Il Pantheon (tempio di tutti gli dei) è un edificio di Roma antica, costruito come tempio dedicato a tutte le divinità passate, presenti e future. Gli abitanti di Roma lo chiamano amichevolmente
la Rotonna, o
Ritonna ("la Rotonda"), da cui anche il nome della piazza antistante. Fu fatto ricostruire dall'imperatore Adriano tra il 118 e il 128 d.C., dopo che gli incendi dell'80 e del 110 d.C. avevano danneggiato la costruzione precedente di età augustea.
L’edificio del Pantheon è inscrivibile in una sfera perfetta.
L'altezza dell'edificio è uguale al suo diametro e misura 43,44 m per
43,44 m. Questa caratteristica risponde a criteri classici di
architettura equilibrata e stabile. Nel Pantheon questi principi sono
sintetizzati dall’armonia delle linee e dal calcolo perfetto delle
geometrie delle masse.
All'inizio del VII secolo il Pantheon è stato convertito in basilica cristiana, chiamata Santa Maria della Rotonda, o Santa Maria ad Martyres,
il che gli ha consentito di sopravvivere quasi integro alle spoliazioni
apportate agli edifici della Roma classica dai papi. Gode del rango di Basilica minore ed è l'unica basilica di Roma oltre a quelle patriarcali ad avere ancora il Capitolo. Nel 2013 è stato visitato da 6.579.888 persone.
Il primo Pantheon è stato fatto costruire da Agrippa
Il primo Pantheon fu fatto costruire nel 27-25 a.C. da Marco Vipsanio Agrippa, nel quadro della monumentalizzazione del Campo Marzio, affidandone la realizzazione a Lucio Cocceio Aucto. Esso sorgeva infatti fra i
Saepta Iulia e la basilica di Nettuno, fatti erigere a spese dello stesso Agrippa.
L'iscrizione originale di dedica dell'edificio, riportata sulla successiva ricostruzione di epoca adrianea, recita: M•AGRIPPA•L•F•COS•TERTIVM•FECIT, ossia
Marcus Agrippa, Lucii filius, consul tertium fecit, "Costruito da Marco Agrippa, figlio di Lucio, console per la terza volta"; il terzo consolato di Agrippa risale appunto all'anno 27 a.C. Tuttavia Cassio Dione Cocceiano lo elenca con la basilica di Nettuno e il
Gymnasium Laconiano tra le opere di Agrippa terminate nel 25 a.C.
Dai resti rinvenuti a circa 2,50 m sotto l'edificio alla fine del XIX secolo, si sa che questo primo tempio era di pianta rettangolare (m 43,76x19,82) con cella disposta trasversalmente, più larga che lunga, costruito in blocchi di travertino rivestiti da lastre di marmo. L'edificio era rivolto verso sud, in senso opposto alla ricostruzione adrianea, preceduto da un pronao
sul lato lungo che misurava in larghezza 21,26 m. Davanti ad esso
si trovava un'area scoperta circolare, una sorta di piazza che separava
il tempio dalla basilica di Nettuno, recintata da un muretto in opera reticolata e con pavimento in lastre di travertino. Sopra queste lastre ne vennero poi posate altre di marmo, forse durante il restauro domizianeo.
L'edificio di Agrippa aveva comunque l'asse centrale che coincideva
con quello dell'edificio più recente e la larghezza della cella era
uguale al diametro interno della rotonda. L'intera profondità
dell'edificio augusteo coincide inoltre con la profondità del pronao
adrianeo. Dalle fonti sappiamo che i capitelli erano realizzati in bronzo e che la decorazione comprendeva delle cariatidi e statue frontonali.
Il tempio si affacciava su una piazza limitata sul lato opposto dalla basilica di Nettuno.
Cassio Dione Cocceiano
afferma che il "Pantheon" aveva questo nome forse perché accoglieva le
statue di molte divinità o più probabilmente perché la cupola della
costruzione richiamava la volta celeste (e quindi le sette divinità
planetarie), e che l'intenzione di Agrippa era stata quella di creare un
luogo di culto dinastico, dedicato agli dei protettori della Gens Iulia (Marte e Venere),
e dove fosse collocata una statua di Ottaviano Augusto, da cui
l'edificio avrebbe derivato il nome. Essendosi l'imperatore opposto ad
entrambe le cose, Agrippa fece porre all'interno una statua del Divo
Giulio e, all'esterno, nel pronao, una di Ottaviano e una di sé
stesso, a celebrazione della loro amicizia e del proprio zelo per il
bene pubblico. L'edificio venne decorato dall'artista neoattico Diogenes di Atene. Distrutto dal fuoco nell'80, venne restaurato sotto Domiziano, ma subì una seconda distruzione sotto Traiano.
