Dubai, ecco l'isola a forma di palma

Le Palm Islands sono tre isole artificiali, Palma Jumeirah, Palma Jebel Ali e Palma Deira, antistanti Dubai, negli Emirati Arabi Uniti.

Il Pantheon della Roma antica

All'inizio del VII secolo il Pantheon è stato convertito in basilica cristiana, chiamata Santa Maria della Rotonda.

Casa Batllò, Barcellona

Considerata una delle opere più originali del celebre architetto catalano Antoni Gaudí , l'edificio è stato dichiarato, nel 2005, patrimonio dell'umanità dell'UNESCO.

Giza e le sue Piramidi

Giza deve la sua importanza al fatto di ospitare, su un pianoro roccioso che si trova alla periferia della città, una delle più importanti necropoli dell'antico Egitto.

I trulli pugliesi

I Trulli di Alberobello sono stati dichiarati Patrimonio mondiale dell'umanità dall'UNESCO.

Villa Adriana, Tivoli

Costruita a partire dal 117 d.C. dall’imperatore Adriano, è la più importante e complessa Villa a noi rimasta dell’antichità romana.

Mediateque di Toyo Ito, Sendai

Toyo Ito: quando la comunicazione è come la luce.

giovedì 6 giugno 2013

Chrysler Building

Completato nel 1930, il Chrysler Building è uno dei simboli più noti di New York City. Alto 319 metri, si trova nell'east side di Manhattan, all'incrocio tra la 42a strada e Lexington Avenue. Costruito per la società automobilistica Chrysler, l'edificio è oggi posseduto da due società immobiliari, la Abu Dhabi Investment Council (per il 90%) e la Tishman Speyer Properties (per il restante 10%).
Di colore grigio-argento chiaro, si erge su una base di venti piani, al di sopra della quale si staglia un fusto intermedio alto 170 metri. Progressivamente, la sezione del fusto si restringe e culmina in una raggiera di acciaio inossidabile con finestre smerlate, sormontata da una guglia.
L’atrio è stato concepito come un mondo magico dagli effetti luminosi, dai costosi marmi color ruggine e dai lucidi metalli e riprendeva l’atmosfera di un allestimento hollywoodiano. Ogni ascensore è stato rivestito internamente con un differente intarsio in legno, con motivi ornamentali che richiamano gli stemmi araldici riportati sul corpo principale dell’edificio. Il rivestimento della torre è intarsiato con mattoni color grigio scuro che risaltano sulle superfici argentee, mentre gli spigoli danno l’impressione di conci angolari di massa maggiore.
Le finestre al centro di ogni facciata sono dettagliate per conferire un senso di forze verticali percorrenti l’intera altezza del fusto e terminanti sotto forma di un elemento centrale curvo; esse vogliono simulare i reali movimenti degli ascensori che salgono e scendono nel cuore dell’edificio.
Ma queste apparenze erano anche manifestazioni di fantasia ispirate al cliente: agli spigoli del quarantesimo piano, alla base del fusto principale, furono collocati quattro giganteschi tappi di radiatori Chrysler, in metallo, con relative alette. Accanto ad essi, corre tutto intorno all’edificio un fregio raffigurante ruote di automobili stilizzate con enormi perni argentati per coprimozzi. Il logo zigzagato della Chrysler appariva sulla muratura in mattoni a diversi livelli; in origine, all’interno della cuspide a raggiera e sotto la guglia, si trovava una scatola di vetro che conteneva il primo campionario di strumenti di Walter Chrysler (che, si diceva, fosse stata nascosta il giorno in cui l'Empire State Building sorpassò in altezza il Chrysler). Intorno alla base della cuspide vennero sistemate delle colossali aquile americane, che si proiettavano come grondoni verso l'orizzonte. Il composito messaggio era chiaro: una celebrazione individuale nell'ambito del sistema economico americano.
La costruzione iniziata il 19 settembre 1928. In totale, quasi 400.000 rivetti sono stati utilizzati e circa 3.826.000 mattoni venivano lavorati a mano, per creare le pareti non portanti del grattacielo.
I vari particolari architettonici e soprattutto doccioni dell'edificio sono stati modellati dopo i prodotti automobilistici Chrysler.
Il nuovo progetto consisteva in un nuovo top, che non solo prevedeva l’utilizzo di materiali diversi come l’acciaio “Nirosta” con cui la punta del grattacielo venne ricoperta, ma un nuovo design Art Deco, con archi borchiati, finestre triangolari e un segreto, che avrebbe permesso al grattacielo di Chrysler di vincere la gara per l’edificio più alto del mondo contro la Bank of Manhattan al 40 di Wall Street, che veniva costruita nello stesso periodo.

