E’ la residenza imperiale dell'imperatore Adriano (76-138) presso Tivoli (l'antica Tibur), oggi in provincia
di Roma. Realizzata gradualmente nella prima metà del II secolo a pochi chilometri dall'antica Tibur, la struttura appare un ricco complesso di
edifici estendentesi su una vasta area, che doveva coprire circa 120 ettari, in una zona ricca di fonti d'acqua a 17 miglia romane dall'Urbs.
Si trova sui Monti
Tiburtini, a circa 28 km (17 miglia romane) da Roma, dalla quale era raggiungibile
sia per mezzo della via Tiburtina o della via Prenestina, sia tramite la
navigazione sul fiume Aniene. La Villa si trovava sulla destra della via Tiburtina, poco oltre il ponte
Lucano, prolungandosi fin quasi alle pendici del monte Ripoli su cui sorge
Tivoli.
L'area prescelta si estendeva tra le valli dei fossi di
Risicoli o di Roccabruna ad ovest e dell'Acqua Ferrata ad est, che, riunitisi,
si gettano poi nell'Aniene; era una zona ricca di acque e vi passavano quattro
degli antichi acquedotti romani che servivano Roma (Anio
Vetus, Anio Novus, Aqua Marcia e Aqua
Claudia). Nei pressi esiste tuttora la sorgente di acqua sulfurea delle Acque Albule (Bagni di Tivoli), che era conosciuta
ed apprezzata dall'imperatore. Nei dintorni inoltre erano presenti numerose
cave di materiali da costruzione (travertino, pozzolana, tufo e calcare per la realizzazione della calce).
Tra le molte
ville rustiche che fin dall'età repubblicana erano sorte fra Roma e Tivoli, ne
esisteva già una costruita nel periodo sillano,
ingrandita all'epoca di Giulio
Cesare, pervenuta forse in proprietà della moglie di Adriano, Vibia Sabina, che proveniva da una
famiglia di antica nobiltà italica.
Fu questo il primo nucleo della villa, incorporato poi nel Palazzo imperiale.
Lo studio del sistema di canalizzazione e delle fognature
sembra indicare che la progettazione del complesso sia stata unitaria, anche se
dai bolli laterizi ritrovati in circa metà degli edifici emergono tre fasi di
costruzione particolarmente attive tra il 118 e il 121,
il 125 e il 128 e il 134-138.
Di ritorno a Roma nei primi mesi del 134, Adriano poté godere della villa
solamente gli ultimi anni della sua esistenza, fino alla morte avvenuta a Baia il 10 luglio 138.
La complessità della residenza, più che alle numerose
sfaccettature della personalità di Adriano,
fu dovuta alla necessità di soddisfare esigenze e funzioni diverse
(residenziali, di rappresentanza, di servizio), oltre che all'andamento
frastagliato del terreno; la magnificenza e l'articolazione delle costruzioni
rispecchiano le idee innovative dell'imperatore in campo architettonico. Si
afferma comunemente che egli volle riprodurre nella sua villa i luoghi e i
monumenti che più lo avevano colpito durante i suoi viaggi nelle province
dell'impero, sulla base di un passo del suo biografo tardo-antico Elio Sparziano. In realtà
gli edifici della villa presentano tutti i caratteri più innovativi
dell'architettura romana del tempo, per cui le riproduzioni adrianee di
monumenti della Grecia o dell'Egitto vanno intese come suggestioni
evocative e non come ricostruzioni reali.
Gli edifici che la compongono:
Pecile
Il Pecìle è
una ricostruzione della Stoà
Pecile (stoà poikìle,
"portico dipinto") nell'agorà di Atene, centro politico e culturale
della città di Atene, la prediletta da Adriano durante i suoi numerosi viaggi.
Il Pecile, un'immensa piazza colonnata di forma
quadrangolare, decorata al centro da un bacino e circondata da un portico, si
innalzava su poderose costruzioni artificiali. Attraverso una serie di edifici
termali poi si giungeva al Canopo. Sulla piazza centrale, si affacciavano gli
alloggi delle guardie, del personale amministrativo e di servizio.
Canopo e Serapeo
Si deve a Pirro
Ligorio, famoso architetto napoletano al servizio del cardinale Ippolito
d’Este, il riconoscimento del Canopo menzionato nella biografia di Adriano
(Elio Sparziano, Vita
Hadriani) nella “valle longhissima” di fronte all’articolato padiglione
absidato con giochi d’acqua, che egli definì tempio del dio Canopo o Nettuno.
