografia tanto come mezzo quanto come fine: come mezzo, in quanto strumento per l’indagine del reale, per registrare lo stato del paese nel suo mutevole paesaggio, mettendo a frutto le prerogative proprie del mezzo fotografico: documentare e interpretare per costituire memoria e formare coscienza. Il criterio guida nella scelta dei fotografi cui affidare le indagini è quello di individuare non semplici professionisti ma “autori” riconosciuti per la capacità interpretativa e per la qualità espressiva del loro lavoro. La selezione di autori presenti oggi nelle collezioni del MAXXI architettura non va intesa come esaustiva: è una collezione in fieri, che sarà ampliata con opere di altri autori – emergenti o di fama già consolidata – che compongono il panorama della fotografia d’autore.

La biblioteca
Il progetto di biblioteca è un’operazione già avviata molto prima dell’apertura del museo allo scopo di arricchire il patrimonio bibliografico già a uso esclusivo del personale della PARC. La biblioteca documenta la produzione artistica e architettonica contemporanea italiana e internazionale venendo così incontro alle esigenze degli studiosi, ma soprattutto in stretta connessione con le attività tecnico-scientifiche del museo quali le mostre, le relative attività didattiche e le acquisizioni di opere d’arte e architettura per le collezioni del museo.
Il progetto è stato pensato d’intesa con la Biblioteca della Galleria nazionale d'arte moderna e contemporanea, con la volontà di formare, in futuro, un unico polo scientifico di riferimento, sia a livello nazionale, che internazionale, che operi in stretta interdipendenza. Il patrimonio librario, in costante accrescimento, è costituito da saggi, monografie, cataloghi di mostre, giornali e periodici specializzati, guide di architettura contemporanea, pubblicazioni sul paesaggio contemporaneo, dizionari di architettura contemporanea così come da fondi destinati a opuscoli, CD-Rom e DVD multimediali.
L’accrescimento della collezione, assicurato da una capillare campagna di ricerca finalizzata agli acquisti, è garantito anche dal continuo scambio di pubblicazioni con importanti musei e istituzioni culturali italiane ed estere, e da donazioni da parte di privati, collezionisti, artisti e gallerie. Il rapporto di scambio è stato avviato e curato sin dall’inizio del progetto.
Particolare interesse rivestono i fondi librari sugli artisti, le cui opere sono entrate a far parte della collezione permanente del museo, quelle dedicate alla museologia e alla museografia nonché alla didattica museale. La biblioteca del MAXXI è collegata al Servizio Bibliotecario Nazionale (SBN), nella rete delle biblioteche italiane promossa dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali con la cooperazione delle Regioni e dell’Università, nel Polo dell’Università di Roma "La Sapienza".

La videoteca
Alla base del programma culturale che sottende il progetto di creazione della videoteca del MAXXI, c’è l’intenzione di avvalersi delle energie tecniche e creative, che si vanno raccogliendo intorno al linguaggio del videodocumentario d’arte.
http://moussemagazine.it/blog/wp-content/uploads/2010/06/MaxxiAtaman-9-of-32.jpgIl programma acquisitivo per la videoteca, già avviato con la raccolta di un buon numero di prodotti, è orientato sia all’acquisizione di materiali di provenienza diversa, come archivi privati, produzioni di enti e istituzioni, mercato del video-documentario d’arte; sia alla produzione diretta da parte della PARC e del MAXXI, di video-documentari, su temi e figure, anche storici, legati alle proprie attività o ad altri, di interesse più generale per la ricerca contemporanea.
Per ciò che concerne l’architettura, l’iniziativa della videoteca riconosce e promuove il ruolo crescente dell’immagine filmica nell’ambito della documentazione e della comunicazione dell’architettura, attraverso la raccolta di documenti già esistenti e stimolando la produzione di nuovi contributi. I documentari fino a oggi realizzati rappresentano, nel loro insieme, le prime linee di indirizzo culturale del museo di architettura, nella duplice attenzione per la documentazione storica e per il taglio critico e interpretativo che propongono allo spettatore. I video prodotti dalla DARC per il MAXXI architettura sono Cataloghi della collana OperaDarc sulle mostre del MAXXI. In tal senso, la produzione delle video-interviste agli artisti della collezione già implementata andrà continuata e sviluppata.