Questo segreto era la guglia di acciaio, che fu tenuta nascosta all’'interno dell’edificio per settimane, prima di essere installata – in soli 90 minuti – sul Chrysler, nello sconcerto generale di riviste e opinione pubblica che avevano seguito la costruzione dei due palazzi scommettendo su chi avrebbe vinto la gara.
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/f/fc/Chrysler_Building_at_night.JPGSe a livello stradale il CB sembra un edificio come tanti altri a NYC, è al suo interno che la magnificenza è stata espressa senza sconti. Oggi non è più possibile raggiungere la gallery che dal 1930 al 1945 permetteva di vedere la città a 360° dal 71esimo piano. E non è nemmeno possibile fare tour guidati, salendo ai piani alti per vedere, ad esempio, le vestigia del Cloud Club frequentato da magnati che occupava ben 3 dei suoi piani (66esimo-68esimo). Ma anche solo la Lobby, visitabile gratuitamente, vi emozionerà: il soffitto, ristrutturato nel 1999, è un enorme murale di Edward Turnbull intitolato “Energy, Result, Workmanship and Transportation”, dove viene rappresentato il Chrysler Building stesso, i lavoratori che lo hanno costruito, mille decorazioni (e un aereo). Da lontano potrete poi vedere gli ascensori, anch’essi spettacolari lavori di intarsio in legno.
Incredibilmente, il Chrysler Building è un edificio “fatto a mano”. A differenza di molti grattacieli del periodo che utilizzavano materiali già pronti sul mercato, il CB è il risultato della lavorazione artigianale che aveva luogo al suo interno. La guglia, le finestre, le lamine di metallo che lo ricoprono,venivano lavorate nei laboratori che si trovavano al 65esimo e al 67esimo piano. Gli stessi gargoyles furono creati rielaborando aspetti estetici delle auto Chrysler, e la guglia è una rivisitazione della griglia di un radiatore. Al 31 piano si trovano le repliche giganti dei tappi del radiatore utilizzati da Chrysler nel 1929, mentre al 61esimo sono le aquile a svettare in tutta la loro maestosità gotica.

E tutto questo nel rispetto delle norme di sicurezza inconsuete per l’epoca, o forse no… nessun operaio perse comunque la vita durante la costruzione del grattacielo.