L’identificazione di questa zona
della villa con il canale egizio che congiungeva l’omonima città di Canopo -
sede di un celebre tempio dedicato a Serapide - con Alessandria, sul delta del
Nilo, venne accettata senza riserve, come documenta ampiamente la letteratura
archeologica: non solo Ligorio vi aveva trovato una statua di Iside ma tale
dato sembrò ulteriormente confermato dall’attribuzione a questa zona di Villa
Adriana anche del ciclo di sculture egittizzanti in basalto e pietra nera, oggi
conservate presso i Musei Vaticani, frutto di ritrovamenti settecenteschi da
parte dei Gesuiti. Una recente rilettura critica delle fonti antiquarie ha
tuttavia consentito di recuperare il vero luogo di ritrovamento di tali
sculture, da riconoscere nella zona di fronte alle Cento Camerelle, compresa
anch’essa nel Settecento nella proprietà dei Gesuiti e dove recentemente sono
venuti in luce materiali del tutto analoghi, frutto delle campagne di scavo
condotte negli ultimi anni.
La presenza di uno stibadium, o letto
tricliniare, all’interno dell’ampio padiglione a esedra del Canopo prova che il
complesso sia da interpretare come un grande spazio per banchetto all’aperto,
arricchito da giochi d’acqua: le cascatelle, i canali, e il mosaico di pasta
vitrea sulla grande volta a ombrello dell’esedra conferiscono al padiglione
quasi l’aspetto di una fontana monumentale. Lo stibadium, costituito da un
basamento in muratura di forma semicircolare e dalla superficie inclinata, era
coperto in antico da tappeti e cuscini: gli ospiti vi si sdraiavano in
occasione del convito, rinfrescati dallo scorrere dell’acqua in rivoli,
cascatelle e fontane, che circondava i commensali garantendo frescura e una
piacevole atmosfera, completata dalla vista sul lungo specchio d’acqua.
Quest’ultimo, inquadrato da un pergolato e da siepi di fiori, era completato da
numerose sculture, in parte emergenti dall’acqua: su un dado in muratura nella
zona meridionale era posizionato il gruppo di Scilla, mentre sul lato opposto
era verosimilmente collocato il coccodrillo-fontana di marmo cipollino.
Fra i ritrovamenti venuti in luce
negli anni cinquanta, quando tutta l’area venne liberata dall’interro, si
rinvennero, oltre al coccodrillo, anche una statua di personaggio semisdraiato
raffigurante il Nilo e due Sileni canefori (portatori di canestri) con funzione
di telamoni, derivanti da modelli di ambiente alessandrino. In aggiunta alla
statua di Iside scoperta da P. Ligorio, sono comunque poche le sculture di
soggetto egizio provenienti con certezza dal Canopo, tutte peraltro realizzate
non in stile egittizzante, ma secondo i canoni dell’arte ellenistica.
Non appare dunque giustificata
l’ipotesi di caricare di un significato religioso – come ha fatto ad esempio
J.-C. Grenier - questa zona della villa, la cui sistemazione in senso egizio,
che lo studioso ricostruisce con tutte le sculture ‘egizie’ provenienti da
Villa Adriana, alluderebbe al rilancio del culto di Serapide promosso da
Adriano e alla celebrazione del nuovo dio Antinoo. Tale teoria, che ha avuto
largo seguito, implica anche un altro presupposto, ugualmente da rigettare: che
l’imperatore avesse voluto rappresentare qui l’“Egitto del viaggio”, come lo
definisce Grenier, alludendo al viaggio in Egitto nel quale era morto il
giovane favorito.
In realtà, come provano i marchi
di fabbrica presenti sui laterizi, la costruzione del Canopo va collocata in
una data decisamente antecedente al 130 d.C. e l’edificio noto come Canopo va
piuttosto interpretato come una rappresentazione evocativa di un ambiente
egizio in senso esotico, un giardino nilotico destinato ai banchetti,
analogamente al canale sul delta del Nilo, famoso per le feste che vi si
svolgevano.
Piazza d’Oro
Era un
complesso periptero con una vasca centrale rettangolare, che tagliava
longitudinalmente la spianata dei giardini, sul cui lato minore meridionale si
staglia un grandioso edificio con cupola centrale. Le colonne, disposte su un
portico a quattro bracci, in cipollino e granito
egiziano, disegnano andamenti ora concavi ora convessi, rendendo un bellissimo
gioco visivo. Sui bracci est ed ovest si delineano due lunghi corridoi. Da
quello orientale si accede all'edificio principale.
Alle spalle del portico sul lato nord vi sono i resti della Casa Colonica, una struttura di
epoca precedente, caratterizzato da pavimenti a mosaico di modesta qualità e
destinata alla servitù. In quest'ala della villa furono ritrovati i ritratti
imperiali di Vibia Sabina, Marco Aurelio e Caracalla.
La ricchezza degli ambienti e del corredo architettonico, dedotta dall'alto
numero di fori che sorreggevano le grappe cui erano appesi i marmi, suggerisce
l'ipotesi che questa zona fosse legata alle funzioni pubbliche del palazzo.
Il Teatro Marittimo
Il Teatro marittimo, definizione
assegnata dai moderni, è una delle prime costruzioni della villa, tanto che è
stata interpretata come la primissima, provvisoria residenza di Adriano nel
sito. Le sue caratteristiche di separatezza rendono credibile l'ipotesi che il
luogo costituisse la parte privata del palazzo.
