Dubai, ecco l'isola a forma di palma

Le Palm Islands sono tre isole artificiali, Palma Jumeirah, Palma Jebel Ali e Palma Deira, antistanti Dubai, negli Emirati Arabi Uniti.

Il Pantheon della Roma antica

All'inizio del VII secolo il Pantheon è stato convertito in basilica cristiana, chiamata Santa Maria della Rotonda.

Casa Batllò, Barcellona

Considerata una delle opere più originali del celebre architetto catalano Antoni Gaudí , l'edificio è stato dichiarato, nel 2005, patrimonio dell'umanità dell'UNESCO.

Giza e le sue Piramidi

Giza deve la sua importanza al fatto di ospitare, su un pianoro roccioso che si trova alla periferia della città, una delle più importanti necropoli dell'antico Egitto.

I trulli pugliesi

I Trulli di Alberobello sono stati dichiarati Patrimonio mondiale dell'umanità dall'UNESCO.

Villa Adriana, Tivoli

Costruita a partire dal 117 d.C. dall’imperatore Adriano, è la più importante e complessa Villa a noi rimasta dell’antichità romana.

Mediateque di Toyo Ito, Sendai

Toyo Ito: quando la comunicazione è come la luce.

lunedì 17 giugno 2013

Il Colosseo, Roma

File:Colosseo-1.JPGOriginariamente conosciuto come Anfiteatro Flavio o semplicemente come Amphitheatrum, è il più grande anfiteatro del mondo. È situato nel centro della città di Roma. In grado di contenere fino a 50.000 spettatori, è il più importante anfiteatro romano, nonché il più imponente monumento della Roma antica che sia giunto fino a noi. È conosciuto in tutto il mondo come simbolo della città di Roma e dell'Italia.
L'anfiteatro è stato edificato su un'area al limite orientale del Foro Romano. La sua costruzione fu iniziata da Vespasiano nel 72 d.C. e fu inaugurato da Tito nell'80, con ulteriori modifiche apportate durante il regno di Domiziano. Non più in uso dopo il VI secolo, l'enorme struttura venne variamente riutilizzata nei secoli, anche come cava di materiale. Il nome "Colosseo", che deriva dalla vicina statua del Colosso di Nerone, si diffuse solo nel Medioevo. Ben presto l'edificio divenne simbolo della città imperiale, espressione di un'ideologia in cui la volontà celebrativa giunge a definire modelli per lo svago del popolo. Oggi è un simbolo della città e una delle sue maggiori attrazioni turistiche.
Era usato per gli spettacoli di gladiatori e altre manifestazioni pubbliche (spettacoli di caccia, rievocazioni di battaglie famose, e drammi basati sulla mitologia classica). La tradizione che lo vuole luogo di martirio di cristiani è destituita di fondamento. Esprime con chiarezza le concezioni architettoniche e costruttive romane della prima Età imperiale, basate rispettivamente sulla linea curva e avvolgente offerta dalla pianta ellittica e sulla complessità dei sistemi costruttivi. Archi e volte sono concatenati tra loro in un serrato rapporto strutturale.
L'edificio forma un'ellisse di 527 m di perimetro, con assi che misurano 187,5 e 156,5 m. L'arena all'interno misura 86 x 54 m, con una superficie di 3.357 m². L'altezza attuale raggiunge 48,5 m, ma originariamente arrivava a 52 m.
Il Colosseo, come tutto il Centro storico di Roma, le Zone extraterritoriali della Santa Sede in Italia e la Basilica di San Paolo fuori le mura, è stato inserito nella lista dei Patrimoni dell'umanità dall'UNESCO nel 1980. Nel 2007 il complesso è stato anche inserito fra le Nuove sette meraviglie del mondo, a seguito di un concorso organizzato da New Open World Corporation .
Oggi le sue condizioni di salute appaiono preoccupanti, visto che studi sulla sua struttura hanno evidenziato oltre 3.000 lesioni e un esteso stato fessurativo. Inoltre, nel 2012 è avvenuta la scoperta di un'inclinazione di 40 cm della struttura, probabilmente a causa di un cedimento della platea di fondazione su cui poggia.
La sua costruzione iniziò nel 70 sotto l'imperatore Vespasiano, della dinastia flavia. I lavori furono finanziati, come altre opere pubbliche del periodo, con il provento delle tasse provinciali e il bottino del saccheggio del tempio di Gerusalemme (70 d.C.). L'area scelta era una vallata tra la Velia, il colle Oppio e il Celio, in cui si trovava un lago artificiale (lo stagnum citato dal poeta Marziale) fatto scavare da Nerone per la propria Domus Aurea. Questo specchio d'acqua, alimentato da fonti che sgorgavano dalle fondazioni del Tempio del Divo Claudio sul Celio, venne ricoperto da Vespasiano con un gesto "riparatorio" contro la politica del "tiranno" Nerone che aveva usurpato il terreno pubblico, e destinato ad uso proprio, rendendo così evidente la differenza tra il vecchio ed il nuovo principato. Vespasiano fece dirottare l'acquedotto per uso civile, bonificò il lago e vi fece gettare delle fondazioni, più resistenti nel punto in cui sarebbe dovuta essere edificata la cavea. Vespasiano vide la costruzione dei primi due piani e riuscì a dedicare l'edificio prima della propria morte nel 79. L'edificio era il primo grande anfiteatro stabile di Roma, dopo due strutture minori o provvisorie di epoca giulio-claudia (l'amphiteatrum Tauri e l'amphiteatrum Caligulae) e dopo ben 150 anni dai primi anfiteatri in Campania.
Il figlio e successore di Vespasiano, Tito, aggiunse il terzo e quarto ordine di posti e inaugurò l'anfiteatro con cento giorni di giochi, nell'80. Poco dopo, il secondo figlio di Vespasiano, l'imperatore Domiziano, operò importanti modifiche, completando l'opera ad clipea (probabilmente degli scudi decorativi in bronzo dorato), aggiungendo forse il maenianum summum in ligneis e realizzando i sotterranei dell'arena: dopo il completamento dei lavori non fu più possibile tenere nell'anfiteatro delle naumachie (rappresentazioni di battaglie navali), che invece le fonti riportano per l'epoca precedente. 
http://www.umbriaecultura.it/wp-content/uploads/2015/04/colosseo.jpgContemporaneamente all'anfiteatro furono costruiti alcuni edifici di servizio per i giochi: i ludi (caserme e luoghi di allenamento per i gladiatori, tra cui sono noti il Magnus, il Gallicus, il Matutinus e il Dacicus), la caserma del distaccamento dei marinai della Classis Misenensis (la flotta romana di base a Miseno) adibiti alla manovra del velarium (castra misenatium), il summum choragium e gli armamentaria (depositi delle armi e delle attrezzature), il sanatorium (luogo di cura per le ferite dei combattimenti) e lo spoliarum un luogo in cui venivano trattate le spoglie dei gladiatori defunti in combattimento.
Il Colosseo era circondato da un'area di rispetto pavimentata in travertino.
La facciata esterna (alta fino a 48,50 m) è in travertino e si articola in quattro ordini, secondo uno schema tipico di tutti gli edifici da spettacolo del mondo romano: i tre registri inferiori con 80 arcate numerate, rette da pilastri ai quali si addossano semicolonne, mentre il quarto livello (attico) è costituito da una parete piena, scompartita da paraste in corrispondenza dei pilastri delle arcate. Nei tratti di parete tra le lesene si aprono 40 piccole finestre quadrangolari, una ogni due riquadri (nei riquadri pieni dovevano trovarsi i clipei bronzei), e immediatamente sopra il livello delle finestre vi sono collocate tre mensole sporgenti per ogni riquadro, nelle quali erano alloggiati i pali di legno che venivano utilizzati per aprire e chiudere il velarium, il telo di copertura che riparava gli spettatori, manovrato da un distaccamento di marinai della flotta di Miseno e probabilmente ancorato a terra alla serie di cippi inclinati che ancora oggi è visibile, in parte, esternamente al limite della platea basamentale in travertino (visibili quelli sul lato verso il Celio).
Al secondo e terzo livello gli archi sono bordati da una parapetto continuo, in corrispondenza del quale le semicolonne presentano un dado come base.
Le semicolonne e le lesene dei quattro ordini hanno a partire dal basso capitelli tuscanici, ionici, corinzi e corinzi a foglie lisce. I primi tre ordini ripetono la medesima successione visibile sulla facciata esterna del teatro di Marcello.
Le raffigurazioni monetarie ci tramandano la presenza di quattro archi alle terminazioni delle assi dell'ellisse della pianta, ornati da un piccolo protiro marmoreo.
All'interno la cavea con i gradini per i posti degli spettatori era interamente in marmo e suddivisa, tramite praecinctiones o baltea (fasce divisorie in muratura), in cinque settori orizzontali (maeniana), riservati a categorie diverse di pubblico, il cui grado decresceva con l'aumentare dell'altezza. Il settore inferiore, riservato ai senatori e alle loro famiglie, aveva gradini ampi e bassi che ospitavano seggi di legno (subsellia); sulla balaustra del podio venivano iscritti i nomi dei senatori a cui i posti inferiori erano riservati.
Seguivano il maenianum primum, con una ventina di gradini di marmo, il maenianum secundum, suddiviso in imum (inferiore) e summum (superiore), ancora con circa sedici gradini in marmo, e infine il maenianum summum, con circa undici gradini lignei all'interno del portico colonnato che coronava la cavea (porticus in summa cavea): i resti architettonici di quest'ultimo appartengono ai rifacimenti di epoca severiana o di Gordiano III. Sui gradini sotto il colonnato prendevano posto le donne, alle quali, da Augusto in poi, fu sempre vietato di mescolarsi ad altri spettatori. Il posto peggiore era sul terrazzo sopra il colonnato, solo con posti in piedi, destinato alle classi infime della plebe.
Verticalmente i settori erano scanditi da scalette e dagli accessi alla cavea (vomitoria), ed erano protetti da transenne in marmo (risalenti ai restauri del II secolo).
http://www.hotelfororomano.com/wp-content/gallery/gallery-fori-colosseo/colosseo.jpgAlle due estremità in corrispondenza dell'asse minore, precedute esternamente da un avancorpo, si trovavano due palchi riservati agli alti personaggi ospitati nei due palchi oggi scomparsi. Uno, a forma di "S", era destinato all'imperatore, ai consoli e alle vestali; l'altro al praefectus urbi e a altri dignitari.
Gli spettatori raggiungevano il loro posto entrando dalle arcate loro riservate. Ciascuna delle 74 arcate per il pubblico era contraddistinta da un numerale, inciso sulla chiave di volta, per consentire agli spettatori di raggiungere rapidamente e ordinatamente il proprio posto. Da qui si accedeva a scale incrociate che portavano a una serie simmetrica di corridoi anulari coperti a volta. Immettono ciascuna in un ampio settore comprendente tre cunei, scompartito da pilastri. Il percorso aveva le pareti rivestite in marmo e presentava una decorazione a stucco sulla volta, ancora quella originale di epoca flavia. Il palco meridionale, che ospitava l'imperatore, aveva anche un altro accesso più diretto, attraverso un criptoportico che dava direttamente all'esterno.
Dodici arcate erano riservate ai Senatori e immettevano in corridoi che raggiungevano l'anello più interno: da qui con una breve scala si raggiungeva il settore inferiore della cavea. Anche questi passaggi erano rivestiti di marmo.
Le altre arcate davano accesso alle numerose scale a una o due rampe che portavano ai settori superiori. Le pareti erano qui rivestite di intonaco, anche sulle volte.
L'arena ellittica (86 x 54 m) presentava una pavimentazione parte in muratura e parte in tavolato legno, e veniva ricoperta da sabbia, costantemente pulita, per assorbire il sangue delle uccisioni. Era separata dalla cavea tramite un alto podium di circa 4 m, decorato da nicchie e marmi e protetto da una balaustra bronzea, oltre la quale erano situati i sedili di rango.
Sotto l'arena erano stati realizzati ambienti di servizio, articolati in un ampio passaggio centrale lungo l'asse maggiore e in dodici corridoi curvilinei, disposti simmetricamente sui due lati. Qui si trovavano i montacarichi che permettevano di far salire nell'arena i macchinari o gli animali impiegati nei giochi e che, in numero di 80, si distribuivano su quattro dei corridoi: i resti attualmente conservati si riferiscono ad un rifacimento di III o IV secolo. Tuttavia è ancora possibile fare un confronto con i sotterranei dell'Anfiteatro Flavio di Pozzuoli, realizzato dagli stessi architetti del Colosseo, in modo da avere un'idea di come potevano essere in epoca romana i sotterranei del Colosseo: a Pozzuoli infatti sono tuttora visibili gli ingranaggi che i Romani utilizzavano per sollevare le gabbie contenenti belve feroci sull'arena.
Le strutture di servizio sottostanti all'arena erano fornite di ingressi separati:
gallerie sotterranee all'estremità dell'asse principale davano accesso al passaggio centrale sotto l'arena, ed erano utilizzate per l'ingresso di animali e macchinari;
due ingressi monumentali con arcate sull'asse maggiore davano direttamente nell'arena ed erano destinate all'ingresso dei protagonisti dei giochi (la pompa), gladiatori ed animali troppo pesanti per essere sollevati dai sotterranei;
l'arena era accessibile per gli inservienti anche da passaggi aperti nella galleria di servizio che le correva intorno sotto il podio del settore inferiore della cavea. Alla galleria si arrivava dall'anello più interno, lo stesso che utilizzavano i senatori per raggiungere i propri posti.
http://www.romeguide.it/xfotogallery/foto_visite_guidate/temp_284/284x5.jpgL'edificio poggia su una piattaforma in travertino sopraelevata rispetto all'area circostante. Le fondazioni sono costituite da una grande platea in tufo di circa 13 m di spessore, foderata all'esterno da un muro in laterizio.
La struttura portante è costituita da pilastri in blocchi di travertino, collegati da perni: dopo l'abbandono dell'edificio si cercarono questi elementi metallici per fonderli e riutilizzarli, scavando i blocchi in corrispondenza dei giunti: a questa attività si devono i numerosi fori ben visibili sulla facciata esterna. I pilastri erano collegati da setti murari in blocchi di tufo nell'ordine inferiore e in laterizio superiormente. La struttura era sorretta da volte e archi, sfruttati al massimo per ottenere sicurezza e praticità. All'esterno è usato il travertino, come nella serie di anelli concentrici di sostegno alla cavea. In queste pareti anulari si aprono vari archi, decorati da paraste che li inquadrano. Le volte a crociera (tra le più antiche del mondo romano) sono in opus caementicium e spesso sono costolonate tramite archi incrociati in laterizio, usato anche nei paramenti. I muri radiali, oltre i due ambulacri esterni, sono rafforzati da blocchi di tufo.
Un complesso sistema di adduzione e smaltimento idrico consentiva la manutenzione dell'edificio e alimentava le fontane poste nella cavea per gli spettatori.