Ricostruzione del Pantheon ad opera di Adriano
Sotto Adriano l'edificio venne interamente ricostruito. I bolli laterizi (marchi di fabbrica annuali sui mattoni) appartengono agli anni 115-127
e si può ipotizzare che il tempio fosse stato inaugurato
dall'imperatore durante la sua permanenza nella capitale tra il 125 e il
128. Secondo
alcuni il progetto, redatto subito dopo la distruzione dell'edificio
precedente in epoca traianea, sarebbe attribuibile all'architetto Apollodoro di Damasco. Rispetto all'edificio precedente fu invertito l'orientamento, con
l'affaccio verso nord. Il grande pronao e la struttura di collegamento
con la cella occupavano l'intero spazio del precedente tempio, mentre la
rotonda venne costruita quasi facendola coincidere con la piazza
augustea circolare recintata che divideva il Pantheon dalla basilica di
Nettuno. Il tempio era preceduto da una piazza porticata su tre lati e
pavimentata con lastre di travertino. L'edificio è costituito da un pronao collegato ad un'ampia cella rotonda per mezzo di una struttura rettangolare intermedia.
Il pronao
Il pronao, ottastilo (con otto colonne di granito grigio in facciata), misura m 34,20x15,62 m ed era innalzato di m 1,32 sul livello della piazza
per cui vi si accedeva per mezzo di cinque gradini. L'altezza totale
dell'ordine è di 14,15 m e i fusti hanno 1,48 m di diametro alla base.
Sulla facciata il fregio riporta l'iscrizione di Agrippa in lettere di bronzo, mentre una seconda iscrizione relativa ad un restauro sotto Settimio Severo fu più tardi incisa sull'architrave. Il frontone doveva essere decorato con figure in bronzo,
fissate sul fondo con perni: dalla posizione dei fori rimasti si è
ipotizzata la presenza di una grande aquila ad ali spiegate. All'interno, due file di quattro colonne dividono lo spazio in tre
navate: quella centrale più ampia conduce alla grande porta di accesso
della cella, mentre le due laterali terminano su ampie nicchie che dovevano ospitare le statue di Augusto e di Agrippa qui trasferite dall'edificio augusteo.
I fusti delle colonne erano in granito grigio (otto in facciata) o rosa (otto, distribuite nelle due file retrostanti), provenienti dalle cave egiziane di Assuan, ed anche i fusti dei porticati della piazza erano in granito grigio, sebbene di dimensioni inferiori. I capitelli corinzi, le basi e gli elementi della trabeazione erano in marmo bianco pentelico, proveniente dalla Grecia. L'ultima colonna del lato orientale del pronao, mancante già dal XV secolo fu rimpiazzata da un fusto in granito grigio sotto papa Alessandro VII e la colonna all'estremità orientale della facciata fu ugualmente sostituita sotto papa Urbano VIII
con un fusto in granito rosso: l'originaria alternanza dei colori nelle
colonne è stata perciò alterata nel corso del tempo. Le nuove colonne
provenivano entrambe dalle Terme Neroniane.
Il timpano è divenuto liscio per l'avvenuta perdita della decorazione
bronzea, di cui però si vedono ancora i fori per i supporti che la
sostenevano.
Il tetto a doppio spiovente è sorretto da capriate
lignee, sostenute da muri in blocchi con archi poggianti sopra le file
di colonne interne. La copertura bronzea della travatura lignea del
pronao fu asportata nel 1625 sotto papa Urbano VIII per la edificazione del Baldacchino di San Pietro, opera di Gian Lorenzo Bernini, e per la realizzazione di 80 cannoni del Castel Sant'Angelo: per questo "riciclo" fu scritta la famosa pasquinata "quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini". Il pronao è pavimentato in lastre di marmi colorati che si dispongono
secondo un disegno geometrico di cerchi e quadrati. Anche i lati del
pronao sono rivestiti in marmo.