La struttura, iniziata nel 118, fu edificata nei pressi della
villa repubblicana. È un complesso assai singolare, ad un solo piano, senza
alcun rapporto con la forma abituale di un teatro romano, costituito da un pronao di cui non resta più nulla, mentre
sono riconoscibili la soglia dell'atrio e tracce di mosaici pavimentali.
All'interno consta di un portico circolare a colonne
ioniche, voltato. Il portico si affaccia su un canale al centro del quale sorge
un isolotto di 45 m di diametro, composto anch'esso da un
atrio e da un portico in asse con l'ingresso, più un piccolo giardino, un
complesso termale minore, alcuni ambienti e delle latrine. La struttura non
prevedeva alcun ponte in muratura che collegasse l'isolotto al mondo esterno, e
per accedervi era necessario protendere un breve ponte mobile.
Le Grandi Terme
Devono la loro
denominazione sia all’ampiezza dei singoli ambienti che alla vastità di
superficie occupata rispetto agli altri impianti termali della villa.
Entrambi i complessi delle
Piccole e Grandi Terme erano collegati, sul lato occidentale, da un corridoio
sotterraneo che permetteva l’accesso ai praefurnia ed era direttamente raggiungibile dal
personale di servizio alloggiato nell’area delle Cento Camerelle.
Lungo questo lato si dispongono
gli ambienti riscaldati, tra i quali, immediatamente riconoscibile per la forma
circolare e la copertura a calotta con occhio centrale, nonché l’assenza di
impianti idrici, la sala per la sudatio,
che conserva ancora tutta la sua imponenza, nonostante il crollo della porzione
frontale su cui si aprivano le grandi finestre per catturare i raggi solari. Si
succedono poi tepidaria - stanze riscaldate che in
alcuni casi presentano, oltre alle suspensurae sotto il pavimento, anche le pareti
costituite da tubuli o condotte di mattoni forati per la circolazione dell’aria
calda - e caldaria,
o ambienti provvisti di vasche per il bagno caldo.
La zona centrale è occupata quasi
interamente dal frigidarium,
un’ampia sala rettangolare con volta a crociera, su cui si aprivano ad un
livello inferiore due ambienti accessibili per mezzo di gradini rivestiti di
marmo, l'uno absidato e l’altro rettangolare, che costituivano le piscine per
il bagno freddo; entrambi gli ingressi erano inquadrati da alte colonne di
marmo cipollino con capitelli ionici assai raffinati; la vasca absidata era
abbellita originariamente da statue, come indica la presenza di nicchie nella
parete di fondo. Dal frigidarium si poteva accedere, oltre che
all’ambiente circolare per la sudatio,
anche ad un’ampia sala, ugualmente riscaldata, affacciata sul lato
meridionale, che presenta la peculiarità di un soffitto decorato da stucchi con
motivi geometrici e medaglioni figurati, di cui rimane traccia nei pennacchi
angolari della volta.
Su ciascun lato della vasca
rettangolare un corridoio permetteva di raggiungere un ambiente rettangolare
con pavimento a mosaico, interpretato da alcuni come sphaeristerium (sala adibita al gioco della palla),
prospiciente la palestra, costituita da un ampio cortile in opus spicatum circondato da un portico pavimentato a
mosaico, oggi privo delle colonne. L’opus spicatum risulta impiegato anche al di
sopra della copertura della vasca rettangolare del frigidarium, che era
evidentemente a terrazza, come possiamo dedurre dall’esame dei blocchi di
crollo visibili sul pavimento della vasca.
Anche in questo complesso termale
è notevole la varietà delle soluzioni architettoniche proposte per la copertura
dei diversi ambienti, che si impongono per la loro monumentalità, anche se non
presentano una decorazione sfarzosa come le altre terme della villa; se si
eccettuano la grande sala con gli stucchi e l’ambiente contiguo, pavimentato in opus sectile, la decorazione
dei rivestimenti è senza dubbio assai più modesta: i pavimenti, in gran parte
conservati, sono di mosaico bianco, eventualmente bordato da una o due fasce
nere e le pareti erano rivestite di intonaco anziché di marmi, caratteristiche
che fanno supporre per questo edificio una destinazione per il personale
addetto alla villa.
L'Antinoeion
Nel 2003 vengono
alla luce lungo la strada di accesso al Grande Vestibolo e davanti al fronte
delle Cento Camerelle i resti di quello che verrà identificato come un luogo di
culto dedicato ad Antinoo,
amante dell'imperatore e da esso divinizzato dopo la sua morte prematura. La
struttura presenta il basamento di due templi affrontati all'interno di un
recinto sacro con un'esedra sul fondo. Al centro, tra i due templi, il
basamento dell'obelisco che è stato identificato con l'Obelisco Pinciano.
Datato al 134 d.C. si pensa fosse anche luogo dell'inumazione del dio amante di Adriano.
All'interno del complesso sono stati rinvenuti frammenti di
statue in marmo nero, relative a divinità egizie o a figure di sacerdoti che
confermerebbero che quello fosse il luogo di culto del dio Osiride-Antinoo.
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