L'Empire State Building

L'Empire State Building è un grattacielo della città di New York. Con i suoi 381 metri di altezza (443,2 m se si considera anche l'antenna televisiva sulla sua cima), è stato il grattacielo più alto del mondo fra il 1931 (anno del suo completamento) ed il 1973, quando furono inaugurate le Torri Gemelle del World Trade Center.
In seguito al crollo di queste ultime negli attentati terroristici dell'11 settembre 2001, è tornato ad essere l'edificio più alto della città ed il terzo più alto degli Stati Uniti (dopo la Willis Tower e la Trump International Hotel and Tower di Chicago), fino al 30 aprile 2012 giorno in cui il cantiere della Freedom Tower l'ha superato di 8 metri.
È stato proposto come una delle Sette meraviglie del mondo moderno.
Progettato in stile Art Deco dagli architetti Lamb e Harmon, l'Empire State Building fu iniziato nel 1930 e completato con una certa fretta (per l'esattezza in soli 14 mesi), anche allo scopo di togliere all'elegante Chrysler Building il titolo di edificio più alto del mondo. Inaugurato il 1º maggio 1931, esso ha 102 piani (per una superficie complessiva di 204.385 metri quadrati) serviti da 73 ascensori e che ricevono luce da 6500 finestre. Il suo peso è stimato in 275.000 t.
Nel periodo immediatamente successivo alla sua costruzione, in piena grande depressione, gli uffici erano quasi interamente vuoti e la sera le luci venivano accese appositamente per evitare che ciò si capisse: questa situazione iniziale valse al grattacielo il nomignolo di Empty State Building.
Poco sotto la sua cima esiste un osservatorio che offre una notevole vista sulla città sottostante e che è un'importante meta turistica. La cima stessa è generalmente illuminata con colori che corrispondono alle varie ricorrenze (ad es., dopo gli attentati del settembre 2001 le luci sono rimaste a lungo dei colori della bandiera americana).
Nel 1945 l'Empire State Building fu coinvolto in un incidente aereo, quando un bombardiere B-25 Mitchell si schiantò accidentalmente sul suo lato nord, fra il settantanovesimo e l'ottantesimo piano, uccidendo 14 persone.
Negli anni cinquanta sulla sua cima fu aggiunta l'antenna per le trasmissioni televisive, alta oltre 50 metri.
L'Empire State Building è stato progettato da William F. Lamb dallo studio di architettura Shreve, Lamb e Harmon, che ha prodotto i disegni di costruzione in sole due settimane, utilizzandi i suoi precedenti progetti per la costruzione di Reynolds a Winston-Salem, North Carolina, e il Carew Torre a Cincinnati, Ohio (progettato dallo studio di architettura WW Ahlschlager & Associates) come base. L'edificio è stato progettato da cima a fondo. I contraenti generali erano Il Starrett Brothers e Eken, e il progetto è stato finanziato principalmente da John J. Raskob e Pierre S. du Pont. La società di costruzioni è stata presieduta da Alfred E. Smith, un ex governatore di New York e James Farley Builders Generale Supply Corporation ha fornito i materiali da costruzione. John W. Bowser era il sovrintendente del progetto durante l'esecuzione dei lavori.
Gli scavi del sito sono iniziati il 22 gennaio 1930, e la costruzione dell'edificio stesso è iniziata simbolicamente il 17 marzo. Il progetto ha coinvolto 3.400 lavoratori, per lo più immigrati provenienti da Europa, insieme a centinaia di 'Mohawk' (lavoratori di ferro) , molti dalla riserva di Kahnawake vicino a Montreal. Secondo i resoconti ufficiali, cinque operai morti durante la costruzione. Il nipote del governatore Smith ha tagliato il nastro il 1 ° maggio 1931. La Fotografia di Lewis Wickes Hine della costruzione non solo fornisce la documentazione inestimabile della costruzione, ma anche uno sguardo nella vita comune e nella giornata dei lavoratori in quel periodo.
La costruzione era parte di una forte concorrenza a New York per il titolo di "edificio più alto del mondo". Altri due progetti in lotta per il titolo, 40 Wall Street e il Chrysler Building, erano ancora in costruzione quando sono iniziati i lavori l'Empire State Building. Il progetto è stato completato prima del previsto. Invece di prendere 18 mesi come anticipato, la costruzione ha avuto poco meno di 15 mesi. Grazie alla riduzione dei costi durante la depressione, i costi finali sono pari a solo 24,7 milioni dollari (372,9 milioni dollari nel 2012) al posto della cifra stimata di 43 milioni.