L'avancorpo
La struttura intermedia che collega il pronao alla cella è un avancorpo in opera laterizia, costituita da due massicci pilastri
che si appoggiano alla rotonda, collegati da una volta che proseguiva
senza soluzione di continuità l'originaria volta sospesa in bronzo della
parte centrale del pronao. Nei pilastri sono inserite scale di accesso
alla parte superiore della rotonda. La parete è rivestita con lastre di marmo pentelico e decorata all'esterno e ai lati della porta della cella da un ordine di lesene che prosegue l'ordine del pronao. Tra le lesene sono inseriti pannelli decorativi con ghirlande e con strumenti sacrificali.
All'esterno la struttura ha la stessa altezza del cilindro della rotonda e doveva come questa avere un rivestimento in stucco e intonaco, poi scomparso.
Sulla facciata un frontone
in laterizio ripete quello del pronao ad un'altezza maggiore, e si
rapporta alle divisioni delle cornici marcapiano presenti sulla rotonda,
che proseguono senza soluzione di continuità sulle pareti esterne della
struttura rettangolare al di sopra dell'ordine di lesene. Il frontone,
nascosto dal pronao, doveva comunque essere visibile solo da grande
distanza. La differenza di livello tra i due frontoni ha fatto ipotizzare che
il pronao dell'edificio fosse stato in origine previsto di maggiori
dimensioni, con fusti di colonna di 14,80 m invece che di 11,84 m, ma che le cave di granito egiziane, già sfruttate per i fusti del monumentale ingresso settentrionale del Foro di Traiano,
non fossero in grado di fornire altri fusti monolitici di tali
eccezionali dimensioni e che il progetto dovette dunque essere ridotto e
modificato. La porta in bronzo, di proporzioni diverse da quelle dell'apertura, proviene forse da un altro antico edificio.
La Rotonda
L'esterno della rotonda nasconde la cupola per un terzo, costruendo
un corpo cilindrico che altro non è che la continuazione in verticale
del tamburo.
Tra cupola e muro esterno è così racchiusa un'ampia intercapedine dove
sono state ricavate un doppio sistema di camere finestrate, organizzate
su un corridoio anulare, che ha anche la funzione di alleggerire il peso
delle volte.
Il corpo esteriore della rotonda, esclusa la cupola, non era visibile
in antico, in quanto nascosto dalla presenza di altri edifici contigui;
per questo non presenta particolari decorazioni, a parte tre cornici
con mensole a altezze diverse: in corrispondenza della trabeazione del primo ordine interno, lungo la linea d'imposta
della cupola e sul coronamento. A ciascuna di queste tre fasce
corrispondono anche diversi materiali usati nell'edificio, via via più
leggeri.
Lo spazio interno della cella rotonda è costituito da un cilindro coperto da una semisfera. Il cilindro ha altezza uguale al raggio (21,72 m) e l'altezza totale dell'interno è uguale al diametro (43,44 m). Al livello inferiore si aprono sei ampie nicchie
distile (ossia con due colonne sul fronte), a pianta alternativamente
rettangolare (in realtà trapezoidale) e semicircolare, più la nicchia
dell'ingresso e l'abside. Questo primo livello è inquadrato da un ordine architettonico con le colonne in corrispondenza dell'apertura delle nicchie e lesene nei tratti di parete
intermedi, che sorreggono una trabeazione continua. Solo l'abside
opposta all'ingresso è invece fiancheggiata da due colonne sporgenti
dalla parete, con la trabeazione che gira all'interno come imposta del
catino absidale a semicupola. Tra le lesene, negli spazi tra le nicchie, sono presenti otto piccole edicole su alto basamento, con frontoncini alternativamente triangolari e curvilinei. Le pareti sono rivestite da lastre di marmi colorati. L'ordine superiore, in
opus sectile, aveva un ordine di lesene in porfido
che inquadravano finestre e un rivestimento in lastre di marmi
colorati. Le finestre si affacciano sul primo corridoio anulare interno
di alleggerimento. La decorazione romana originale di questa fascia fu
sostituita con una realizzata nel XVIII secolo (probabilmente negli anni 1747-1752),
che solo in parte ripristinò l'aspetto antico. Nel settore
sud-occidentale una parte dell'originario aspetto romano di questo
livello fu restaurata successivamente, ma in modo non del tutto preciso.