venerdì 14 giugno 2013

Tempio di Zeus, Olimpia, Grecia

Il tempio di Zeus ad Olimpia, nell’Elide, venne costruito in stile dorico tra il 470 e il 456 a.C., si ritiene tradizionalmente su progetto dell'architetto Libone di Elide.
Il santuario di Zeus ad Olimpia era il più famoso santuario del mondo antico, alla confluenza dei fiumi Cadeo e Alfeo, in un’area che, come attestano i reperti archeologici, era stata ininterrottamente popolata tra il 2880 e il 1100 a.C. e che divenne zona cultuale in età tardo-micenea, epoca alla quale sembrano risalire le prime testimonianze del culto di Pelope, mitico fondatore dei Giochi olimpici. Come tutti i santuari anche quello di Olimpia si componeva di vari edifici: il Philippeion, una tholos del IV secolo a.C. fatta erigere da Filippo il Macedone e terminata da Alessandro, uno stadio nel quale a partire dal 776 a.C. si svolgevano ogni quattro anni i più importanti fra i giochi panellenici, accompagnati, come avveniva a Delfi, da gare artistiche e letterarie, e l’importantissimo tempio di Era, la struttura più antica del santuario in cui l'ordine dorico fa la sua prima comparsa in forme mature.
Il tempio di Zeus (64,2 m di lunghezza, 24,6 m di larghezza e alto 20 m) fu eretto secondo Pausania con il ricavato del bottino ottenuto a seguito della vittoria su Pisa, in Elide (circa 470 a.C.).
Il tempio, periptero esastilo, con 13 colonne sui lati lunghi, presenta un crepidoma rialzato di tre metri dal piano con alti gradini (l’ultimo, più alto, di 0,56 m) e con rampa di accesso sulla fronte. L’interno ha due colonne in antis sul pronao e sull’opistodomo e il vano della cella è tripartito da due file di colonne doriche. Le correzioni ottiche sono presenti nelle colonne dei lati lunghi, inclinate di circa 60 mm, ma assenti sulla fronte, eccezion fatta per le colonne d’angolo che partecipano del sistema laterale. Fu costruito con calcare conchiglifero locale e coperto con stucco colorato per nascondere le imperfezioni, come era comune nell'architettura greca. Il manto di copertura del tetto e la decorazione scultorea, giunta in gran parte fino a noi, erano invece in marmo. All’interno una scala immetteva ad una galleria rialzata dalla quale era possibile ammirare la statua crisoelefantina di Zeus, opera di Fidia posta nella cella, tra i due colonnati, in epoca successiva all'erezione dell'edificio.
Di quello che viene ritenuto il maggior complesso scultoreo appartenente allo stile severo ci sono rimaste quasi tutte le statue frontonali (42), le metope dei due vestiboli (12, 6 su ciascun fregio) e alcuni dei gocciolatoi a forma di testa di leone, alcuni originali e altri sostituzioni scolpite in epoca successiva. L'uniformità stilistica della decorazione ha portato all’attribuzione della progettazione e della sovrintendenza dell’opera ad un unico artista anonimo definito Maestro di Olimpia. La composizione delle figure dei frontoni, con statue in movimento, in piedi, accosciate, e reclinate, mostra il superamento della rigidità di più antichi schemi in direzione di un maggiore equilibrio dinamico che si accompagna ad una raggiunta coerenza tematica e compositiva. Nei frontoni come nelle metope, le figure divine, centrali non solo a livello compositivo, non sono avvertite dagli umani che vivono la loro tragica vicenda, non vi partecipano, ma ne segnano, per noi osservatori, l'atmosfera psicologica ed emotiva che si allenta allontanandosi dal centro della scena.
Le 12 metope narrano le fatiche di Eracle come un graduale passaggio dalla giovinezza alla maturità senza alcun accento favolistico, ma in una chiave drammatica volta ad esaltare nell'eroe le virtù etiche: la lotta solitaria di Eracle contro i nemici dell'intera umanità simbolizza la progressiva maturazione lungo il cammino della vita e la presenza silenziosa di Atena presagisce la premiazione della virtù con la vittoria e l'immortalità.
Frontone Est
La scena sul frontone orientale raffigura i preparativi per la gara di corsa su carri tra Pelope e Enomao , le cui statue affiancano quella centrale di Zeus. Il tema è legato alle origini mitiche del santuario e il momento raffigurato è quello del giuramento prima della gara: i due protagonisti, Enomao con la sposa al fianco e Pelope con al fianco Ippodamia, la figlia di Enomao, sono figure isolate, esprimenti il raccoglimento nell'attesa e una silenziosa tensione che sembra comunicarsi alle proprie compagne e agli altri personaggi, servi e spettatori.
Sul frontone occidentale, sottoposto a importanti restauri già in epoca antica, Lapiti e Centauri combattono alle nozze di Piritoo, presiedute dalla figura centrale di Apollo. Ai suoi lati, Piritoo e Teseo guidano due gruppi di lapiti; verso gli estremi del frontone anziane donne sdraiate si nascondono per sottrarsi alla lotta. In opposizione alla raccolta intimità del frontone orientale la Centauromachia, tema comune nella Grecia del V secolo a.C., favorisce l'animazione e il ritmo turbinoso del racconto, ma non si discosta dalla corsa dei carri nell'intento etico e celebrativo. Questa alternanza tra stasi e azione, ritmo e pensiero sembra essere cifra distintiva dell'intero complesso, presente sia nelle metope, sia nei frontoni.

