Dubai, ecco l'isola a forma di palma

Le Palm Islands sono tre isole artificiali, Palma Jumeirah, Palma Jebel Ali e Palma Deira, antistanti Dubai, negli Emirati Arabi Uniti.

Il Pantheon della Roma antica

All'inizio del VII secolo il Pantheon è stato convertito in basilica cristiana, chiamata Santa Maria della Rotonda.

Casa Batllò, Barcellona

Considerata una delle opere più originali del celebre architetto catalano Antoni Gaudí , l'edificio è stato dichiarato, nel 2005, patrimonio dell'umanità dell'UNESCO.

Giza e le sue Piramidi

Giza deve la sua importanza al fatto di ospitare, su un pianoro roccioso che si trova alla periferia della città, una delle più importanti necropoli dell'antico Egitto.

I trulli pugliesi

I Trulli di Alberobello sono stati dichiarati Patrimonio mondiale dell'umanità dall'UNESCO.

Villa Adriana, Tivoli

Costruita a partire dal 117 d.C. dall’imperatore Adriano, è la più importante e complessa Villa a noi rimasta dell’antichità romana.

Mediateque di Toyo Ito, Sendai

Toyo Ito: quando la comunicazione è come la luce.

lunedì 3 giugno 2013

Mediateca di Toyo Ito

La metafora "figura retorica sulla quale si esprime con una similitudine una cosa diversa da quella nominata" a cui si basa il progetto della mediateca a Sendai, unisce concetti naturali e artificiali, in quanto sono presenti nella figura dell'acquario "vasca o sistema di vasche, generalmente a vetri, in cui si tengono in vita piante e animali acquatici a scopo di studio o di ornamento".
L'acquario di Toyo Ito, una scatola di vetro 55x55 metri, è suddiviso in diversi piani. Lo spessore dei solai è ridotto al minimo con l'uso di un sistema costruttivo a "sandwich": due strati di acciaio con un disposizione di travi in mezzo.   

Nonostante la netta separazione delle funzioni e dei livelli dell'edificio, i materiali utilizzati - predominanza del vetro sul cemento e l'acciaio - e l'originalità degli allestimenti e degli elementi di arredo - forme ondulate, alcove, assenza quasi totale di pareti fisse, dispositivi d'illuminazione artificiale diversi a ogni piano e per ogni modalità di lettura o consultazione dei materiali audiovisivi, colori vivaci giocati sull'alternanza di verde e bianco, rosso, arancione fosforescente - creano un effetto di trasparenza che si traduce nella continuità tra interno ed esterno, 
evidente a ogni piano della mediateca. L'insieme di piazze pensili, con grande forza, comunica un preciso messaggio; oggi, in mancanza di uno stile condiviso, un nuovo monumento della città può essere imposto anche con una regia di tonalità cromatiche effimere: semplici e naturali variazioni tra luminosità notturna e trasparenza diurna. 

Nonostante la trasparenza delle facciate, che rivela le divisioni dei solai all'esterno, l'aspetto è di un singolo volume, di un recipiente "oggetto destinato a contenere specialmente liquidi: recipiente di ferro, di rame, di vetro, di coccio, di legno ", contenitore di tecnologia: quella esposta all'interno e quella utilizzata per la costruzione. 

La "scatola", come un vero e proprio acquario, è piena di alghe "Organismi vegetali, uni o pluricellulari, prevalentemente acquatici, che, sebbene morfologicamente diversi uni dagli altri, presentano tuttavia una grande semplicità di struttura", che, come dice l'architetto, "danzano nell'acqua". 

Sono dei tubolari metallici saldati insieme, che formano 13 cilindri costruttivi e che vano dal piano terra alla copertura, forando i piani quasi naturalmente. Come le vegetali, la struttura cresce e si sviluppa verso l'alto, con varie torsioni e deformazioni. Le composizioni nascono dall'incontro casuale delle forme, a volte come nella natura. 

Questi 13 pilastri "elemento strutturale ad asse verticale di forma per lo più prismatica simbolo di solidità o di immobilità" sono effettivamente la struttura che regge l'edificio, ma per di più, sono dei volumi a pianta circolare con diverse funzioni. Fungano da corte verticali, attribuite da usi che evidenziano la loro continuità tra le varie livelli. Alcuni alloggiano gli impianti di circolazione come scale e ascensore, altri sono lucernari, oppure vuoti per gli scarichi idraulici e condutture elettriche.