Il pavimento della rotonda è leggermente convesso verso i lati, con la
parte più alta (spostata di circa 2 metri verso nord-ovest rispetto al
centro) sopraelevata di circa 30 cm, mentre è concavo al centro per far sì che la pioggia che scende all'interno del tempio attraverso l'oculo
posto sulla cima della cupola, defluisca verso i 22 fori di scolo posti
al centro della rotonda. Esistono alcune leggende secondo cui
dall'oculo non entra la pioggia, a causa di un sistema di correnti
d'aria, ma sono evidentemente false. Il rivestimento è in lastre con un
disegno di quadrati in cui sono iscritti alternativamente cerchi o
quadrati più piccoli.
La Cupola
La cupola, del diametro di 43,44 m,
è l'archetipo delle cupole costruite nei secoli successivi in Europa e
nel Mediterraneo, sia nelle chiese cristiane, sia nelle moschee
musulmane. Per ciò che concerne il diametro, la cupola del Pantheon fu,
fino alla costruzione della cupola del Brunelleschi
a Firenze, la più grande in assoluto; oggi, se si considera la
copertura del CNIT di Parigi come una cupola (in realtà è una volta a
crociera), è la terza. La cupola di San Pietro ha invece un diametro leggermente inferiore. Tra le cupole in calcestruzzo, quella del Pantheon ha le dimensioni del diametro ancora insuperate.
All'interno è decorata da cinque ordini di ventotto cassettoni; ventotto era un numero che gli antichi consideravano perfetto,
dal momento che si ottiene dalla somma 1+2+3+4+5+6+7 e che il sette è
un numero che indica perfezione, essendo sette i pianeti visibili ad
occhio nudo. I cassettoni sono di misura decrescente procedendo verso l'alto, e sono
assenti nell'ampia fascia liscia vicina all'oculo centrale, di 8,92 m
di diametro. L'oculo, che dà luce alla cupola, è circondato da una cornice di tegoloni fasciati in bronzo
fissati alla cupola, che forse proseguiva internamente fino alla fila
più alta di cassettoni. Una tradizione romana, vuole che nel Pantheon
non penetri la pioggia per il cosiddetto "effetto camino": in realtà, è
una leggenda legata al passato quando la miriade di candele che venivano
accese nella chiesa, produceva una corrente d'aria calda che saliva
verso l'alto e che incontrandosi con la pioggia la nebulizzava,
annullando pertanto la percezione dell'entrata dell'acqua.
La realizzazione fu resa possibile grazie ad una serie di espedienti
che contribuiscono all'alleggerimento della struttura, dall'utilizzo dei
cassettoni, all'uso di materiali via via sempre più leggeri verso
l'alto: nello strato più vicino al tamburo cilindrico abbiamo strati di calcestruzzo
con scaglie di mattoni, salendo troviamo calcestruzzo con scaglie di
tufo, mentre nella parte superiore, nei pressi dell'oculo troviamo
calcestruzzo confezionato con inerti tradizionali, miscelati a lava
vulcanica macinata.
All'esterno, la cupola è nascosta inferiormente da una
sopraelevazione del muro della rotonda, ed è quindi articolata in sette
anelli sovrapposti, l'inferiore dei quali conserva tuttora il
rivestimento in lastre di marmo. La parte restante era coperta da tegole
in bronzo dorato, asportate dall'imperatore bizantino Costante II, ad eccezione di quelle che circondavano l'oculo, tuttora
in situ. Lo spessore della muratura si rastrema verso l'alto (da 5,90 m inferiormente a 1,50 m in corrispondenza della parte intorno all'oculo centrale).
La struttura
La cupola poggia sopra uno spesso anello di muratura in opera laterizia, sul quale si trovano aperture su tre livelli.
Queste aperture, in parte utilizzate a fini estetici, come le esedre
dell'interno, in parte spazi vuoti con funzioni prevalentemente
strutturali, compongono una struttura di sostegno articolata, inglobata
nell'anello continuo che appare alla vista. Sulla parete esterna della
rotonda è ora visibile dopo la scomparsa dell'intonaco di rivestimento,
la complessa articolazione degli archi di scarico in bipedali inseriti nella muratura da
parte a parte, che scaricano il peso della cupola sui punti di maggior
resistenza dell'anello, alleggerendo il peso in corrispondenza dei
vuoti.