Tempio di Era, Olimpia, Grecia

L'Heràion di Olimpia è un tempio greco eretto intorno al 600 a.C. Si tratta di uno dei più antichi templi dorici, uno dei primi peripteri e sicuramente il più antico con dei resti ancora leggibili e capaci di far comprendere la conformazione generale dell'edificio, anche in alzato.
File:Olympia - Temple of Hera 3.jpgÈ stato uno dei primi edifici costruiti presso il santuario di Zeus ad Olimpia. L'edificio è localizzato nella parte nord del recinto dell'area sacra della città e fu dedicato ad Era, una delle divinità più importanti della religione greca, anche se è probabile che in origine fosse dedicato a Zeus o ad entrambi. Fu probabilmente distrutto da un terremoto nel IV secolo a.C. e ricostruito. L'Heraion aveva anche la funzione di conservare le corone d'alloro che avrebbero coronato i vincitori dell'Olimpiade.
Nel 1877 vi venne trovato l'Hermes con Dioniso, capolavoro di Prassitele, oggi nel locale Museo archeologico.
Pur appartenendo ad un periodo arcaico, il grande edificio presentava tutti gli elementi canonici del tempio greco: il naos , il peristilio intorno alla cella, il pronao e l'opistodomo entrambi in antis (con due colonne tra i muri laterali. La cella era tripartita dal colonnato interno, secondo una soluzione che diventerà comune, ma aveva colonne molto vicine alle pareti e alternativamente riunite ad esse con muri divisori a formare una serie di "cappelle" laterali; inoltre, non c'era corrispondenza tra le colonne interne e quelle esterne del peristilio.
Il tempio con 6 colonne doriche sul fronte (periptero esastilo) e 16 colonne sul fianco si presentava molto lungo, venendo a formare le considerevoli dimensioni di 18,76 m per la facciata e 50,01 m per i lati. Si venne così a creare un insolito rapporto tra lunghezza e larghezza, che venne ridotto al rapporto di "analogia" di 1 a 2, nell'architettura del periodo classico dei secoli successivi. Le colonne sono alte 5,20 metri ed il tempio, posto su un unico gradone, doveva apparire piuttosto basso mettendo in risalto l'enorme mole del vicino tempio di Zeus, realizzato successivamente.
Gli intercolumni insolitamente larghi hanno fatto pensare alla presenza di architravi lignei sui quali fossero fissate metope in bronzo. Probabilmente, infatti, l'edificio era originariamente costruito in mattoni crudi per le murature e legno per colonne e parte della trabeazione confermando la tradizionale ipotesi dell'origine lignea di tutto il linguaggio architettonico degli ordini greci, e del dorico in particolare, avanzata fin da Vitruvio e rappresentando comunque un'importante testimonianza della transizione dal tempio in legno a quello in pietra.Pausania, che visitò il tempio nel 176 a.C., nella sua Periegesi della Grecia attesta la presenza nell'opistodomos, di una colonna di legno di quercia, superstite di quelle originarie che erano progressivamente sostituite da altre lapidee, grazie alle donazioni al santuario, determinando una grande varietà di stili, diametri e materiali, tutt'oggi rilevabile dai reperti: le colonne più antiche (VI secolo a.C.) appaiono tozze e dotate di abaco ed echino molto aggettanti, mentre le più recenti sono più esili, avendo un diametro di base minore rispetto a quelle precedentemente descritte, e possiedono capitelli meno aggettanti. Inoltre alcune sono monolitiche ed altre divise in molti rocchi. Il pavimento era realizzato in una sorta di rudimentale coccio-pesto. Le tegole del rivestimento del tetto, di cui rimangono alcuni frammenti, erano in terracotta come le antefisse e l'acroterio policromo. Le colonne superstiti sono state rialzate durante la riscoperta e gli scavi archeologici tedeschi.
Nei pressi del tempio è stata ritrovata una testa di Era, forse appartenente al colossale simulacro della dea conservato nella cella e posto accanto ad una similare statua di Zeus, e un frammento di acroterio a disco probabilmente facente parte della decorazione frontonale mentre non è stata ritrovata alcuna delle altre sculture ricordate da autori, come il frontone con l'altorilievo di una sfinge.

Tempio di Apollo, Thermos, Grecia

Il tempio situato in un luogo originariamente impervio fu costruito nel VII secolo a.C., ma avrà forma definita nel III secolo a.C., secolo a cui risale anche la cinta muraria con torri di difesa, costruita per proteggere il santuario (sede di una confederazione) e il relativo tesoro. Il prestigio del santuario accrebbe e questo fatto divenne in qualche modo la causa della propria rovina, fu distrutto nel 218 a.C. dal nipote di Alessandro Magno per impossessarsi delle ricchezze del tesoro. Le conoscenze riguardanti il santuario ci arrivano da Polibio (una fonte romana del II secolo d.C. che narra delle guerre del Peloponneso, tra Atene e Sparta, descrivendo i luoghi delle battaglie).
Si trova entro un recinto (Temenos dal greco τέμενος: area sacra di pertinenza al tempio, determinata in vari modi da una linea di divisione entro la quale non si poteva accedere se armati o costruire edifici secolari; verrà ripreso dai romani con il Pomelio, i nomi greci tradotti dal latino ci sono pervenuti tramite Vitruvio).
Il tempio è collocato in un angolo a sud-est, mentre il resto del Temenos è occupato da due Stoâi (Stoâ, ovvero un porticato ligneo aperto che ospitava i pellegrini), si sviluppavano soprattutto in lunghezza ed erano molto estesi per il grande afflusso di fedeli, questo è il primo esempio di Stoâ. Successivamente furono edificati in pietra. Il largo spazio serviva per la deposizione dei doni da parte dei fedeli e, in altri casi, era il punto di convergenza delle processioni.
Fra il 630 e il 620 a.C. presentava due muri della cella molto lunghi, così come la peristasi. In questa fase si individua il Tempio C. (quello descritto da Polibio). L'area fu scavata e venne scoperto un altro tempio, anteriore al Tempio C, che venne chiamato Megaron B, perché la forma della pianta rimanda a quella del megaron a terminazione arrotondata circondato da colonne. Venne successivamente scoperto un secondo strato che presentava un'altra costruzione, detta Megaron A. Non è un tempio ma un megaron ampliato privo di colonne perimetrali, del periodo miceneo.
Solo quando la religione divenne antropomorfa vennero aggiunte le colonne intorno al santuario, nell' VIII secolo a.C. La III fase è riferita al tempio ruotato rispetto al Megaron B con cella molto allungata e peristasi costituita da colonne lignee, con caratteri molto arcaici, come l'eccessiva forma allungata del tempio in disaccordo con la peristasi. L'altro problema è costituito dalla presenza di una fila di colonne centrali, a causa della trave di carico (esigenza strutturale), e il numero dispari di colonne, con ingresso laterale e non assiale; questa è però una situazione non funzionale in quanto la statua della divinità, posta sul fondo, non è immediatamente visibile, nonostante venga leggermente spostata verso destra.
La copertura era in argilla, con lastre di 110 x 90cm, con parti terminali risvoltate. Si definisce come "tetto corinzio", perché gli abitanti di Corinto usarono per primi questo metodo e gli abitanti di Thermos avevano origini corinzie. Vennero usate anche le ceramiche di Corinto nelle metope (poste tra due travi in funzione di riempimento, potevano essere lastre di argilla decorata, o in pietra o, come ad Atene, in marmo).

mercoledì 12 giugno 2013

Tempio di Nettuno e Tempio di Hera, Paestum

Tempio di Nettuno e Tempio di Hera, Paestum 

File:Veduta di Paestum 2010.jpgPaestum Antica città della Campania situata presso il litorale tirrenico, a sud di Salerno: fu uno dei centri principali della Magna Grecia. Le tracce più antiche di insediamento umano nel sito risalgono al Paleolitico; più consistenti sono le testimonianze relative all'età del Bronzo (vedi cultura di Gaudo). Intorno al 600 a.C., coloni greci provenienti da Sibari vi fondarono una città, cui diedero il nome di Posidonia, ed edificarono il grande santuario di Era poco a nord, presso la foce del fiume Sele. Alla fine del V secolo a.C. Paestum fu conquistata dai lucani, sotto i quali visse un periodo di prosperità e raggiunse la massima espansione territoriale; nel 273 a.C. i romani vi stabilirono una propria colonia, cambiando il nome della città con quello attuale. In età imperiale Paestum iniziò una lunga e progressiva decadenza, fino al definitivo abbandono, nell'VIII secolo, a causa dell'impaludamento della zona.
La città, di cui è nota l'intera estensione, è stata solo parzialmente riportata alla luce attraverso gli scavi archeologici. Delimitata da imponenti mura (V-III secolo a.C.), esibisce lungo la direttrice del cardo romano gli edifici principali: a nord si trova il tempio di Atena (un tempo creduto tempio di Cerere) del 500 ca. a.C. Al centro si estende l'area pubblica, di due epoche distinte: sull'agorà della città greca si affacciavano 'Ecclesiasterion(costruzione per le riunioni dell'assemblea) del V secolo a.C. e un importante edificio a forma di sacello (forse luogo di culto o tomba dei fondatori della città). La città romana, invece, aveva qui il suo foro, con il comizio (per le riunioni dell'assemblea), il tempio della Triade Capitolina (Capitolium), la basilica; alle spalle del foro si ergevano l'anfiteatro (I secolo a.C.) e un ginnasio ellenistico con una grande piscina. A sud era situato il grande santuario urbano di Era, con due magnifici templi dedicati alla dea, la cosiddetta "Basilica", del 540 ca. a.C., e quello chiamato "di Nettuno", del 460 a.C. I due templi, insieme a quello di Atena, costituiscono un complesso eccezionale, anche per l’ottimo stato di conservazione degli edifici, che sono fra i più alti esempi dell'ordine dorico in Occidente. A ovest sono stati scavati vari isolati dell'impianto ortogonale, con abitazioni di età ellenistico-romana. L’intera area archeologica della città è stata inclusa dall’UNESCO nell’elenco dei siti di interesse mondiale, da salvaguardare come patrimonio dell’umanità. Nei pressi della città, alla foce del Sele, si possono ammirare i resti del santuario di Era (Heraion), uno dei più importanti santuari greci su suolo italico. L’area sacra comprendeva, oltre a vari edifici secondari, un tempio maggiore e un edificio più piccolo, il cosiddetto Tesoro, decorato da uno straordinario fregio con metope scolpite oggi conservate al Museo).