Daniel Libenskin, museo ebraico di Berlino

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/a/a9/JewishMuseumBerlinAerial.jpg
http://www.tampasiando.com/wp-content/uploads/2013/01/J%C3%BCdisches-Museum-Berlin.jpgIl Museo Ebraico di Berlino (Jüdisches Museum Berlin) è il più grande museo ebraico in Europa. In due edifici, uno dei quali è un ampliamento appositamente progettato dall’architetto Daniel Libeskind, una collezione permanente e svariate esposizioni temporanee raccontano due millenni di storia degli ebrei in Germania. Due millenni di storia degli ebrei in Germania presenta la Germania dal punto di vista della minoranza ebraica. La collezione comincia con sale dedicate agli insediamenti medievali lungo il Reno, in particolare a quelli di Spira, Worms e Magonza. Il periodo barocco è osservato attraverso gli occhi di Glickl bas Judah Leib (1646-1724, conosciuta anche come Glückl von Hameln), che ha lasciato un diario in cui racconta dettagliatamente la propria vita di donna d’affari ebrea ad Amburgo. Segue uno spazio dedicato all’eredità intellettuale e personale del filosofo Moses Mendelssohn (1729-1786); a queste due figure si accompagnano ritratti di ebrei di ogni condizione sociale. L’epoca dell’emancipazione nel XIX secolo si presenta all’insegna dell’ottimismo, di successi e prosperità, ma non mancano momenti di disillusione e battute d’arresto testimoniati dagli oggetti esposti. Il XX secolo si apre con i soldati ebrei tedeschi che combattono per il proprio paese durante la Prima guerra mondiale. Nella sezione dedicata al periodo nazista, particolare attenzione è rivolta al modo in cui gli ebrei reagirono alla discriminazione crescente, ad esempio fondando scuole e associazioni ebraiche. Dopo la Shoah 250 000 sopravvissuti attendono nei campi profughi di poter emigrare; allo stesso tempo si vanno formando piccole comunità ebraiche nella Germania dell’Ovest e in quella dell’Est. La collezione si conclude con l’emigrazione in Germania di 200 000 ebrei provenienti dai paesi dell’ex Unione Sovietica: si apre un capitolo nuovo, ancora da scrivere, della vita degli ebrei in Germania.  Originariamente il museo aveva sede in un edificio sito in Oranienburger Straße, ma venne chiuso nel 1938 dal regime nazista. L'idea di riaprire il museo iniziò a circolare nel 1971. Nel 1975 venne fondato un comitato per promuovere tale progetto, il cui primo embrione si ebbe dopo una mostra sulla storia ebraica tenutasi a Berlino nel 1978. Nel 1999 al museo venne finalmente riconosciuta la propria autonomia come istituzione ed ebbe anche una propria sede definitiva. Il palazzo che ospita il museo è stato progettato da Daniel Libeskind e ultimato proprio nel 1999, mentre l'inaugurazione ufficiale è avvenuta nel 2001.
http://static.designmag.it/designmag/fotogallery/625X0/23877/gli-interni-del-museo.jpg
L'edificio che ospita il museo si distingue notevolmente dalla tipologia solita dei musei: non risponde a nessuna criterio di funzionalità poiché la linea guida seguita per la realizzazione del progetto è stata quella di raccontare la storia degli ebrei, in particolare degli ebrei in Germania. L'edificio stesso può essere considerato un'opera d'arte, poiché mescola architettura e scultura.
Libeskind ha battezzato il suo progetto between the lines (tra le linee) e nei punti in cui le due linee si intersecano si formano zone vuote, o voids, che attraversano l’intero museo. L'edificio visto dall'alto ha la forma di una linea a zig-zag e per questa ragione è stato soprannominato blitz, che in tedesco significa fulmine. La forma dell'edificio ricorda una stella di David decomposta e destrutturata. L'edificio è interamente ricoperto da lastre di zinco e le facciate sono attraversate da finestre molto sottili e allungate, più simili a squarci o ferite che a vere e proprie finestre, disposte in modo casuale.
http://cherilucas.files.wordpress.com/2011/03/jewish-museum-exterior-berlin.jpg Il museo non ha un ingresso dalla strada, ma vi si accede dall'adiacente Berlin-Museum. Una scala e un sentiero sotterraneo collegano i due edifici, questo a simboleggiare quanto la storia ebraica e quella tedesca siano collegate e connesse fra loro. La scala conduce ad un sotterraneo, composto di tre corridoi, denominati assi che simboleggiano i diversi destini del popolo ebraico: l'asse dell'Olocausto conduce ad una torre che è stata lasciata vuota, denominata la Torre dell'Olocausto; l'asse dell'Esilio conduce ad un giardino quadrato esterno, denominato Giardino dell'Esilio, racchiuso fra 49 colonne; l'asse della continuità, collegato agli altri due corridoi, che rappresenta il permanere degli ebrei in Germania nonostante l'Olocausto e l'Esilio. Questo asse conduce ad una scala, che a sua volta conduce alla costruzione principale. L'entrata al museo è stata intenzionalmente resa difficile e lunga, per infondere nel visitatore le sensazioni di sfida e di difficoltà che sono distintive della storia ebraica.