Il sistema statico della Mediateca  

L’intero sistema statico della Mediateca è poi costituito su un singolare insieme strutturistico particolarmente articolato – piuttosto semplice nella sua concezione – di elementi integrati ma parzialmente autonomi, composto da colonne portanti svuotate (barre metalliche leggere, individuali o tra loro saldate) reggenti i pianali dei pavimenti-soffitti in una maniera del tutto particolare (tenendoli cioè svincolati dai loro supporti, e soltanto infilati nelle forme tubolari di sostegno). Questo speciale impianto statico permette alle superfici orizzontali (come egregiamente mostra il modello simulativo creato dall’architetto nel 1995) di assoggettarsi ai movimenti delle scosse del terremoto, disponendosi perfino di traverso o addirittura inclinandosi consistentemente, senza però spezzarsi nei luoghi di contatto con le strutture verticali da cui le solette si trovano svincolate. Inoltre, gli stessi sostegni colonnari di forma ibrida, assemblati in fasci di tubi metallici ed il più possibile svuotate per non opporre ai dinamismi sismici una eccessiva resistenza monolitica, sono state conformate in una strana (ed all’apparenza assurda) composizione sghemba e di configurazione instabile, come traballante e già dissestata, proprio per assecondare anch’essi le azioni distorcenti dei terremoti, e frazionare già dalla loro origine costruttiva i punti di rovina in un complesso e dispersivo assemblaggio eterogeneo, a sua volta ammortizzante i colpi energetici sussultori.
In tutto seguendo il principio proprio di resistenza elastica di un aggregato organico di  canne di bambù lasciate tra loro indipendenti.

Villa Adriana, Tivoli (RM)

E’ la residenza imperiale dell'imperatore Adriano (76-138) presso Tivoli (l'antica Tibur), oggi in provincia di Roma. Realizzata gradualmente nella prima metà del II secolo a pochi chilometri dall'antica Tibur, la struttura appare un ricco complesso di edifici estendentesi su una vasta area, che doveva coprire circa 120 ettari, in una zona ricca di fonti d'acqua a 17 miglia romane dall'Urbs.  Si trova sui Monti Tiburtini, a circa 28 km (17 miglia romane) da Roma, dalla quale era raggiungibile sia per mezzo della via Tiburtina o della via Prenestina, sia tramite la navigazione sul fiume Aniene. La Villa si trovava sulla destra della via Tiburtina, poco oltre il ponte Lucano, prolungandosi fin quasi alle pendici del monte Ripoli su cui sorge Tivoli.
L'area prescelta si estendeva tra le valli dei fossi di Risicoli o di Roccabruna ad ovest e dell'Acqua Ferrata ad est, che, riunitisi, si gettano poi nell'Aniene; era una zona ricca di acque e vi passavano quattro degli antichi acquedotti romani che servivano Roma (Anio Vetus, Anio Novus, Aqua Marcia e Aqua Claudia). Nei pressi esiste tuttora la sorgente di acqua sulfurea delle Acque Albule (Bagni di Tivoli), che era conosciuta ed apprezzata dall'imperatore. Nei dintorni inoltre erano presenti numerose cave di materiali da costruzione (travertino, pozzolana, tufo e calcare per la realizzazione della calce).
Tra le molte ville rustiche che fin dall'età repubblicana erano sorte fra Roma e Tivoli, ne esisteva già una costruita nel periodo sillano, ingrandita all'epoca di Giulio Cesare, pervenuta forse in proprietà della moglie di Adriano, Vibia Sabina, che proveniva da una famiglia di antica nobiltà italica. Fu questo il primo nucleo della villa, incorporato poi nel Palazzo imperiale.
Lo studio del sistema di canalizzazione e delle fognature sembra indicare che la progettazione del complesso sia stata unitaria, anche se dai bolli laterizi ritrovati in circa metà degli edifici emergono tre fasi di costruzione particolarmente attive tra il 118 e il 121, il 125 e il 128 e il 134-138. Di ritorno a Roma nei primi mesi del 134, Adriano poté godere della villa solamente gli ultimi anni della sua esistenza, fino alla morte avvenuta a Baia il 10 luglio 138. 
La complessità della residenza, più che alle numerose sfaccettature della personalità di Adriano, fu dovuta alla necessità di soddisfare esigenze e funzioni diverse (residenziali, di rappresentanza, di servizio), oltre che all'andamento frastagliato del terreno; la magnificenza e l'articolazione delle costruzioni rispecchiano le idee innovative dell'imperatore in campo architettonico. Si afferma comunemente che egli volle riprodurre nella sua villa i luoghi e i monumenti che più lo avevano colpito durante i suoi viaggi nelle province dell'impero, sulla base di un passo del suo biografo tardo-antico Elio Sparziano. In realtà gli edifici della villa presentano tutti i caratteri più innovativi dell'architettura romana del tempo, per cui le riproduzioni adrianee di monumenti della Grecia o dell'Egitto vanno intese come suggestioni evocative e non come ricostruzioni reali.