Tempio di Era o di Nettuno 
Tra i numerosi edifici superstiti della città greca si è scelto di presentarne uno tra i meglio conservati: il così detto tempio di Nettuno, edificio ammirevole per le sue qualità architettoniche e per il suo eccezionale stato di conservazione, che ne fa uno tra i monumenti più rappresentativi della Magna Grecia. L’edificio, di ordine dorico, databile con buona approssimazione intorno alla metà del V secolo a. C., è un grande tempio periptero esastilo, cioè con la cella circondata da un giro di colonne e con un numero di sei colonne sulle fronti principali. Misura circa metri 25x60 e sorge su un alto crepidoma costituito da tre gradoni, che lo innalza sul piano di campagna e ne aumenta l’imponenza. Il colonnato, come già visto, presenta 6 colonne sui lati brevi e 14 su quelli lunghi; la cella (naos) del tempio è costituita da un vano diviso in tre navate da due file di 7 colonne su due ordini (ampio lo spazio centrale, più angusti quelli laterali); due scale collocate ai lati dell’ingresso, di cui rimangono poche tracce, consentivano l’accesso alle parti alte del tempio, probabilmente in funzione delle operazioni di manutenzione.
L’ingresso del naos è preceduto da un pronao in antis; una struttura analoga (opistodomo) è collocata, simmetricamente, sul lato opposto del naos (ovest), accessibile solo dall’ambulacro interno al colonnato.
I muri perimetrali della cella sono andati quasi del tutto perduti, mentre sussistono in buone condizioni i colonnati interni.
Eccezionalmente integra è, invece, la peristasi esterna del tempio; le 36 colonne doriche, alte circa 9 metri, presentano un fusto molto massiccio e una rastremazione molto accentuata: le colonne hanno infatti un diametro di circa 2 metri alla base e un metro e mezzo in alto. L’entasis è meno accentuata rispetto ad altri edifici dorici del periodo.
L’elevato numero delle scanalature che caratterizza i fusti (in numero maggiore rispetto ad altri templi) è un espediente che conferisce maggiore slancio ascensionale alle colonne e attenua, parzialmente, la sensazione di pesantezza che ci si aspetterebbe da strutture di queste dimensioni.
Sulle colonne, concluse in alto dai canonici echino e abaco che caratterizzano l’ordine dorico, poggia un’alta trabeazione, formata da un architrave liscio e dal fregio con triglifi e metope non scolpite; un cornicione di coronamento fortemente aggettante e i due timpani triangolari sui lati brevi concludono l’edificio.
File:Pianta hera paestum.jpg
Restano poche tracce degli elementi di copertura e della policromia originaria dell’edificio, che doveva presentarsi ai contemporanei interamente rivestito da uno strato pittorico a colori vivaci.
Una fitta serie di ulteriori accorgimenti ottici ed elaborati calcoli matematici per le proporzioni fanno di questo tempio pestano un capolavoro dell’architettura e una delle massime espressioni della cultura e della civiltà greche.
Davanti alla facciata principale (est) sorgono i resti di due grandi altari per i sacrifici, uno coevo al tempio, l’altro databile a età tardo-repubblicana (I sec. a. C.).

Tempio di Atena o tempio di Cerere 

Tempio di Cerere o AtenaCostruito circa cinquant'anni prima del Tempio di Nettuno e 50 anni dopo quello di Hera ha delle particolarità che lo distingue dagli altri due templi e lo rendono uno dei più interessanti dell'architettura greca. Il frontone alto rende questo Tempio unico; il fregio dorico composto di larghi blocchi di calcare è anch'esso di tipo unico. La pianta interna, più semplice di quella degli altri due templi era composta dal pronaos e dalla cella nella quale non ci sono tracce della camera del tesoro (adyton).
Il pronaos aveva otto colonne con capitelli ionici, quattro sul fronte e due su ciascun lato. Delle colonne ioniche del pronaos si vedono solamente le basi e due capitelli ( i più antichi in stile ionico rinvenuti in Italia) sono custoditi nel vicino Museo Archeologico.
Il ritovamento di numerose statuette in terracotta (ex voto) raffiguranti Atena nelle stipi votive prova che il Tempio non era dedicato a Cerere ma alla dea della saggezza e delle arti Atena. Infatti il tempio sorge sulla parte più alta della città, luogo dove sono sempre stati eretti i templi in onore di Atena nelle città greche.

L'Acropoli di Selinunte, Sicilia

L'Acropoli è un altopiano calcareo che a Sud è a strapiombo sul mare, mentre a Nord si restringe fino a m 140. L'insediamento, di forma grossomodo trapezoidale, fu ampliato verso N alla fine del VI secolo a.C. con un formidabile muraglione a gradini (h. m 11 ca.), e circondato da mura - più volte restaurate e modificate - formate da cortine in blocchi squadrati con un riempimento di pietrame (emplècton), e scandite da 5 torri e 4 porte. A Nord, l'acropoli presenta delle fortificazioni (vedi sotto) con contromuro e torri, databili all'inizio del IV sec. a.C.
Presso l'ingresso all'acropoli vi è la cd. Torre di Polluce che fu costruita nel XVI secolo contro i corsari, sui resti di una torre o faro antico.
L' impianto urbano è suddiviso in quartieri da due strade principali (la. m 9) che si incrociano ad angolo retto (quella N-S lu. m 425; quella E-W lu. m 338), intersecate a loro volta - ogni m 32 - da altre vie minori (la. m 5). Questa sistemazione urbanistica - che riproduce quella più antica - risale però al IV sec. a.C. cioè alla Selinunte punica.
Ai primi anni della colonia, invece, sono da attribuire diverse are e piccoli santuari innalzati sull'acropoli, sostituiti circa cinquant'anni più tardi da templi più grandi e duraturi; il primo di essi sembra sia stato il cd. mègaron nei pressi dei Templi B e C.
Ancora incerta resta la localizzazione dell' agorà (che invece altri studiosi ipotizzano che si trovasse a N nell'area del centro abitato).
Davanti al Tempio O si è rinvenuta un' area sacrificale punica - posteriore alla conquista del 409 a.C. - caratterizzata da ambienti costruiti con muretti a secco, all'interno dei quali erano depositati vasi contenenti ceneri, ed anfore a siluro di tipo cartaginese.
Sulla collina dell'acropoli sono stati rinvenuti i resti di numerosi templi di ordine dorico.

Il Tempio O ed il Tempio A  
Di cui restano pochi avanzi: il basamento, qualche rocchio e l'ara - furono costruiti tra il 490 ed il 460 a.C., hanno una struttura pressoché identica tra loro, simile a quella del Tempio E sulla collina orientale. Presentano un peristilio (lu. m 40,20; la. m 16,20) di 6 x 14 colonne (h. m 6,23). L'interno è caratterizzato da un pronao in antis, da una cella con adyton, e da un opistodomo in antis separato dalla cella; la cella era di un gradino più alta del pronao, e l'adyton era di un gradino più alto della cella. Nel muro tra pronao e cella del Tempio A vi erano due scale a chiocciola che portavano alla galleria (o piano) superiore. Il pronao del Tempio A ha un pavimento a mosaico dove sono rappresentati la figura simbolica della dea fenicia Tanit, un caduceo, il sole, una corona ed una testa bovina: esso testimonia il riutilizzo dell'ambiente in epoca punica come luogo religioso o come abitazione. Il Tempio O era dedicato a Poseidon, piuttosto che non ad Atena (Moscati); il Tempio A ai Dioscuri, piuttosto che non ad Apollo (Moscati).
A m 34 ad E del Tempio A vi sono i resti dell' ingresso monumentale all'area: si tratta di un propileo con pianta a forma di T, consistente in un corpo avanzato rettangolare (di m 13 x 5,60) con peristilio di 5 x 12 colonne, ed in un altro corpo pure rettangolare (di m 6,78 x 7,25).
Superata la strada E-W si entra nella seconda area sacra, posta a N della precedente. Prima di giungere al Tempio C, a S di esso, vi è un Sacello (Mègaron) (lu. m 17,65; la. m 5,50), che risale al 580-570 a.C., avente la struttura arcaica del mègaron, forse destinato a conservare le offerte dei fedeli. Privo di pronao, ha l'entrata ad E che dà direttamente nella cella (al centro della quale vi sono due basi per le colonne lignee che sostenevano il tetto), racchiusa in fondo da un adyton quadrato, al quale venne aggiunto in epoca successiva un terzo ambiente. Il sacello era forse dedicato a Demetra Tesmofòros (Coarelli-Torelli).

Tempio B
Di epoca ellenistica, piccolo (lu. m 8,40; la. m 4,60) ed in cattive condizioni. Consisteva in una edicola prostila di 4 colonne cui si accedeva per una scala di 9 gradini, con pronao e cella. Nel 1824 mostrava ancora chiare tracce degli intonaci policromi. Costruito probabilmente intorno al 250 a.C., poco tempo prima che Selinunte venisse definitivamente evacuata, rappresenta il solo edificio religioso che attesta la modesta rinascita della città dopo la sua distruzione. Oscura resta la sua destinazione: in passato si era creduto trattarsi dell' heroon (tempio sede di un culto eroico) di Empedocle, bonificatore delle paludi selinuntine[8], ipotesi non più sostenibile per la cronologia dell'edificio; oggi si pensa più ad un culto punico fortemente ellenizzato, come quelli di Demetra o di Asclepio-Eshmun.

Pianta del Tempio C 
File:Selinunte-TempleC-Plan-bjs.pngIl Tempio C è il più antico in quest'area, e risale al 550 a.C. Nel 1925-27 sono state ricomposte e rialzate sul lato N numerose colonne (per la precisione 14 colonne su 17) con parte della trabeazione. Presenta un peristilio (lu. m 63,70; la. m 24) di 6 x 17 colonne (h. m 8,62). È caratterizzato ad E dall'ingresso preceduto da una scalinata di 8 gradini, un vestibolo con una seconda fila di colonne, quindi il pronao, la cella e l'adyton collegati in un insieme stretto e lungo (carattere arcaico); ha sostanzialmente la stessa planimetria del Tempio F sulla collina orientale. Mostra in diversi elementi una certa inesperienza e lo sforzo di giungere alla perfezione tecnica del tempio dorico: p.es. le colonne sono tozze e massicce, alcune di esse sono ancora monolitiche, manca l' èntasis (rigonfiamento della colonna), vi sono variazioni nel numero delle scanalature, oscillazioni nelle misure degli intercolumni, le colonne angolari hanno un diametro maggiore delle altre, ecc. Nel tempio sono stati rinvenuti: dalla decorazione della cornice alcuni frammenti di terrecotte policrome (rosso, bruno, porpora); dalla decorazione del frontone un gigantesco gorgoneion fittile (h. m 2,50); dalla facciata tre metope che rappresentano: Perseo, alla presenza di Atena, in atto di decapitare Gorgone che stringe a sé Pegaso; Eracle, catturati i Cèrcopi (folletti-ladri), li porta via sospesi ad una pertica a testa in giù; la quadriga di Apollo vista frontalmente (il dio era affiancato dalle figure di Helios e Selene: lacunose), che sono tutte al Museo Archeologico di Palermo. Il Tempio C - che probabilmente aveva anche una funzione di archivio: infatti vi furono ritrovati centinaia di sigilli - era dedicato ad Apollo (rinvenimento dell'iscrizione IG XIV, 269), piuttosto che non ad Eracle (Guido).
Ad E del Tempio C vi è il suo grande altare rettangolare (lu. m 20,40; la. m 8) di cui restano le fondazioni e qualche gradino, e poi l'area dell' Agorà ellenistica; poco oltre i resti delle case, la terrazza è limitata da un portico dorico (lu. m 57; la. m 2,80) che si affaccia su di un imponente tratto del muro di sostegno dell'acropoli.