Berlin-Museum 
Il Berlin-Museum, noto anche come Kollegienhaus, fu costruito nel 1735 su progetto di Philipp Gerlach. Fu utilizzato per un lungo periodo come Corte d'Appello prussiana. Durante la Seconda guerra mondiale venne parzialmente distrutto e la sua ricostruzione venne iniziata nel 1963 e l'edificio venne adibito a museo della storia di Berlino. Questo perché, a seguito della costruzione del Muro, la parte ovest della città era rimasta priva di numerosi musei. Oggi fa parte del Jüdisches Museum e ospita il caffè, il punto informazioni, gli uffici, oltre ad essere utilizzato come spazio per esposizioni.

Giardino dell'Esilio

Il Giardino dell'Esilio è una superficie esterna al museo, cui si accede attraverso l'asse dell'esilio. È una superficie quadrata circondata da 49 colonne di cemento alte sei metri, in modo tale che dall'esterno non si possa vedere nulla. Il numero delle colonne è simbolico, infatti serve a ricordare l'anno di nascita dello stato d'Israele, il 1948, un'altra colonna, quella centrale, rappresenta invece Berlino ed è riempita all'interno di terreno proveniente da Gerusalemme. Sulla sommità delle colonne sono stati piantati alberi di olivagno. Essi sono il simbolo della pace e della speranza di un ritorno in patria. Ma significano anche che, come gli alberi riescono a mettere radici in spazi così impervi come la cavità di un pilastro, così anche coloro che sono esiliati in una lontana terra straniera possono trovare la ragione per continuare a vivere in un'altra patria. Libeskind ha voluto fare in modo che il visitatore provasse la stessa sensazione di straniamento e disagio che hanno provato gli ebrei esiliati, e per questo motivo ha costruito il piano di calpestio inclinato di sei gradi, di modo che camminando tra i pilastri si provi la sensazione di una mancanza di equilibrio.

Torre dell'Olocausto 
http://www.sguardi.info/content/images/af1b2ddccf8c9a9a5fdcbdc76699d79b.jpgLa Torre dell'Olocausto è posta alla fine dell'asse della morte e vi si accede aprendo una porta spessa e molto pesante. È una struttura completamente vuota, buia, non climatizzata (dunque fredda d'inverno e calda d'estate), che viene illuminata solo dalla luce indiretta del giorno che penetra da una stretta feritoia posta in alto. Impossibile vedere fuori e capire dove si è; attutiti si sentono i rumori provenienti dall'esterno. Evidente e palpabile il significato simbolico che vuole ricreare la condizione degli ebrei deportati che non sapevano in quale luogo si trovavano e non potevano avere notizie. Simbolici diventano anche una scaletta metallica a circa due metri e mezzo dal pavimento usata per la manutenzione della copertura (mezzo di salvezza ma irraggiungibile come lo è stata per molti) e i fori nella parete per far entrare l'aria.

Foglie cadute 
https://c2.staticflickr.com/2/1123/878071271_76740cf683.jpg10 000 volti in acciaio punzonato sono distribuiti sul pavimento dello Spazio Vuoto della Memoria, l'unico spazio vuoto dell'edificio di Libeskind in cui è possibile entrare. L’artista israeliano Menashe Kadishman ha dedicato la sua opera non soltanto alle vittime della Shoah, ma a tutte le vittime di guerra e violenze. I visitatori sono invitati a camminare sui volti e ad ascoltare il fragore prodotto dalle lastre di metallo che sbattono l'una contro l'altra e contro le persone che passano. Il frastuono e l'angoscia per tutti quei morti fanno desiderare di uscire al più presto dalla sala.