Giuseppe Terragni, la Casa del Fascio

« Pietra miliare dell'architettura moderna europea, quest'opera dipana la fragranza creativa di Terragni nel quadro della poetica razionalista. È un precoce testo di "maniera", e ciò spiega perché, a distanza di quasi cinquant'anni, sia oggetto di appassionati studi »
(Bruno Zevi).
La ex-Casa del Fascio, a Como, si trova in piazza del Popolo 4 (ex piazza Impero) ed è uno dei più interessanti edifici del razionalismo italiano.
Progettata da Giuseppe Terragni nel 1932 i lavori di costruzione terminarono nel 1936. Un primo progetto, più tradizionale, era stato realizzato anche nel 1928.
La sede del Partito sta a testimoniare che l'Italia, al contrario di molti altri paesi europei, l' architettura moderna e quella classica non si trovano in contraddizione.
L'edificio ha la forma di un grande parallelepipedo formato da superfici di geometria pura: su un lato di 33,20 metri, per un'altezza dimezzata, si dispongono parti piene e parti vuote, che scandiscono un essenziale ma efficace gioco, dai suggestivi effetti chiaroscurali e di trasparenza. I materiali (Botticino, vetrocemento, vetro e metallo leghe autarchiche) sono disposti in forme che creano linee parallele e ortogonali, che rendono armonioso l'insieme architettonico. All'interno è usato anche il marmo di Trani ed il marmo nero del Belgio, oltre che l'intonaco dipinto.
L'edificio denuncia la sua monumentalità con tre gradini rispetto al piano stradale e dialoga con gli elementi vicini: la montagna di Brunate, il Teatro Sociale, il Duomo. Oltrepassando una delle diciotto porte-vetrate, si raggiunge un atrio, sulla quale si affacciano gli ambienti principali: la sala del Direttorio, gli uffici e i ballatoi distributivi.
L'atrio è coperto da velari in vetrocemento, tra i quali è posta una lunga lastra di vetro che permette di intravedere la collina soprastante.
In origine, l'interno e l'esterno erano decorati da pannelli in cemento colorati con soggetti astratti, immagini di propaganda e spazi vuoti montati su telai di vetro, opere di Mario Radice e Manlio Rho oggi perdute.
Dal 1957 è sede del Comando Provinciale di Como della Guardia di Finanza. Attualmente ospita anche un piccolo Museo della 6ª Legione della Guardia di Finanza.
L'edificio è raffigurato su un francobollo da 0,85 € emesso il 17 aprile 2004 in occasione del centenario della nascita di Giuseppe Terragni.

La Torre Einstein, Erich Mendelsohn

È il capolavoro dell'architettura espressionista tedesca, e una delle opere più innovative dell'architettura moderna.
La Torre Einstein è un osservatorio astrofisico progettato dall'architetto tedesco Erich Mendelsohn, costruito sul pendio di un'altura morenica (chiamata "collina del telegrafo") alta 94 metri che domina la periferia di Potsdam, nell'ambito del Wissenschaftspark Albert Einstein (Parco scientifico Albert Einstein).