Tempio D
Si data al 540 a.C., e si affaccia col suo fronte W direttamente sulla strada N-S. Presenta un peristilio (lu. m 56; la. m 24) di 6 x 13 colonne (h. m 7,51). È caratterizzato da un pronao in antis, una cella allungata conclusa con l'adyton. È più progredito del Tempio C (le colonne sono lievemente inclinate, più slanciate e con èntasis; il vestibolo è sostituito da un pronao distilo in antis), ma mostra ancora incertezza nelle misure fra gli intercolumni e nei diametri delle colonne, come pure nel numero delle scanalature. Come già il Tempio C, mostra nel pavimento del peristilio e della cella molte cavità circolari o quadrate di cui si ignora la funzione. Il Tempio D era dedicato ad Atena (come attesterebbe l'iscrizione dedicatoria IG XIV, 269), piuttosto che non ad Afrodite (TCI). Il grande altare esterno, non in asse col tempio ma posto obliquamente presso il suo angolo SW, fa supporre che l'attuale Tempio D occupi il luogo di uno precedente.

Tempio Y 
Detto anche "Tempio delle piccole metope", è preceduto da un altare quadrato. Le metope rinvenutevi (h. cm. 84), databili al 570 a.C., rappresentano: una sfinge di profilo accosciata, la triade delfica (Latona, Artemide, Apollo) in un rigido schema frontale, il ratto di Europa al di sopra del mare; altre due metope databili a ca. il 560 a.C., reimpiegate nelle fortificazioni ermocratee, mostrano la quadriga di Demetra e Kore , ed una cerimonia eleusina con Demetra, Kore ed Ecate con la spiga di grano , sono tutte conservate al Museo Archeologico di Palermo.
Intorno ai Templi C e D vi sono le rovine di un villaggio bizantino di V sec. d.C., costruito con materiale di recupero. Il fatto che alcune case risultavano sepolte dal crollo delle colonne del Tempio C, ha dimostrato che il terremoto che ha portato al crollo dei templi selinuntini deve essere avvenuto in epoca altomedievale.
Verso N l'acropoli presenta due quartieri della città (uno ad W ed l'altro ad E della grande strada N-S), ricostruiti da Ermocrate dopo il 409 a.C.: le case sono modeste, edificate con materiali di recupero; alcune di esse mostrano delle croci incise, segno che furono adoperate come edifici cristiani o da parte di cristiani.

Sulla collina orientale vi sono tre templi che, benché disposti lungo lo stesso asse N-S, tuttavia non sembra avessero un unico recinto sacro (tèmenos), come dimostrerebbe il muro di separazione esistente fra il Tempio E ed il Tempio F. Questo complesso sacro ha fortissime analogie con le pendici occidentali dell'acropoli Caria di Megara Nisea, madrepatria di Selinunte, elemento prezioso, forse indispensabile, per un discorso corretto sull'attribuzione dei culti praticati nei vari templi.

Tempio E 
File:Selinunte Panoramic View 1.jpgIl Tempio E, il più recente dei tre, risale al 460-450 sec. a.C. ed ha una pianta molto simile a quella dei Templi A ed O dell'Acropoli. Il suo attuale aspetto lo si deve all'anastilosi (ricomposizione e riinnalzamento delle sue colonne) effettuata - tra polemiche - tra il 1956 ed il 1959. Presenta un peristilio (lu. m 67,82; la. m 25,33) di 6 x 15 colonne (h. m 10,19) con numerose tracce superstiti dell'originario stucco che le ricopriva. È un tempio caratterizzato da diverse scalinate che determinano un sistema di rialzamenti successivi: una prima di 10 gradini conduceva all'ingresso sul lato E; dopo il pronao in antis un'altra di 6 gradini conduceva nella cella; e per finire un'ultima di 6 gradini dava accesso - in fondo alla cella - all'adyton; dietro l'adyton, separato da esso, vi era l'opistodomo in antis. Un fregio dorico alla sommità delle pareti della cella era costituito da metope figurate, i cui personaggi avevano il corpo in arenaria locale mentre la testa e le parti nude dei corpi femminili erano in marmo pario; si sono conservate quattro metope intere raffiguranti (in stile severo): Eracle che uccide l'amazzone Antiope; le nozze di Zeus con Hera; Atteone che viene dilaniato dai cani di Artemide; Atena che uccide il gigante Encèlado; inoltre una quinta lacunosa: Apollo e Dafne ; tutte conservate al Museo Archeologico di Palermo. Recenti sondaggi effettuati intorno e al di sotto del Tempio E hanno rivelato che esso è stato preceduto da altri due edifici sacri, di cui uno fu distrutto da un incendio nel 510 a.C. Il Tempio E era dedicato ad Hera, come attesterebbe l'iscrizione di una stele votiva (IG XIV, 271); invece alcuni studiosi (Coarelli-Torelli), in base a confronti, deducono che debba trattarsi piuttosto di un tempio di Afrodite.

Tempio F 
File:Selinunte-TempleF-Plan-bjs.pngIl più antico ma anche il più piccolo dei tre, fu costruito fra il 550 ed il 540 a.C. su modello del Tempio C. È fra i templi quello che maggiormente ha subìto spoliazioni. Presenta un peristilio (lu. m 61,83; la. m 24,43) di 6 x 14 colonne (h. m 9,11) caratterizzato da chiusure in muratura (h. m 4,70) tra gli intercolumni, con finte porte dipinte composte da lesene ed architravi, mentre l'ingresso vero e proprio era ad E. Non si conosce il motivo di questo apprestamento, veramente insolito per un tempio greco: si è pensato che fosse suggerito dalla necessità di proteggere i doni votivi; oppure di impedire ai profani la visione di riti particolari (misteri dionisiaci?) che venivano svolti al suo interno. L'interno è caratterizzato da un vestibolo delimitato da un secondo ordine di colonne, dal pronao, cella ed adyton collegati in un insieme stretto e lungo (carattere arcaico). Dalla facciata E abbiamo due metope tardo arcaiche (datate al 500 a.C.) rinvenute durante gli scavi nel 1823, che rappresentano Atena e Dioniso in atto di colpire a morte due Giganti, oggi conservate nel Museo Archeologico Regionale di Palermo. Il Tempio F era dedicato forse ad Atena (Maiuri, Moscati), forse a Diòniso (Coarelli-Torelli).

File:Selinunte-TempleG-Plan-bjs.pngTempio G 
File:Selinunte-pjt1.jpgIl Tempio G è il più grande di Selinunte (lu. m 113,34; la. m 54,05; h. m 30 ca.) ed uno dei maggiori del mondo greco[9]. La sua costruzione, pur protraendosi dal 530 al 409 a.C. (si notano variazioni di stile durante il lungo periodo costruttivo: dall'arcaico sul lato E al classico sul lato W), rimase tuttavia incompiuta, come risulta dall'assenza di scanalature in alcune colonne, e dall'esistenza di rocchi di colonne delle stesse dimensioni a km 10 di distanza, in fase di estrazione,  nelle Cave di Cusa (vedi sotto). Tra il cumulo terrificante delle sue rovine, si riconosce un peristilio di 8 x 17 colonne (h. m 16,27; diam. m 3,41) di cui sta in piedi una sola - ricomposta nel 1832 - (chiamata "lu fusu di la vecchia"). L'interno comprendeva: un pronao prostilo a 4 colonne con due profonde ante terminanti a pilastro, e tre porte di accesso alla ampia cella; una cella molto larga divisa in tre navate, di cui quella mediana probabilmente "ipetrale" (cioè a cielo aperto) caratterizzata da due file di 10 colonne più sottili che sostenevano una seconda fila di colonne ("galleria"), e da due scale laterali che portavano ai sottotetti; in fondo alla navata centrale, vi è l'adyton separato dalle pareti della cella (soluzione tipica ed originale), all'interno del quale fu ritrovato il torso di un gigante ferito o morente e l'importantissima iscrizione chiamata "Grande Tavola Selinuntina" (vedi più sotto); ed infine un opistodomo in antis non comunicante con la cella. Fra le rovine, di particolare interesse risultano: alcune colonne rifinite che mostrano tracce dello stucco colorato; i blocchi delle trabeazioni che presentano scanalature laterali a ferro di cavallo entro le quali venivano passate le funi per il loro sollevamento. Il Tempio G - che probabilmente aveva anche la funzione di tesoro della città - dall'iscrizione rinvenutavi sembra che fosse dedicato ad Apollo; oggi, in base a studi recenti, si propende ad attribuirlo a Zeus.
Ai piedi della collina, alla foce del fiume Cottone vi è il porto E; esteso per m 600 circa verso l'interno e guarnito probabilmente da un molo o da una diga che si protendeva dall'acropoli, subì nel IV-III sec. a.C. delle trasformazioni: infatti fu allargato e fiancheggiato da banchine (orientate N-S) e da depositi. Dei due porti di Selinunte - attualmente insabbiati - il porto W, posto alla foce del fiume Selino-Modione, era quello principale.
I quartieri extra moenia, collegati alle attività emporiche, commerciali e portuali, erano sistemati invece su grossi terrazzamenti lungo le pendici della collina.
A N dell'attuale villaggio Marinella, infine, si trova una necropoli in località Buffa.

Tempio di Era, I^ e II^, Samo, Isole Sporadi

L'Heraion di Samo è un grande tempio ionico dedicato ad Era e situato nella parte meridionale dell'isola di Samo (Grecia). Molte delle diverse fasi costruttive dell'Heraion sono state identificate anche grazie alla datazione dei materiali di copertura ritrovati nei pressi dell'edificio. La costruzione che risale al periodo tardo arcaico (VII-VI secolo a.C.) è stata determinante per la definizione dello stile ionico, ma esistono tracce di un edificio più antico, risalente all' VIII secolo (periodo geometrico) o precedente. Le rovine dell' Heraion di Samo sono entrate nella lista del patrimonio mondiale dell' Unesco nel 1992.
I cinquant'anni tra VII e VI secolo a.C. furono, per la civiltà greca che abitava le coste ioniche dell'Asia Minore, anni di floridi commerci e di crescita culturale, di cui è rimasta traccia nell'ammirazione espressa da Erodoto per la popolazione di Samo alla quale si devono grandi realizzazioni urbanistiche e architettoniche, tra le quali lo storico greco annovera l'Heraion. Ricchezza materiale e scambi culturali sarebbero all'origine del formarsi di uno stile proprio di questa zona geografica: la tendenza al gigantismo dei templi ionici viene considerata come una conseguenza della vicinanza delle grandi costruzioni dei sovrani persiani, mentre la ricerca dei valori ornamentali è probabilmente un retaggio minoico che lascia più spazio a libertà compositive rispetto alla contemporanea rigorosità dei templi dorici.
Il primo edificio,  o quello che è stato identificato come risalente all' VIII secolo era chiamato hekatompedon, «tempio di 100 piedi», corrispondenti ai 32 m di lunghezza dell'edificio, mentre la larghezza era di 20 piedi, circa 6,50 m. La cella era divisa in due navate da un'unica fila centrale di colonne che reggevano la copertura; sul fondo, leggermente decentrata, si trovava una base di pietra che reggeva la statua di culto in legno. Nella seconda metà dell'VIII secolo a.C. i costruttori di Samo aggiunsero una serie di colonne in legno su basi di pietra intorno alla lunga stanza.