La particolare tecnica di composizione del cementizio
romano permette alla cupola priva di rinforzi di restare in piedi da
quasi venti secoli. Una cupola di queste dimensioni sarebbe infatti
difficilmente edificabile con i moderni materiali, data la poca
resistenza alla trazione
del calcestruzzo moderno, senza armatura. Il fattore determinante
sembra essere una particolare tecnica di costruzione: il cementizio
veniva aggiunto in piccole quantità drenando subito l'acqua in eccesso.
Questo, eliminando in tutto o in parte le bolle d'aria che normalmente
si formano con l'asciugatura, conferisce al materiale una resistenza
eccezionale. Inoltre venivano utilizzati materiali via via più leggeri
per i
caementa mescolati alla malta per formare il cementizio: dal travertino delle fondazioni alla pomice vulcanica della cupola
«Immaginate quale impressione poteva suscitare negli spettatori la
visione dell’imperatore Augusto che, nel momento esatto di varcare la
soglia del Pantheon, veniva illuminato dai raggi del sole come da un
riflettore di scena!».
È Eugenio La Rocca, storico sovrintendente ai Beni culturali del Comune
di Roma (da quando era sindaco Francesco Rutelli fino al sodalizio con
Walter Veltroni), nonché professore ordinario de La Sapienza e curatore
della mostra blockbuster «Augusto» alle Scuderie del Quirinale, a
svelare i retroscena di uno spettacolo astronomico unico. Uno show ben
congegnato, su progetto del primo imperatore di Roma, e che si
manifestava in un solo giorno dell’anno. Ma non una data qualsiasi
(perché nulla nelle imprese architettoniche e urbanistiche della Roma
antica è lasciato al caso). Bensì, il 21 aprile, a mezzogiorno. Coordinata emblematica che rimanda
al Natale di Roma, la fondazione della città eterna per volere di
Romolo. Fino ad oggi la cupola mozzafiato del Pantheon (monumento eretto
sotto Augusto, poi ricostruito da Adriano nella prima metà del II sec.
d.C.) ha stimolato fior di studi, ma anche innumerevoli leggende e
curiosità legate al suo «oculo», quell’unica finestra circolare (del
diametro di nove metri) che si apre al centro della cupola titanica.
Ebbene questo «opaion» (per dirla con gli antichi) ha un significato
archeo-astronomico ben preciso che è stato ricostruito e documentato da
La Rocca, mettendo in relazione per la prima volta una serie di fonti
con recenti scoperte archeologiche. Lo studio è stato presentato ieri
nel corso di una conferenza presso la Biblioteca Vallicelliana dal
titolo «Augusto nel Campo Marzio settentrionale».
LA PORTA DI BRONZO
«I raggi del sole, fluendo dall’oculo, colpiscono tuttora le pareti del
tempio proprio come un riflettore di scena, scandendo il passare delle
stagioni ed evidenziando in determinati giorni e in determinati orari le
edicole e le esedre - racconta La Rocca - Ma la fascia luminosa si
dirige e colpisce perfettamente la porta d’ingresso del Pantheon nel
giorno del 21 aprile, la nascita di Roma: a mezzogiorno esatto, il faro
di luce centrava, e centra ancora oggi, l’ingresso del tempio». Che
fosse un fenomeno solare legato ad Augusto lo confermano le recenti
scoperte, nell’area antistante il Pantheon, delle originarie scale del
tempio di età augustea: «Questi reperti testimoniano che il Pantheon
rifatto da Adriano, cioè quello che vediamo oggi, ha preservato
l’orientamento verso Nord - riflette La Rocca - E sempre dell’edificio
augusteo conserva anche la monumentale porta di bronzo. Pertanto ci sono
tutte le motivazioni per supporre che il fenomeno dei raggi solari
riguardasse anche il Pantheon di Augusto, eretto com’è noto da Agrippa
amico e genero di Augusto, che dovremo immaginare di conformazione
simile, anche se di struttura meno complessa, ma con la stessa tipologia
della facciata». E perché questa mise-en-scène? «È il programma
politico di Augusto - evidenzia La Rocca - restituire la sua figura come
nuovo fondatore della città, nel segno della pace». Un autentico
«teatro solare».