In esso la forma plastica concretizza al meglio la forza espressiva degli schizzi di Mendelsohn elaborati a partire dal 1917-18. Fu commissionata dall’astrofisico Freundlich, con l’intenzione di fornire ad Einstein un osservatorio astronomico col quale approfondire lo studio della deviazione dello spettro solare in base alla teoria della relatività. Il laboratorio vero e proprio si trova nei sotterranei; esso è collegato con l’osservatorio verticale a calotta girevole contenente un telescopio; l'immagine degli astri, captata col cannocchiale nella cupola, viene deviata e proiettata nel laboratorio sotterraneo tramite un elaborato sistema di specchi. A piano terra c’è la stanza da lavoro e un ambiente per il pernottamento. Lo stile architettonico della costruzione si caratterizza per la prevalenza della linea curva e per l’abolizione dell’angolo retto.
L’edificio è concepito come una massa plastica modellata nella cera la cui composizione è data dalla fusione del corpo curveggiante orizzontale con quello verticale della torre, che conclude la spinta aerodinamica verso la cupola. Le linee ondulate definiscono la cupola, le finestre, la torre, l’ingresso. Con il suo profilo fluido e la sua forma plastica ricorda quasi un animale dal lungo collo, la cui forma sinuosa si adagia sul terreno; oppure la sagoma di un sommergibile (con un richiamo anche alla effettiva funzione di periscopio svolta dalla torre).  Le pareti determinano un effetto ondulatorio che si accentua al variare della luce sulla superficie delle pareti. La sua forma dinamica e anti-geometrica rende le pareti fluide e sfuggenti, e invitano l’osservatore ad effettuare un giro lungo il suo perimetro per comprenderne la forma, quasi una materializzazione architettonica di quella quarta dimensione (il tempo necessario per effettuare questo percorso e quindi memorizzare la sequenza di vedute) già sperimentata in ambito pittorico. La massa della torre è alleggerita dalle finestre poste su quattro piani. Anche nel basamento sono presenti aperture arrotondate e di ampiezza diversa. Queste aperture scavate nel muro determinano forti contrasti chiaroscurali; ciò avvicinano quest’opera architettonica ai contemporanei dipinti degli espressionisti tedeschi. La luce catturata alla sommità dell'edificio viene deviata da un sistema di specchi prima verticalmente lungo la torre sino al piano interrato che ospita il laboratorio vero e proprio, poi orizzontalmente (allungando ulteriormente in tal guisa la lunghezza focale), sino agli strumenti di rilevazione. Le pareti inclinate e arrotondate danno quasi l’idea che l’edificio, soprattutto nella parte anteriore, cresca organicamente verso lo spazio esterno; qui sono presenti due ali che sembrano quasi invitare il visitatore ad avvicinarsi alla rampa d’ingresso e ad entrare nel laboratorio. Dal punto di vista architettonico la sua plasticità e le sue compatte forme organiche ricordano le costruzioni degli architetti della Scuola di Amsterdam, che più volte invitarono Mendelsohn a visitare le loro opere, non appena ebbe terminato questo edificio. L’edificio, sebbene formalmente così innovativo, è in gran parte ancora costruito in modo tradizionale, cioè in muratura rivestita da intonaco (solo il basamento e la base su cui poggia la calotta sono in cemento armato). Solo l’intonacatura omogenea delle superfici dà l’impressione di un’unica colata di cemento intonacato di bianco, da cui contrasta solo la calotta metallica. Questa torre-osservatorio procurò all’ architetto un'immediata celebrità; dopo questa realizzazione si avvicinerà gradualmente al linguaggio razionalista senza però abbandonare la linea curva. Semidistrutta durante la II Guerra mondiale, verrà ricostruita nel 1978. Nel 1999 ha subito un ulteriore intervento di risanamento. Sebbene monumento storico-artistico tutelato, l’edificio è tuttora attivo come osservatorio solare dell'Istituto astrofisico di Potsdam.
Il primo progetto dell'edificio fu redatto attorno al 1917 e la costruzione fu in gran parte realizzata dal 1920 al 1921 grazie ad una raccolta di fondi. La torre divenne operativa nel 1924. Essa resta attiva come osservatorio solare nell'ambito dell'Istituto astrofisico di Potsdam.
La torre presenta un aspetto plastico e scultoreo, con finestre scavate all'interno della massa muraria che le conferiscono ulteriore dinamismo. L'interno è definito in funzione degli strumenti che doveva ospitare, utilizzati dagli scienziati per studiare lo spettro luminoso e relazionarlo ai principi della teoria della relatività di Albert Einstein. La torre, ora monumento storico-artistico protetto, è ancora oggi l’osservatorio dell’Istituto di astrofisica di Potsdam. Originariamente progettato per essere costruito in cemento armato, è stato invece realizzato solo in parte con questo materiale, l’altra parte è in muratura intonacata. Gli errori di progettazione dovuti alla mancanza di esperienze con il nuovo materiale, hanno reso necessario vari interventi di risanamento. L’ultimo intervento è avvenuto nel 1999 in occasione del 75-esimo anniversario dalla costruzione.
Uno degli aspetti del movimento espressionista tedesco che più di altri consente di comprendere lo stretto rapporto esistente in quell'epoca fra arte e società è rappresentato dall'architettura.
In una mostra tenutasi a Palazzo Grassi, è stata ricostruita la Torre Einstein, il plastico è stato realizzato a Venezia in scala 1:5 rispetto all'originale. Questo grande modello ha occupato quasi interamente l'atrio e si è elevato all'interno del palazzo per circa sei metri, fino all'altezza del piano nobile.