Alvaro Siza , il padiglione portoghese dell'Expo '98

https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg_tN32QTywNMKGG3fkBbTVl3YEH93ECLm78d693T9VgQYf8lHeQHmrFHvY3OjpqR25ZGuOS1ZtjoERtbBIWVbcQXNIzIPD93dAUTr15ZWZgrHC1EUWDRwJJDwcaR5hhvSbb08GBT6CVGH4/s760/portugalpavilion1l.jpgÁlvaro Joaquim de Melo Siza Vieira, meglio noto come Álvaro Siza (Matosinhos, 25 giugno 1933), è un architetto portoghese.
È stato insignito di numerosi premi e onorificenze tra i quali il Pritzker Prize nel 1992, del Premio Wolf per le arti nel 2001, del RIBA's Royal Gold Medal nel 2009 e del Leone d'Oro alla Carriera in occasione della 13° Mostra internazionale di architettura di Venezia nel 2012.
http://files.modulo.net/chunks/image/5093d6a922e7b953720031bf/s500x360/507822c622e7b9d50d000001_509a350222e7b9e727000074.jpgIl padiglione del Portogallo di Alvaro Siza è stato progettato per essere l’elemento fondamentale della esposizione mondiale di Lisbona nel 1998. L’edificio funziona come ingresso monumentale al sito dell’Expo, che introduce la vista del visitatore verso il mare e contribuisce ad attirare l’attenzione del visitatore sul tema dell’Expo. Il Padiglione del Portogallo è situato in prossimità dell’angolo nord-est del molo degli Olivares. La striscia di terreno che si trova tra il complesso e la riva è protetta da una pensilina che poggia su pilastri e forma un grande porticato vicino al lato orientale del padiglione.
Quando  è stato conferito a Siza il Premio Pritzker di architettura nel 1992, la citazione della giuria per il premio è stata che “le sue forme, modellate dalla luce, hanno una semplicità ingannevole, ma sono oneste.[…] Che la semplicità, dopo un esame più attento però, si rivela come grande complessità. C’è una sottile maestria di fondo di quelle che sembrano essere creazioni naturali. ” Questa definizione può essere applicata all’intervento di Siza per il padiglione del Portogallo.
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L’elemento più rappresentativo di questo padiglione è il tetto che copre la piazza, che sembra bloccarsi dolcemente come un baldacchino. Qui è evidente, come, con un gesto apparentemente semplice, può rivelarsi una così grande complessità e bellezza. Siza aveva maturato l’idea di un tetto sospeso e la soluzione risultante è una lastra di cemento, spessa 20cm, supportato su cavi d’acciaio che pende naturalmente tra i due portici. Gli stessi portici sono alti 14 metri e sono stati progettati per sopportare la tensione molto forte causata dal tetto. Siccome poi Lisbona è una zona di alta attività sismica, la sottile copertura e l’edificio sono completamente separati, ciascuno con un proprio sistema di supporto strutturale, per contrastare virtuosamente l’azione del sisma. La copertura stessa è rivestita in piastrelle di ceramica di colore rosso e verde, con un evidente riferimento i colori nazionali del Portogallo e alla tradizione costruttiva locale che spesso ha utilizzato le azulejos (piastrelle di ceramica smaltata di stagno) come ornamenti degli edifici. I principali spazi espositivi si trovano in una parte del palazzo situato a nord della piazza monumentale. Questa parte del padiglione ha posto una serie di problemi per Siza. Per le Esposizioni Mondiali molti dei  padiglioni costruiti sono caratterizzati per essere installazioni temporanee e destinate dunque ad essere abbattute al termine dell’Expo. Pensando alla sostenibilità ambientale, il comitato di Lisbona aveva deciso di assicurare che i padiglioni si sarebbero potuti utilizzare dopo la conclusione dell’Expo del 98.
http://www.tracce.it/img/tabelle/3099_g.jpgSiza ha quindi dovuto rendere gli edifici i più flessibili e adattabili possibili ai futuri usi. Le dimensioni complessive sono state determinate anticipando l’aggiunta possibile in futuro di due corridoi mentre la strategia delle finestre modulari offre una distribuzione uniforme della luce. La circolazione verticale e i cortili interni sono stati progettati sempre con criteri di possibili modificazioni futuri. Siza ha inoltre assicurato che il padiglione, se fosse stato riutilizzato come un museo statale o per uffici amministrativi, avrebbe funzionato alla perfezione dato il tipo di progettazione degli spazi.
Il padiglione è composto da due aree espositive: una per le mostre, mentre la seconda fornisce un ampio spazio esterno per alcune installazioni. Nominato per la progettazione strutturale, Arup ha fornito consulenze in ingegneria strutturale, meccanica, elettrica, e geotecnica, per la sicurezza antincendio, la progettazione illuminotecnica e per quanto riguarda l’acustica. Il secondo corpo dell’edificio è costituito da un volume a pianta rettangolare con due piani fuori terra e un piano interrato. I tre piani si sviluppano attorno ad uno spazio aperto riempito con terra per permettere la piantumazione.  Da una parte dell’edificio si sviluppa un corpo complementare che si eleva per due piani fuori terra, separato dal corpo principale mediante una galleria.