Questo primo edificio venne ricostruito una prima volta nel 670 a.C., probabilmente a seguito di una alluvione, e in questa occasione la cella, circondata da un portico di 6x18 colonne, venne liberata dal colonnato mediano per accrescere l'impatto visivo con la statua della dea sul fondo; una serie di pilastri, probabilmente lignei, sosteneva il tetto, e altri erano disposti intorno alla cella a distanza uniforme.


Verso il 640 a.C. fu aggiunto un portico di oltre 60 m di lunghezza, diviso in tre navate da due serie parallele di pilastri di legno. Fra il 570 e il 560 a.C., il tempio venne spostato a occidente e ricostruito su di un'area dodici volte più estesa di quella del precedente edificio. Gli artisti chiamati ad occuparsi di questa nuova costruzione furono Rhoikos e Teodoro di Samo i quali progettarono un edificio di proporzioni enormi: 104 colonne nel peristilio su due file (fu il primo tempio dittero oggi noto), 8 colonne in fronte, 10 colonne su due file all’ interno del pronao, 22 colonne, sempre su due file, all’interno della cella. La grande profondità del pronao rimarrà una regola degli edifici della Ionia, ma altri sono gli elementi in questo edificio che segneranno lo stile ionico nel suo formarsi: le colonne si ergevano non più direttamente dallo stilobate bensì da una base modanata a sezioni orizzontali, inoltre le ante erano decorate con sfingi a rilievo e cornici vegetali stilizzate. Di fronte al tempio si trovava l'altare ricostruito intorno al 550 a.C. Trascorsero circa dieci anni e il tempio di Rhoikos e Teodoro dovette essere ricostruito; un nuovo edificio sorse nello stesso luogo, ancora più vasto del precedente, iniziato da Policrate, tiranno di Samo tra il 538 e il 522 a.C. Il “tempio di Policrate”, al quale appartiene l'unica colonna visibile nel sito, misurava 108 x 55 m, prevedeva un alto stilobate, cui si accedeva mediante una gradinata, e tre file di colonne sui lati corti a seguire l'esempio del Tempio di Artemide a Efeso; ma i lavori per questo Heraion non vennero mai portati a termine e dal 391 anno dei Decreti teodosiani il sito dovette subire, come tanti altri, la spoliazione e il reimpiego dei materiali.
Parlando delle colonne si riscontra come il rapporto tra il diametro di base e l'altezza sia di 1:12, con colonne che raggiungono i 18 m di altezza; inoltre le scanalature sono come quelle doriche (ad angolo vivo) solo che in questo caso sono raddoppiate. Le basi delle colonne interne presentano un semplice tamburo cilindrico, mentre quelle della peristasi presentano elementi concavi e convessi.

martedì 11 giugno 2013

La Valle dei Templi, Agrigento


Il Parco, ampio circa 1300 ettari, conserva uno straordinario patrimonio monumentale e paesaggistico che comprende i resti dell'antica città di Akragas e il territorio ad essa circostante sino al mare. Nella Valle dei Templi, dichiarata nel 1997 dall'Unesco "patrimonio mondiale dell'umanità", si trova uno dei maggiori complessi archeologici del Mediterraneo, immerso in un paesaggio agricolo di rara bellezza prevalentemente costituito da ulivi centenari e mandorli. Akragas fu una delle più importanti colonie greche della Sicilia, estesa circa 450 ettari, fondata circa il 582 a.C. da coloni provenienti dalla vicina Gela e da Rodi.
Il sito prescelto fu un altopiano naturalmente protetto a Nord dalla Rupe Atenea e dal Colle di Girgenti e a Sud dalla lunga Collina dei Templi, delimitato ai lati dai fiumi Akragas e Hypsas confluenti a Sud in un unico corso alla cui foce era l'antico porto (emporion).
Fin dall'inizio - sotto la tirannide di Falaride (570-554 a.C.) celebre per la sua crudeltà - la città articolata per terrazzi fu caratterizzata da un impianto urbanistico regolare. La Rupe Atenea era sede dell'acropoli con funzione sacra e difensiva; la Collina dei Templi ospitava i santuari monumentali; la zona centrale l'abitato e gli edifici pubblici, mentre i defunti venivano sepolti nelle necropoli fuori della città. Negli ultimi decenni del VI sec. a.C., Akragas fu circondata da una poderosa cinta muraria lunga 12 chilometri e dotata di nove porte. La colonia raggiunse fama e potenza sotto il tiranno Terone (488-471 a.C.), vincitore sui Cartaginesi a Himera nel 480 a.C. e, soprattutto, durante gli anni della democrazia (471-406 a.C.) instaurata dal filosofo akragantino Empedocle. In questo periodo fu costruita la straordinaria serie di templi di stile dorico della collina meridionale.
Un secondo conflitto contro i Cartaginesi segnò la fine di un'epoca di benessere e nel 406 a.C. Akragas fu distrutta. Successivamente la città visse una nuova fase di sviluppo con l'arrivo (tra il 338 e il 334 a.C.) di coloni greci guidati dal condottiero Timoleonte, ma non raggiunse più la potenza di un tempo e il suo destino fu legato all'esito della lotta tra Roma e Cartagine per il possesso del Mediterraneo. Durante le guerre puniche Akragas fu base dei Cartaginesi contro i Romani che nel 210 a.C. la conquistarono e ne mutarono il nome in Agrigentum. Sotto la dominazione romana la città visse una ulteriore fase di prosperità legata anche al commercio dello zolfo (II-IV sec. d.C.). In epoca cristiana sulla Collina dei Templi sorsero chiese e cimiteri.
Quando nell' 829 la città fu conquistata dagli Arabi i quartieri abitativi si erano già arroccati sul Colle di Girgenti, cosiddetto dal nome medievale della città (dall'arabo Gergent o Kerkent), dove si estende l'odierno abitato di Agrigento.
Il tempio di Giunone, il Tempio della Concordia, il Tempio di Eracle, il Tempio di Zeus Olimpico, il Tempio di Castore e Polluce, il Tempio di Vulcano, il Tempio di Esculapio.
Sono sette i templi della mitica Valle di Agrigento e tutti in condizioni di conservazione eccezionali.
A questi va aggiunta la Tomba di Terone, eretta per ricordare i caduti della seconda guerra punica.
L’area archeologica di Agrigento, con la sua Valle dei Templi, è la testimonianza più significativa della civiltà greca in Sicilia.
I Templi di quest’area, sorgono tra campagne di mandorli e fiori, quasi a voler essere incorniciati in uno scenario che li rende immortali.

File:Akragas-sitemap-bjs.jpg

1_ Tempio di Vulcano
2_ Kolymbéthra
3_ Santuario delle divinità Ctoniecon Tempio dei Dioscurie Tempio L
4_ Tempio di Zeus Olimpico
5_ Tomba di Terone e Necropoli ellenistica-romana
6_ Tempio di Esculapio
7_ Tempio di Eracle
8_ Tempio della Concordia e Necropoli paleocristiana
9_ Tempio di Giunone
10_ Basilicula
11_ Santuario rupestre die Cerere
12_ Tempio di Cerere
13_ Quartiere ellenistico-romano
14_ San Nicola e Museo archeologico
15_ Ekklesiastérion e Oratorio di Falaride
16_ Buleutérion
17_ Tempio di Atena
18_ Tempio di Gio

La Valle dei Templi è caratterizzata dai resti di ben dieci templi in ordine dorico, tre santuari, una grande concentrazione di necropoli (Montelusa; Mosè; Pezzino; necropoli romana e tomba di Terone; paleocristiana; Acrosoli); opere idrauliche (giardino della Kolymbetra e gli Ipogei); fortificazioni; parte di un quartiere ellenistico romano costruito su pianta greca; due importanti luoghi di riunione: l'Agorà inferiore (non lontano dai resti del tempio di Zeus Olimpio) e l'Agorà superiore (che si trova all'interno del complesso museale); un Olympeion e un Bouleuterion (sala del consiglio) di epoca romana su pianta greca. Le denominazioni dei templi e le relative identificazioni, tranne quella dell'Olympeion, si presumono essere pure speculazioni umanistiche, che sono però rimaste nell'uso comune.

Tempio di Giunone
- Tempio di Hera Lacinia, o tempio di Giunone, fu costruito nel V secolo a.C. e incendiato nel 406 dai Cartaginesi. Era il tempio in cui di solito si celebravano le nozze.

- Tempio della Concordia, il cui nome deriva da un'iscrizione latina ritrovata nelle vicinanze dello stesso tempio, costruito anch'esso nel V secolo. Attualmente è con ogni probabilità quello meglio conservato, grazie anche alla circostanza che fu trasformato in tempio cristiano nel VI secolo d.C.

Tempio di Ercole
- Tempio di Eracle, o tempio di Ercole, il cui culto era molto importante nell'antica Akragas. Si tratta di una delle costruzioni più antiche. Distrutto da un terremoto, oggi restano in piedi otto colonne.



- Tempio di Zeus Olimpio, edificato dopo la vittoria di Himera sui Cartaginesi (480-479) per onorare Zeus. Era il tempio più grande di tutto l'occidente antico e unico nell'architettura del suo genere. Era caratterizzato dalla presenza dei telamoni, immense sculture alte sette metri e mezzo, raffigurazioni di Atlante che sorregge la volta celeste.                                          

- Tempio dei Dioscuri o tempio di Castore e Polluce. In realtà il tempio sorge all'interno del santuario delle divinità ctonie ed è quindi probabile che sia stato edificato in onore delle divinità della terra (Demetra, Persefone, Dioniso) e non dei Dioscuri.
Tempio di Zeus

- Tempio di Efesto o tempio di Vulcano.

- Tempio di Atena. Costruito lontano dalla valle vera e propria. Si trova nel centro storico della città di Agrigento. Sulla base del tempio sorge oggi la chiesa medievale di Santa Maria dei Greci.

- Tempio L, è stato scoperto da scavi recenti ed è una costruzione completamente distrutta già in epoca classica.