Gli edifici che la compongono:

Pecile 

Il Pecìle è una ricostruzione della Stoà Pecile (stoà poikìle, "portico dipinto") nell'agorà di Atene, centro politico e culturale della città di Atene, la prediletta da Adriano durante i suoi numerosi viaggi.
Il Pecile, un'immensa piazza colonnata di forma quadrangolare, decorata al centro da un bacino e circondata da un portico, si innalzava su poderose costruzioni artificiali. Attraverso una serie di edifici termali poi si giungeva al Canopo. Sulla piazza centrale, si affacciavano gli alloggi delle guardie, del personale amministrativo e di servizio.

Canopo e Serapeo 

Si deve a Pirro Ligorio, famoso architetto napoletano al servizio del cardinale Ippolito d’Este, il riconoscimento del Canopo menzionato nella biografia di Adriano (Elio Sparziano, Vita Hadriani) nella “valle longhissima” di fronte all’articolato padiglione absidato con giochi d’acqua, che egli definì tempio del dio Canopo o Nettuno.
L’identificazione di questa zona della villa con il canale egizio che congiungeva l’omonima città di Canopo - sede di un celebre tempio dedicato a Serapide - con Alessandria, sul delta del Nilo, venne accettata senza riserve, come documenta ampiamente la letteratura archeologica: non solo Ligorio vi aveva trovato una statua di Iside ma tale dato sembrò ulteriormente confermato dall’attribuzione a questa zona di Villa Adriana anche del ciclo di sculture egittizzanti in basalto e pietra nera, oggi conservate presso i Musei Vaticani, frutto di ritrovamenti settecenteschi da parte dei Gesuiti. Una recente rilettura critica delle fonti antiquarie ha tuttavia consentito di recuperare il vero luogo di ritrovamento di tali sculture, da riconoscere nella zona di fronte alle Cento Camerelle, compresa anch’essa nel Settecento nella proprietà dei Gesuiti e dove recentemente sono venuti in luce materiali del tutto analoghi, frutto delle campagne di scavo condotte negli ultimi anni. 
La presenza di uno stibadium, o letto tricliniare, all’interno dell’ampio padiglione a esedra del Canopo prova che il complesso sia da interpretare come un grande spazio per banchetto all’aperto, arricchito da giochi d’acqua: le cascatelle, i canali, e il mosaico di pasta vitrea sulla grande volta a ombrello dell’esedra conferiscono al padiglione quasi l’aspetto di una fontana monumentale. Lo stibadium, costituito da un basamento in muratura di forma semicircolare e dalla superficie inclinata, era coperto in antico da tappeti e cuscini: gli ospiti vi si sdraiavano in occasione del convito, rinfrescati dallo scorrere dell’acqua in rivoli, cascatelle e fontane, che circondava i commensali garantendo frescura e una piacevole atmosfera, completata dalla vista sul lungo specchio d’acqua. Quest’ultimo, inquadrato da un pergolato e da siepi di fiori, era completato da numerose sculture, in parte emergenti dall’acqua: su un dado in muratura nella zona meridionale era posizionato il gruppo di Scilla, mentre sul lato opposto era verosimilmente collocato il coccodrillo-fontana di marmo cipollino.
Fra i ritrovamenti venuti in luce negli anni cinquanta, quando tutta l’area venne liberata dall’interro, si rinvennero, oltre al coccodrillo, anche una statua di personaggio semisdraiato raffigurante il Nilo e due Sileni canefori (portatori di canestri) con funzione di telamoni, derivanti da modelli di ambiente alessandrino. In aggiunta alla statua di Iside scoperta da P. Ligorio, sono comunque poche le sculture di soggetto egizio provenienti con certezza dal Canopo, tutte peraltro realizzate non in stile egittizzante, ma secondo i canoni dell’arte ellenistica.
Non appare dunque giustificata l’ipotesi di caricare di un significato religioso – come ha fatto ad esempio J.-C. Grenier - questa zona della villa, la cui sistemazione in senso egizio, che lo studioso ricostruisce con tutte le sculture ‘egizie’ provenienti da Villa Adriana, alluderebbe al rilancio del culto di Serapide promosso da Adriano e alla celebrazione del nuovo dio Antinoo. Tale teoria, che ha avuto largo seguito, implica anche un altro presupposto, ugualmente da rigettare: che l’imperatore avesse voluto rappresentare qui l’“Egitto del viaggio”, come lo definisce Grenier, alludendo al viaggio in Egitto nel quale era morto il giovane favorito.
In realtà, come provano i marchi di fabbrica presenti sui laterizi, la costruzione del Canopo va collocata in una data decisamente antecedente al 130 d.C. e l’edificio noto come Canopo va piuttosto interpretato come una rappresentazione evocativa di un ambiente egizio in senso esotico, un giardino nilotico destinato ai banchetti, analogamente al canale sul delta del Nilo, famoso per le feste che vi si svolgevano.

