lunedì 3 giugno 2013

Mediateca di Toyo Ito

La metafora "figura retorica sulla quale si esprime con una similitudine una cosa diversa da quella nominata" a cui si basa il progetto della mediateca a Sendai, unisce concetti naturali e artificiali, in quanto sono presenti nella figura dell'acquario "vasca o sistema di vasche, generalmente a vetri, in cui si tengono in vita piante e animali acquatici a scopo di studio o di ornamento".
L'acquario di Toyo Ito, una scatola di vetro 55x55 metri, è suddiviso in diversi piani. Lo spessore dei solai è ridotto al minimo con l'uso di un sistema costruttivo a "sandwich": due strati di acciaio con un disposizione di travi in mezzo.   

Nonostante la netta separazione delle funzioni e dei livelli dell'edificio, i materiali utilizzati - predominanza del vetro sul cemento e l'acciaio - e l'originalità degli allestimenti e degli elementi di arredo - forme ondulate, alcove, assenza quasi totale di pareti fisse, dispositivi d'illuminazione artificiale diversi a ogni piano e per ogni modalità di lettura o consultazione dei materiali audiovisivi, colori vivaci giocati sull'alternanza di verde e bianco, rosso, arancione fosforescente - creano un effetto di trasparenza che si traduce nella continuità tra interno ed esterno, 
evidente a ogni piano della mediateca. L'insieme di piazze pensili, con grande forza, comunica un preciso messaggio; oggi, in mancanza di uno stile condiviso, un nuovo monumento della città può essere imposto anche con una regia di tonalità cromatiche effimere: semplici e naturali variazioni tra luminosità notturna e trasparenza diurna. 

Nonostante la trasparenza delle facciate, che rivela le divisioni dei solai all'esterno, l'aspetto è di un singolo volume, di un recipiente "oggetto destinato a contenere specialmente liquidi: recipiente di ferro, di rame, di vetro, di coccio, di legno ", contenitore di tecnologia: quella esposta all'interno e quella utilizzata per la costruzione. 

La "scatola", come un vero e proprio acquario, è piena di alghe "Organismi vegetali, uni o pluricellulari, prevalentemente acquatici, che, sebbene morfologicamente diversi uni dagli altri, presentano tuttavia una grande semplicità di struttura", che, come dice l'architetto, "danzano nell'acqua". 

Sono dei tubolari metallici saldati insieme, che formano 13 cilindri costruttivi e che vano dal piano terra alla copertura, forando i piani quasi naturalmente. Come le vegetali, la struttura cresce e si sviluppa verso l'alto, con varie torsioni e deformazioni. Le composizioni nascono dall'incontro casuale delle forme, a volte come nella natura. 

Questi 13 pilastri "elemento strutturale ad asse verticale di forma per lo più prismatica simbolo di solidità o di immobilità" sono effettivamente la struttura che regge l'edificio, ma per di più, sono dei volumi a pianta circolare con diverse funzioni. Fungano da corte verticali, attribuite da usi che evidenziano la loro continuità tra le varie livelli. Alcuni alloggiano gli impianti di circolazione come scale e ascensore, altri sono lucernari, oppure vuoti per gli scarichi idraulici e condutture elettriche.

Il sistema statico della Mediateca  

L’intero sistema statico della Mediateca è poi costituito su un singolare insieme strutturistico particolarmente articolato – piuttosto semplice nella sua concezione – di elementi integrati ma parzialmente autonomi, composto da colonne portanti svuotate (barre metalliche leggere, individuali o tra loro saldate) reggenti i pianali dei pavimenti-soffitti in una maniera del tutto particolare (tenendoli cioè svincolati dai loro supporti, e soltanto infilati nelle forme tubolari di sostegno). Questo speciale impianto statico permette alle superfici orizzontali (come egregiamente mostra il modello simulativo creato dall’architetto nel 1995) di assoggettarsi ai movimenti delle scosse del terremoto, disponendosi perfino di traverso o addirittura inclinandosi consistentemente, senza però spezzarsi nei luoghi di contatto con le strutture verticali da cui le solette si trovano svincolate. Inoltre, gli stessi sostegni colonnari di forma ibrida, assemblati in fasci di tubi metallici ed il più possibile svuotate per non opporre ai dinamismi sismici una eccessiva resistenza monolitica, sono state conformate in una strana (ed all’apparenza assurda) composizione sghemba e di configurazione instabile, come traballante e già dissestata, proprio per assecondare anch’essi le azioni distorcenti dei terremoti, e frazionare già dalla loro origine costruttiva i punti di rovina in un complesso e dispersivo assemblaggio eterogeneo, a sua volta ammortizzante i colpi energetici sussultori.
In tutto seguendo il principio proprio di resistenza elastica di un aggregato organico di  canne di bambù lasciate tra loro indipendenti.

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