- Tempio di Asclepio, o tempio di Esculapio, facente parte di un santuario extraurbano costruito lontano dalle mura delle città, luogo di pellegrinaggio dei malati in ricerca di guarigione.

Tempio dei Dioscuri
- Tempio di Demetra e santuario rupestre di Demetra. Il tempio sorge nella parte orientale della città, sul fianco del pendio con cui si conclude la Rupe Atenea nella valle del fiume Akragas. Dal terrazzo del tempio di Demetra, attraverso una scalinata incavata nella roccia, si giunge al sottostante santuario completamente scavato all'interno della collina.

- Tempio di Iside. Si trova all'interno del complesso museale di San Nicola.

- La valle dei Templi inoltre ospita la cosiddetta tomba di Terone, un monumento di tufo di notevoli dimensioni a forma di piramide, che si pensa eretto per ricordare i caduti della Seconda guerra punica.

Sull'altro lato della strada che imbocca la Porta Aurea si stende una vasta spianata, dominata dal grande campo dell' Olympeion. Da un punto di vista topografico generale, il complesso, in rovina, appare virtualmente racchiuso tra una grande platea a nord, da uno stenopòs ad est, e da due isolati con relativi stenopoi ad ovest, mentre a sud corre la linea delle mura. È invece poco chiara la situazione ad est, oltre il grande altare del tempio, dove viene comunemente indicata la “zona dell'agorà” e dove si colloca un vasto parcheggio moderno, così come non definite bene sono le pertinenze occidentali del santuario, tra gli isolati d'abitazione e il colossale tempio.
Ad ovest di questi isolati d'abitazione, racchiuso da una stoà a L, si trova un altro santuario, di cui restano un piazzale lastricato, una sacello di pianta complessa e una tholos. Questo santuario posa su di uno sprone, ad est di un'ulteriore porta urbica, la V, sul cui altro lato si collocano in successione, fino al limite sud-occidentale della Collina dei Templi, il santuario delle divinità ctonie scavato dal Marconi, il nuovo santuario arcaico esplorato dal Del Miro, la cosiddetta colimbetra (dove si deve collocare un'altra porta ancora sconosciuta), e la punta estrema col tempio di Vulcano.
All'estremità ovest dell'area su cui sorge il Tempio della Concordia, nel giardino di Villa Aurea si trova una parte della necropoli tardo-antica ed alto-medievale, in parte ricavata in antiche cisterne, di cui sono ancora conservati numerosi altri esempi. Notevoli due ipogei, uno ad ovest dell'ingresso, con le pareti munite d'arcosoli e il pavimento di fosse sepolcrali, ed un altro presso l'angolo sud-est della casa del custode, con un ambiente illuminato da un pozzo di luce nel soffitto e due cripte sottostanti.

sabato 8 giugno 2013

Palazzo del parlamento, Dhaka , Bangladesh

Palazzo del parlamento, Dhaka  

Gli enormi occhi che sagomano le pareti di mattoni sembrano osservarci. Nel silenzio maestoso che enormi cubi, cilindri e sfere ritagliano sull’acqua, sembra che qualcuno ci stia spiando. Siamo in Asia, eppure sembriamo all’interno di un carcere piranesiano, con le sue enormi calotte, le gigantesche colonne e le scale che s’intersecano senza condurre da nessuna parte. O, forse, sembriamo abitanti di una di quelle architetture della mente disegnate dall’immaginifico Maurits Cornelis Escher. Invece no. Le sublimi foto ritraggono i volumi puri e solitari del Parlamento di Dacca, la capitale del Bangladesh. E mostrano il tratto inconfondibile dell’architetto Louis I. Kahn.
Sono spazi assoluti quasi gigantesche e silenziose rovine che ricordano la città morta, perfettamente edificata, di Fatehpur Sikri in India. Siamo in Bangladesh, ma pure qui gli archetipi dell’architettura romana sono arrivati. L’architettura nata in Italia — da quella di Roma a quella del Palladio — è stata globale prima della globalizzazione. Con i suoi archi a tutto sesto, le volte, la simmetria e la proporzione ha conquistato il mondo.
L’architettura di Dacca è un’architettura d’autore e una sfilata di archetipi: quadrato, cerchio, capanna, dedalo… Rimanda all’etimologia della parola «architettura», che racchiude l’idea di un ideatore come «primo tra i tecnici» e di archetipo.
Certo, nella storia, l’architettura è stata diverse cose: un’arte che imita la natura, una tecnica che si oppone alla natura, creazione che può cedere alle seduzioni del gesto, disciplina che organizza spazi per la società. Ma può anche essere l’espressione dell’ancorarsi a qualcosa che affonda in radici che non possono essere sradicate. L’architettura di Kahn è di questo tipo: è architettura che Piranesi avrebbe chiamato «romana» e «magnificente».
L’architetto vive nell’ossessione delle forme pure. Lo rivelano i suoi schizzi di viaggio . Sulla base dei quali, nel 1962, Kahn (1901-1974), americano di origine ebraica, progettò Dacca. Kahn non si liberò mai dall’ossessione per la monumentalità. Si sente erede degli architetti rivoluzionari dell’Illuminismo francese e dei pensionari di Villa Medici che disegnavano il Pantheon e il Settizonio.
L’edificio dell’Assemblea Nazionale è il più importante della Città della politica, progettata da Kahn Dacca, per la capitale del Bangladesh. I volumi in mattoni sono forme geometriche elementari basate sul rettangolo, il cerchio, il triangolo. I grandi parallelepipedi contengono gli uffici. Al centro della costruzione si erge, più alta, la Sala dell’Assemblea, cioè il Parlamento.
L’opera architettonica di Kahn è caratterizzata da cinque elementi costanti: il senso della composizione dei volumi; l’uso di materiali naturali; lo spazio come essenza dell’architettura; la luce come elemento di progetto; l’architettura come insieme di rapporti.
L’architettura di Kahn va oltre la razionalità funzionale del Movimento Moderno, per cercare una particolare forza espressiva nella geometria dei volumi, essenziali e assoluti come quelli di molte opere della Minimal Art.
Ciò che più caratterizza l’architettura di Kahn sono i suoi volumi imponenti e nitidi, perfettamente geometrici fi no ad apparire astratti. I solidi muri esterni creano un complesso chiuso. Le poche aperture sono enormi tagli circolari o triangolari.
 Nelle mani di Kahn il mattone ha ricevuto una nuova vita: abbinato al cemento armato, ha dato all’edifi cio un’immagine che unisce tradizione e razionalità costruttiva.
 I volumi sono intersecati dallo spazio. L’ingresso al palazzo è segnato dalla grande fessura verticale al centro del complesso di edifici.
I blocchi nitidi creano ombre nette che mettono in evidenza la geometria dei volumi.

venerdì 7 giugno 2013

Palazzo dei congressi nazionale brasiliano, Brasilia

Niemeyer organizzò una competizione per lo schema di progetto di Brasilia, la nuova capitale, e il vincitore del progetto fu il suo vecchio maestro e amico, Lúcio Costa. Niemeyer volle progettare gli edifici e Lucio la pianta della città.
Entro alcuni mesi, Niemeyer progettò un grande numero di edifici residenziali, commerciali e di governo. Tra loro c'era la residenza del Presidente (Palácio da Alvorada), la casa dei deputati, il Congresso Nazionale, la Cattedrale (una struttura iperboloide), diversi ministeri, per non parlare degli edifici residenziali. Vista dall'alto la città può essere vista come elementi che ripetono se stessi in ogni edificio, che forma un'unità formale. La cattedrale di Brasilia è particolarmente bella, con diversi simbolismi moderni. La sua entrata è ampia e chiara, l'illuminazione dei corridoi contrasta con l'atrio, illuminato dalla luce naturale.
Le visioni di Oscar Niemeyer - Il Palazzo del Congresso con la cupola del Senato (concava) e quella della Camera dei Deputati (convessa) - BrasiliaDietro la costruzione di Brasilia c'è una monumentale campagna per costruire un'intera città nel desolato centro del paese, migliaia di chilometri da qualsiasi altra città maggiore. L'intuizione di Kubitschek era di stimolare l'industria nazionale, integrando aree del paese distanti, popolare regioni inospitali e portare il progresso a regioni ove "only cattle ranching had a foothold" (molti storici paragonano la costruzione di Brasilia alla colonizzazione americana del West). Niemeyer e Lúcio Costa usarono quest'intuizione per testare il nuovo concetto di piano pilota: strade senza transito (Niemeyer avrebbe detto che è irrispettoso verso l'uomo impiegare 20 minuti per spostarsi da una regione a un'altra). Gli edifici, sostenuti da colonne, avrebbero permesso di liberare lo spazio, permettendone la condivisione con la natura.
Il progetto era sorretto anche da un'ideologia socialista: a Brasilia tutti gli appartamenti sarebbero stati posseduti dal governo e affittati ai lavoratori. Brasilia non ha zone "migliori", cosicché i ministri e i comuni lavoratori devono condividere gli stessi edifici. In seguito, molti di questi concetti sono stati ignorati o cambiati da altri presidenti, portatori di visioni diverse. Brasilia fu progettata, costruita, e inaugurata entro 4 anni. Dopo di allora, Niemeyer fu nominato capo responsabile del collegio di architettura dell'Università di Brasilia. Nel 1963, divenne un membro onorario dell'American Institute of Architects negli Stati Uniti; lo stesso anno ricevette dall'Unione sovietica il Premio Lenin per la pace.
Nel 1964, fu invitato in Israele da Abba Hushi, sindaco di Haifa, per pianificare il campus dell'Università di Haifa. Al suo ritorno in Brasile trovò un paese completamente diverso. In marzo, il presidente João Goulart, succeduto a Jânio Quadros nel 1961, fu rimosso con un colpo di stato. Il generale Castelo Branco assunse il comando del paese, che sarebbe stato trasformato in una dittatura fino al 1985.