Piazza d’Oro

Era un complesso periptero con una vasca centrale rettangolare, che tagliava longitudinalmente la spianata dei giardini, sul cui lato minore meridionale si staglia un grandioso edificio con cupola centrale. Le colonne, disposte su un portico a quattro bracci, in cipollino e granito egiziano, disegnano andamenti ora concavi ora convessi, rendendo un bellissimo gioco visivo. Sui bracci est ed ovest si delineano due lunghi corridoi. Da quello orientale si accede all'edificio principale. 
Alle spalle del portico sul lato nord vi sono i resti della Casa Colonica, una struttura di epoca precedente, caratterizzato da pavimenti a mosaico di modesta qualità e destinata alla servitù. In quest'ala della villa furono ritrovati i ritratti imperiali di Vibia Sabina, Marco Aurelio e Caracalla. La ricchezza degli ambienti e del corredo architettonico, dedotta dall'alto numero di fori che sorreggevano le grappe cui erano appesi i marmi, suggerisce l'ipotesi che questa zona fosse legata alle funzioni pubbliche del palazzo.

Il Teatro Marittimo 

Il Teatro marittimo, definizione assegnata dai moderni, è una delle prime costruzioni della villa, tanto che è stata interpretata come la primissima, provvisoria residenza di Adriano nel sito. Le sue caratteristiche di separatezza rendono credibile l'ipotesi che il luogo costituisse la parte privata del palazzo.
La struttura, iniziata nel 118, fu edificata nei pressi della villa repubblicana. È un complesso assai singolare, ad un solo piano, senza alcun rapporto con la forma abituale di un teatro romano, costituito da un pronao di cui non resta più nulla, mentre sono riconoscibili la soglia dell'atrio e tracce di mosaici pavimentali. All'interno consta di un portico circolare a colonne ioniche, voltato. Il portico si affaccia su un canale al centro del quale sorge un isolotto di 45 m di diametro, composto anch'esso da un atrio e da un portico in asse con l'ingresso, più un piccolo giardino, un complesso termale minore, alcuni ambienti e delle latrine. La struttura non prevedeva alcun ponte in muratura che collegasse l'isolotto al mondo esterno, e per accedervi era necessario protendere un breve ponte mobile.