La Sagrada Família, Antoni Gaudì

La Sagrada Família, nome completo in lingua catalana Temple Expiatori de la Sagrada Família (Tempio espiatorio della Sacra Famiglia) di Barcellona, Catalogna (Spagna) è una grande basilica cattolica (minore), tuttora in costruzione, ed è uno dei capolavori dell'architetto Antoni Gaudí, massimo esponente del modernismo catalano. La vastità della scala del progetto e il suo stile caratteristico ne hanno fatto uno dei principali simboli della città e una delle tappe obbligate del turismo di massa.
I lavori sono cominciati nel lontano 1882 sotto il regno di Alfonso XII di Spagna. Un completamento potrebbe essere possibile a partire dal 2026. Come spesso accaduto nel caso di progetti destinati a durare uno o più secoli (per esempio la Basilica di San Pietro o il Duomo di Milano) la chiesa è stata consacrata ancora non conclusa, da parte di papa Benedetto XVI il 7 novembre 2010, che l'ha elevata al rango di Basilica minore.
Il progetto è basato sulle versioni ricostruite dei progetti e dei modelli perduti (un incendio nel 1936, appiccato durante la guerra civile spagnola dai repubblicani all'atelier di Gaudí, distrusse molte tavole progettuali del celebre architetto), sullo studio della porzione dell'edificio realizzata personalmente da Gaudí e su adattamenti moderni.
Ogni parte del progetto è ricca di allegorie e simbolismi cristiani mistici, in quanto Gaudí concepiva la chiesa per essere "l'ultimo grande santuario della cristianità". Gli aspetti che colpiscono di più sono le sue guglie affusolate. Ne sono già state realizzate 8 ma in totale le guglie della basilica saranno 18 e rappresenteranno in ordine ascendente: i 12 apostoli, i 4 evangelisti, la Madonna e, la più alta di tutte, Gesù. Le guglie degli evangelisti saranno sormontate da sculture dei loro simboli tradizionali: un angelo, un bue, un'aquila e un leone. La guglia della Madonna sarà sormontata dalla Stella del Mattino mentre quella centrale del Cristo, che sarà innalzata sulla base della cupola sovrastante la navata centrale, conterà un'altezza di ben 170 metri e sarà sormontata da una grandissima croce.  L'altezza totale delle guglie sarà tuttavia inferiore di un metro a quella del Montjuïc, poiché Gaudí credeva che il suo lavoro non dovesse superare quello di Dio. Le otto guglie più basse già realizzate sono sormontate da grappoli d'uva, che rappresentano il frutto spirituale.
Gaudì aveva previsto la realizzazione di tre facciate, dedicate rispettivamente alla nascita, crocifissione e resurrezione di Gesù, sette navate e diciotto torri che dovevano rappresentare Cristo, i dodici Apostoli, i quattro Evangelisti e la Vergine Maria. Oggi la Sagrada Familia è formata da due facciate (Natività e Crocifissione), dai fianchi, parte dell'abside e del transetto sinistro; il tetto, invece, manca completamente (il completamento è previsto per il 2007). L'unica facciata terminata da Gaudì è quella della Natività, decorata da gruppi scultorei raffiguranti la nascita di Gesù, e da elementi naturalistici. Gaudì infatti riproduce piante, fiori, nuvole e stalattiti di ghiaccio sulla pietra. La facciata della Crocifissione, inaugurata nel 2000, è stata realizzata dall'architetto Subirachs, che ha saputo sintetizzare le proprie idee e quelle di Gaudì, adottando, però, uno stile più moderno e meno imponente. La costruzione avanza a ritmi lentissimi a causa dei costi elevati, in quanto viene realizzata unicamente grazie alle offerte dei fedeli. Per questo motivo bisognerà attendere almeno mezzo secolo prima di vedere la Sagrada Familia completata.Oggi il cantiere è diventato un'attrazione turistica, grazie alle alte torri, dalle quali si può godere un'ottima vista di Barcellona, e grazie al museo posto vicino al cantiere, dove vengono mostrate ai visitatori le varie fasi della costruzione dalla chiesa.
I temi di tutta la decorazione includono parole della liturgia. Le torri sono decorate con parole come "Hosanna", "Excelsis", e "Sanctus"; la grande porta della facciata della Passione riproduce parole della Bibbia in svariate lingue, compreso il catalano; è previsto che la facciata della Gloria venga decorata con parole tratte dal Credo degli apostoli.
Aree specifiche del santuario saranno designate a rappresentare vari concetti religiosi come santi, virtù, peccati e concetti secolari come le regioni della Spagna; presumibilmente ognuno avrà delle decorazioni corrispondenti.