Le Corbusier, La Cappella a Ronchamp

Notre-Dame du Haut è il nome di una cappella situata a Ronchamp, presso Belfort in Francia realizzata dall'architetto Le Corbusier secondo i canoni dell'architettura brutalista (vedi anche Razionalismo). È considerata uno dei più celebri esempi di moderna architettura religiosa.
Iniziata nel 1950, la chiesa fu consacrata il 20 giugno 1955.
La struttura è in gran parte di calcestruzzo ed è relativamente piccola, racchiusa da mura spesse, con il tetto rovesciato sostenuto da colonne incorporate all'interno delle mura, si presenta come una vela ondeggiante nelle correnti ventose sulla cima della collina. La Chiesa cristiana è stata vista come la nave di Dio, portando la sicurezza e la salvezza dei seguaci. All'interno, gli spazi lasciati tra le pareti e il tetto e piena di finestre a lucernario, così come la luce asimmetrica dalle aperture a parete, servono a rafforzare ulteriormente la sacralità dello spazio e rafforzare il rapporto dell'edificio con l'ambiente circostante. L'illuminazione all'interno è morbida e indiretta, dalle finestre a lucernario e si riflette sulle pareti bianche della cappella con proiezione di torri.
La struttura è costruita per lo più da cemento e pietra, che era un residuo della cappella originaria costruita sul sito collinare distrutta durante la seconda guerra mondiale. Alcuni hanno descritto Ronchamp come il primo edificio post-moderno. E 'stato costruito nei primi anni 1950.
La parte principale della struttura è costituita da due membrane in calcestruzzo separate da uno spazio , formando un guscio che costituisce il tetto dell'edificio. Questo tetto, sia isolante e impermeabile, è sostenuto da puntoni brevi. Questi muri che sono senza contrafforti seguono, in piano, le forme curvilinee calcolate per dare stabilità a questa grezza muratura. Uno spazio di alcuni centimetri tra il guscio del tetto e la busta verticale delle pareti fornisce una voce significativa per luce diurna. Il pavimento della cappella segue il pendio naturale della collina verso il basso verso l'altare. Alcune parti sono di pietra bianca di Borgogna, come lo sono gli altari stessi. Le torri sono costruite in muratura di pietra e sono sormontati da cupole di cemento. Gli elementi verticali della cappella sono costruiti con malta spruzzata su con una pistola e poi dipinto di bianco . Sia per l'interno che per l'esterno il guscio di cemento del tetto è stato lasciato grezzo, così come viene dal cassero. Per l'impermeabilizzazione  è stato effettuato un rivestimento esterno in alluminio. Le pareti interne sono di colore bianco, grigio soffitto.
La luce entra inoltre da decine di aperture delle più varie forme. Feritoie, finestre, vetrate e frangisole che determinano suggestivi effetti di luce valorizzati dal contrasto tra il bianco dell'intonaco ed il grigio sporco del cemento.
La chiesa è stata concepita per essere utilizzata anche all'esterno, dove, sotto l'ampio tetto, si trovano un altare e un pulpito. La costruzione può ospitare circa 200 persone.
L’indiscusso successo della cappella di Ronchamp, che ha rivoluzionato l’architettura religiosa negli anni Cinquanta, ha portato alla nascita di decine e decine di sue imitazioni. La struttura si rifà al brutalismo, come stile architettonico, termine usato per la prima volta nel 1954 in Inghilterra. Questo definiva non più dei volumi plastici ma brutali, rudi, con cemento a vista, dove tutto si unisce e si modella in un vigore architettonico armonioso.La chiesa è stata concepita per essere utilizzata anche all'esterno, dove, sotto l'ampio tetto, si trovano un altare e un pulpito, e quindi si possono celebrare le messe anche all’ aperto proprio davanti al monumento dedicato ai caduti della seconda guerra mondiale. Anche le tre campane, sono state collocate in giardino, rette da una struttura di acciaio. Non sono inserite in nessun modo nell’ edificio, questo per lasciargli la leggerezza e la sinuosità. L’edificio bianco, contrasta con il cielo azzurro e salendo verso la collina, ci si accorge di essere spettatori di qualche cosa di veramente geniale, la leggerezza del cemento, la stranezza delle forme che lasciano senza fiato i visitatori.

Frank Lloyd Wright , Solomon R. Guggenheim Museum

Il Solomon R. Guggenheim Museum è un museo di arte moderna e arte contemporanea, fondato nel 1937, con sede nella 5th Avenue 89, a New York, negli Stati Uniti d'America. La sua sede attuale è un'opera di Frank Lloyd Wright del 1943, tra le più importanti architetture del XX secolo.
Nel giugno del 1943, Frank Lloyd Wright ha ricevuto una lettera da Hilla Rebay, il consulente d'arte di Solomon R. Guggenheim, chiedendo l'architetto di progettare un nuovo edificio a quattro-anno-vecchio Museo di casa Guggenheim di Pittura Non-oggettiva. Il progetto si è evoluto in una lotta complessa pitting l'architetto contro i suoi clienti, i funzionari della città, il mondo dell'arte, e l'opinione pubblica. Sia Guggenheim e Wright sarebbero morti prima del 1959 il completamento dell'edificio. Il risultato che ne risulta, il Solomon R. Guggenheim Museum, testimonia non solo al genio architettonico di Wright, ma per lo spirito avventuroso che ha caratterizzato i suoi fondatori.
Inizialmente denominato Museo della pittura non-oggettiva (Museum of Non-Objective Painting), il Guggenheim fu costruito per esporre le avanguardie artistiche che si andavano sempre più imponendo, come l'astrattismo i cui artisti principali erano Vasilij Kandinskij e Piet Mondrian. Il museo fu trasferito nella sede attuale, quando l'edificio progettato da Frank Lloyd Wright fu completato.
Il caratteristico edificio, ultimo grande lavoro di Wright, catturò subito l'attenzione dei critici architettonici, ed è ancora mondialmente riconosciuto come uno dei capolavori dell'architettura contemporanea. Dalla strada, l'edificio assomiglia a un nastro bianco che si avvolge attorno a un cilindro più ampio in cima che alla base. Il suo aspetto è in forte contrasto con i più caratteristici grattacieli di Manhattan che lo circondano, fatto molto gradito a Wright, che dichiarò che il suo museo avrebbe fatto sembrare il vicino Metropolitan Museum of Art "simile a una baracca Protestante".
All'interno, la galleria espositiva forma una dolce spirale che sale dal piano terra fino alla cima dell'edificio. I dipinti sono esposti lungo i muri della spirale e in alcune stanze che si trovano lungo il percorso.
La maggior parte di coloro che criticano l'edificio si concentrano sul fatto che questo oscura le opere esposte al suo interno e che è particolarmente difficile appendere le opere lungo i muri né piatti né verticali della spirale, non sufficientemente illuminata dalla grande vetrata centrale.
Nel 1992, fu aggiunta all'edificio una torre rettangolare, più alta della spirale originale, progettata dallo studio Gwathmey Siegel and Associates Architects. L'edificio era già divenuto a tal punto un'icona che questa aggiunta al progetto di Wright fu molto contestata.
La spirale capovolta somiglia molto ad uno Ziggurat rovesciato tant'è che lo stesso Wright la denominò Taruggiz. Essa può essere vista quindi come una Torre di Babele rovesciata (che era appunto uno ziggurat ) col valore simbolico di voler riunire i popoli con la cultura (esso è infatti un museo d'arte) al contrario della divisione dei popoli avvenuta nella nota vicenda biblica della Torre di Babele. Altro significato simbolico è legato al sistema di scale a spirale che consentono sempre di guardare indietro sul cammino percorso.
Malgrado visivamente dia l'idea di una struttura ardita, l'edificio in realtà ha un funzionamento abbastanza classico. La rampa a spirale, a pianta circolare, è divisa in due parti. Nella parte esterna del cerchio si trova lo spazio espositivo che viene sostenuto da dei setti in c.a. che sono posizionati lungo i raggi del cerchio ogni 30°. All'interno del cerchio invece si trova il percorso di salita e discesa il quale è a sbalzo. I setti, di forma trapezoidale, si restringono andando dall'alto verso il basso fino ad avvicinarsi alla sezione minima di resistenza, lasciando poi il posto ad un tamburo circolare che corre lungo il perimetro esterno della spirale. In copertura i setti vengono prolungati così da formare i costoloni della cupola che sovrasta il grande spazio vuoto.

Palazzo dell'ONU, Wallace K. Harrison

Il 9 gennaio del 1951 venne inaugurata, a New York, la sede ufficiale dell’ONU, il famoso “Palazzo di Vetro“. La sede centrale delle Nazioni Unite è un grande complesso di edifici, su un terreno che gode del diritto di extraterritorialità.
Nelle intenzioni iniziali delle Nazioni Unite venne previsto, invece di un concorso, che l’edificio fosse progettato da un gruppo che fosse composto dai maggiori architetti mondiali dell’epoca, per dare un respiro “globale” all’opera.
L’architetto americano Wallace K. Harrison venne nominato come architetto capo e direttore della pianificazione, accanto a un consiglio di “consulenti” nominato dai governi membri. Il consiglio era composto da Nikolai G. Bassov (Unione Sovietica), Gaston Brunfaut (Belgio), Ernest Cormier (Canada), Le Corbusier (Francia), Seu-Liang Cheng (Cina), Sven Markelius (Svezia), Oscar Niemeyer (Brasile), Howard Robertson (Regno Unito), G.A. Soilleux (Australia) e Julio Villamajo (Uruguay). 50 progetti furono valutati dal team, e poi venne scelto un progetto basato su un’intesa tra il n. 32 di Niemeyer e il n. 23 di Le Corbusier. L’idea di Le Corbusier consisteva in un edificio che contenesse sia la Sala delle Assemblee e dei Consigli al centro del sito, mentre nei piani di Niemeyer trovano collocazione due separati edifici e una piazza pubblica.
L’edificio più noto della sede dell’ONU è, per l’appunto, il cosiddetto “Palazzo di Vetro”, nel quale è ubicata la sede del Segretariato.
Il “Palazzo di Vetro” è un grande parallelepipedo di 154 m di altezza, edificato tra il 1949 e il 1950, su progetto del citato architetto brasiliano, che si specchia nell’East River a Manhattan. La costruzione fu in parte finanziata da una donazione di 8,5 milioni di dollari di John D. Rockefeller Jr., che pesò sulla scelta dell’attuale collocazione negli USA e a New York rispetto alle moltissime altre opzioni possibile per la sede.
La costruzione del Palazzo dell’ONU fu proprio l’occasione per trovare una nuova tipologia edilizia per i grandi blocchi di uffici. Le autorità delle Nazioni Unite nominano nel ’47 una commissione di consulenti di vari paesi tra i quali Le Corbusier che prepara uno schema volumetrico, poi accettato dalla commissione, proponendo di collocare le tre funzioni, segretariato, le commissioni e l’assemblea generale, in tre distinti corpi di fabbrica, i primi due “grattacieli cartesiani” orientati perpendicolarmente fra loro.
Il progetto esecutivo è redatto da Fallace K. Harrison e Max Abramowitz fra il ’48 e il ’50. Le facciate brevi sono piene e lisce, con un rivestimento in marmo bianco, mentre le facciate lunghe sono due immense superfici vetrate, formate dalla ripetizione di un modulo finestra piccolo, che compare ben 2700 volte in ciascuna. In tal modo le facciate a vetri si presentano come due lastre unite al pari delle testate piene, anche perché il colore verde e la lucentezza dei vetri impastano il disegno dei montanti metallici.