Le Grandi Terme 

Devono la loro denominazione sia all’ampiezza dei singoli ambienti che alla vastità di superficie occupata rispetto  agli altri impianti termali della villa.
Entrambi i complessi delle Piccole e Grandi Terme erano collegati, sul lato occidentale, da un corridoio sotterraneo che permetteva l’accesso ai praefurnia ed era direttamente raggiungibile dal personale di servizio alloggiato nell’area delle Cento Camerelle. 
Lungo questo lato si dispongono gli ambienti riscaldati, tra i quali, immediatamente riconoscibile per la forma circolare e la copertura a calotta con occhio centrale, nonché l’assenza di impianti idrici, la sala per la sudatio, che conserva ancora tutta la sua imponenza, nonostante il crollo della porzione frontale su cui si aprivano le grandi finestre per catturare i raggi solari. Si succedono poi tepidaria -  stanze riscaldate che in alcuni casi presentano, oltre alle suspensurae sotto il pavimento, anche le pareti costituite da tubuli o condotte di mattoni forati per la circolazione dell’aria calda -  e caldaria, o ambienti provvisti di vasche per il bagno caldo.  
La zona centrale è occupata quasi interamente dal frigidarium, un’ampia sala rettangolare con volta a crociera, su cui si aprivano ad un livello inferiore due ambienti accessibili per mezzo di gradini rivestiti di marmo, l'uno absidato e l’altro rettangolare, che costituivano le piscine per il bagno freddo; entrambi gli ingressi erano inquadrati da alte colonne di marmo cipollino con capitelli ionici assai raffinati; la vasca absidata era abbellita originariamente da statue, come indica la presenza di nicchie nella parete di fondo. Dal frigidarium si poteva accedere, oltre che all’ambiente circolare per la sudatio, anche ad  un’ampia sala, ugualmente riscaldata, affacciata sul lato meridionale, che presenta la peculiarità di un soffitto decorato da stucchi con motivi geometrici e medaglioni figurati, di cui rimane traccia nei pennacchi angolari della volta.
Su ciascun lato della vasca rettangolare un corridoio permetteva di raggiungere un ambiente rettangolare con pavimento a mosaico, interpretato da alcuni come sphaeristerium (sala adibita al gioco della palla), prospiciente la palestra, costituita da un ampio cortile in opus spicatum circondato da un portico pavimentato a mosaico, oggi privo delle colonne. L’opus spicatum risulta impiegato anche al di sopra della copertura della vasca rettangolare del frigidarium, che era evidentemente a terrazza, come possiamo dedurre dall’esame dei blocchi di crollo visibili sul pavimento della vasca.
Anche in questo complesso termale è notevole la varietà delle soluzioni architettoniche proposte per la copertura dei diversi ambienti, che si impongono per la loro monumentalità, anche se non presentano una decorazione sfarzosa come le altre terme della villa; se si eccettuano la grande sala con gli stucchi e l’ambiente contiguo, pavimentato in opus sectile, la decorazione dei rivestimenti è senza dubbio assai più modesta: i pavimenti, in gran parte conservati, sono di mosaico bianco, eventualmente bordato da una o due fasce nere e le pareti erano rivestite di intonaco anziché di marmi, caratteristiche che fanno supporre per questo edificio una destinazione per il personale addetto alla villa.    

L'Antinoeion  

Nel 2003 vengono alla luce lungo la strada di accesso al Grande Vestibolo e davanti al fronte delle Cento Camerelle i resti di quello che verrà identificato come un luogo di culto dedicato ad Antinoo, amante dell'imperatore e da esso divinizzato dopo la sua morte prematura. La struttura presenta il basamento di due templi affrontati all'interno di un recinto sacro con un'esedra sul fondo. Al centro, tra i due templi, il basamento dell'obelisco che è stato identificato con l'Obelisco Pinciano. Datato al 134 d.C. si pensa fosse anche luogo dell'inumazione del dio amante di Adriano.

All'interno del complesso sono stati rinvenuti frammenti di statue in marmo nero, relative a divinità egizie o a figure di sacerdoti che confermerebbero che quello fosse il luogo di culto del dio Osiride-Antinoo.