Herzog & De Meuron, lo stadio di Pechino

Lo stadio nazionale di Pechino , o stadio olimpico di Pechino, è lo stadio che ha ospitato, oltre alle cerimonie di apertura e di chiusura, le gare di alcune discipline dei Giochi della XXIX Olimpiade. Per la sua forma è stato soprannominato "Nido d'uccello" (Bird's Nest in Inglese).
Inizialmente lo stadio prescelto dagli organizzatori dell'Olimpiade era il Guangdong Olympic Stadium, impianto costruito nel 1999 con questo scopo. Esso però si trova nella città di Canton, lontanissima dalla capitale, e per questo motivo nel 2002 fu deciso di costruire un nuovo grande stadio a Pechino.
Fu indetta una gara tra i più grandi architetti del mondo per scegliere il progetto migliore ed alla fine fu scelto di realizzare l'avveniristico stadio presentato dagli architetti svizzeri Herzog & de Meuron, gli stessi che hanno progettato l'Allianz Arena di Monaco di Baviera, con la collaborazione di ArupSport, del China Architecture Design & Research Group e dell'artista contemporaneo Ai Weiwei. 
http://www.flashartonline.it/uploads/testi/image/NEWS/Weiwei(1).jpgLo stadio ha come principale caratteristica la sua copertura, indipendente dalla struttura interna, che rende lo stadio paragonabile ad un nido d'uccello.
Essa infatti si presenta come una mastodontica griglia di elementi d'acciaio chiusa da uno strato di materiale semi-trasparente (ETFE). Essa inoltre dispone di un sistema di recupero dell'acqua piovana e di protezione dell'interno dal vento. Il progetto prevedeva anche una sezione mobile, che rendesse lo stadio un'arena chiusa in caso di necessità, ma la sua costruzione fu abbandonata a causa dello sforzo economico eccessivo che stava richiedendo e per problemi di sicurezza, dovuti alla maestosità del progetto.
L'interno dello stadio può ospitare 91.000 spettatori tutti con posto a sedere coperto, che sono diventati 80.000 al termine dei Giochi olimpici, dopo dei lavori di ridimensionamento.
Lo stadio occupa una superficie di 250.000 m2, è largo 220 metri, lungo 330 metri e raggiunge con la copertura i 69,2 metri di altezza, pur essendo la pista di atletica sotto il livello del terreno. Sono stati utilizzati in totale 45.000 tonnellate d'acciaio per la sua costruzione.
L'elevato costo per la realizzazione dell'impianto ha causato un imprevisto blocco dei lavori di costruzione nella seconda metà del 2004 che si protrasse fino ad inizio 2005 ed il parziale ridimensionamento del progetto iniziale. La spesa totale approssimata al termine dei lavori di costruzione sarà di circa 3,5 miliardi di yuan, pari a circa 325 milioni di euro.
Dopo i giochi olimpici  lo stadio è stato teatro della finale di Supercoppa italiana l'8 agosto 2009 tra Inter e Lazio, ad un anno esatto dalla cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici, con vittoria dei biancocelesti. Dopo questa prima esperienza, viene siglato un contratto con la Lega Serie A in base al quale verranno disputate in questo stadio tre finali della Supercoppa Italiana tra il 2011 e il 2014. La seconda finale si tiene il 6 agosto 2011, con avversarie Milan e Inter e vittoria dei rossoneri, quindi lo stadio ha ospitato di nuovo tale competizione l'11 agosto 2012 con la sfida Juventus-Napoli, vinta dalla prima. Un'altra finale sarà disputata nel 2014.