L'Eretteo, Atene

Nonostante la grande importanza del culto tributato ad Atena nel grande tempio (prima l'Ekatónpedon, poi il Partenone) sulla sommità dell'Acropoli, questo santuario, dedicato alla dea Atena Poliade (protettrice della città), era legato a culti arcaici e alle più antiche memorie della storia leggendaria della città, costituendo il vero nucleo sacro dell'Acropoli e dell'intera città. In questo luogo si sarebbe infatti svolta la disputa tra Atena e Poseidone: vi si custodivano le impronte del tridente del dio su una roccia, un pozzo di acqua salata da cui sarebbe uscito il cavallo, dono del dio, e l'olivo, donato dalla dea Atena alla città. Qui il re Cecrope, metà uomo e metà serpente, avrebbe consacrato il Palladio, la statua della dea caduta miracolosamente dal cielo. Il santuario ospitava inoltre le tombe di Cecrope, di Eretteo e un luogo di culto dedicato a Pandroso, la figlia di Cecrope amata dal dio Ermes. 
L'Eretteo venne costruito in sostituzione del tempio arcaico (VI secolo a.C.) avente la stessa funzione votiva di cui restano le fondamenta tra l'edificio più recente e il Partenone; in epoca romana il nuovo edificio prese il nome di "Eretteo" (Erekteíon, ovvero "colui che scuote"), dall'appellativo di Poseidone.
Iniziata da Alcibiade nel 421 a.C. in un momento di relativa pace, la costruzione fu interrotta durante la spedizione in Sicilia (Guerra del Peloponneso) e ripresa negli anni 409-407 a.C., come attestano i rendiconti finanziari conservati al Museo epigrafico di Atene e al British Museum.
Costruito in marmo pentelico, l'Eretteo è opera dell'architetto Filocle.
La necessità di ospitare i diversi culti tradizionali, collocati su un'area con un forte dislivello (più elevata a sud-est e più bassa di circa 3 m a nord-ovest) determinò una pianta insolita.
Il tempio si compone di un corpo rettangolare anfiprostilo (ovvero con colonne nella parte anteriore e posteriore del tempio), con sei colonne ioniche sulla fronte a est; a ovest gli intercolumni (spazi tra le colonne) sono chiusi da setti murari dotati di ampie finestre e le colonne si presentano all'esterno come semicolonne sopraelevate sul muro di 3 metri costruito per superare il dislivello del terreno. L'interno era suddiviso in due celle a livello diverso e non comunicanti tra loro: quella orientale, più alta, alla quale si accedeva dal pronao esastilo, che ospitava il Palladio, e quella occidentale più in basso, suddivisa in tre vani: un vestibolo comune dava accesso a due vani gemelli che ospitavano i culti di Poseidone e del mitico re Eretteo. Al corpo centrale si addossano la loggia con le Cariatidi a sud, che custodisce la tomba del re Cecrope, e un portico a nord, più sporgente del corpo centrale verso ovest, costruito per proteggere la polla di acqua salata fatta sgorgare da Poseidone. Il portico è costituito da quattro colonne in fronte e due di lato; da qui si accede sia alla cella per il culto di Poseidone e di Eretteo, sia ad una zona a cielo aperto davanti al basamento pieno che sorregge le semicolonne della fronte occidentale, dove si trovavano l'ulivo di Atena e la tomba di Pandroso (Pandroseion).
Le colonne si presentano particolarmente snelle ed eleganti e il tempio era ornato da una raffinata decorazione: le basi delle colonne, la fascia decorativa che sormonta e corre lungo le pareti del corpo centrale con un motivo di fiori di loto e palmette; il fregio continuo lungo l’esterno della costruzione, in pietra scura di Eleusi, sulla quale erano applicate figure scolpite in marmo bianco (con un gusto che, come annota Bianchi Bandinelli, sembra anticipare quello tardo ellenistico dei cammei in vetro a fondo azzurro). Particolarmente ricche le decorazioni del portico a nord, negli intrecci sulle colonne e nel fregio ornamentale della porta d’ingresso. Bronzi dorati, dorature, perle vitree in quattro colori sottolineavano la ricchezza dell’alzato.
Le statue delle Cariatidi, forse opera dello scultore Alcamene, sono attualmente sostituite da copie, mentre gli originali sono conservati al riparo nel Museo dell'Acropoli. Una delle cariatidi angolari, rimossa da lord Elgin, si trova al British Museum di Londra.