Il presbiterio e l'organo

La modellazione al computer si è resa utile per dare forma a vari elementi, come i pilastri interni della chiesa. Infatti grazie all'uso di questi programmi e di determinati macchinari si possono finalmente realizzare pezzi identici fra loro, così come Gaudí li aveva concepiti.
Il 7 novembre 2010, con una messa solenne presieduta dal papa Benedetto XVI, è stata consacrata la navata centrale caratterizzata da colonne che ricordano enormi alberi ramificati e un soffitto che sembra composto da giganteschi girasoli, e il transetto, compreso il coro e il rosone che gli darà luce. Con il completamento di queste parti, il progetto passa alla fase successiva per la costruzione della cupola centrale sulla quale verrà innalzata la grande guglia centrale del Cristo.
Il 6 ottobre 2012, con una messa solenne presieduta dal cardinale ed arcivescovo di Barcellona Lluís Martínez Sistach, è stata posta all'esterno una statua raffigurante San Bruno.

mercoledì 5 giugno 2013

L'Istituto del Mondo Arabo, Jean Nouvel

Nel dicembre 1987 apre le porte a Parigi l'Istituto del Mondo Arabo progettato da Jean Nouvel, Pierre Soria, Gilbert Lezénés e Architecture Studio, vincitori del concorso bandito dal comune di Parigi nel 1981 a cui parteciparono sette gruppi di architetti francesi. Questo progetto innalzò Nouvel dal ruolo di polemista militante dell’architettura francese a uno status internazionale che da allora non lo ha più abbandonato. Finanziato in parte dal governo francese e in parte da diversi paesi arabi, l' edificio fu concepito come centro e prestigiosa vetrina della cultura araba a Parigi. L' IMA non è solo un istituto di cultura araba: è un luogo dove si incontrano i parigini, è un museo ed una biblioteca, è un incredibile belvedere ma è anche un cafè dove conversare e rilassarsi, è un luogo di studio e di confronto tra le due culture più rappresentate a Parigi: quella occidentale e quella araba. Jean Nouvel dimostra in questo progetto una notevole comprensione della architettura e della cultura araba. È infatti possibile tracciare parallelismi tra alcuni elementi dell'’Istituto e un certo numero di edifici arabi tradizionali. Ad esempio i motivi mozarabici quadrati e poligonali dei muri meridionali sono ispirati ai disegni dell' ’Alhambra di Granada.  Nonostante questi riferimenti al mondo arabo l’Istituto si vuole affermare come un edificio europeo. ’idea di centro culturale, che ospita spazi destinati a mostre, eventi, spettacoli, conferenze e dibattiti e insieme una biblioteca, un cinema e un centro di documentazione, è tipicamente francese, vale ricordare il famoso Centro Georges Pompidou.
La facciata settentrionale, che simboleggia il rapporto con la città antica, è rivolta verso la Parigi storica con cui si amalgama perfettamente. La facciata meridionale riprende i temi storici della geometria araba con l'ideazione di 240 moucharabieh che la compongono e che si aprono e si chiudono ogni ora.
L'’edificio sorge su un lotto triangolare che segue la curva della riva meridionale della Senna, a monte dell'’Île de la Cité. La facciata nord si affaccia su una strada che corre lungo il fiume. Quella est guarda, al di là di un'area pavimentata a cielo aperto, al ’Campus di Jussieu: un insieme monotono di lastre in cemento armato dei primi anni sessanta. L'’asse dell’ingresso dà sulla cattedrale di Notre-Dame, con il muro di sinistra posto perpendicolarmente rispetto al piano d’accesso, così da incorniciare la vista. In tal modo l’Istituto occupa una posizione cardine tra la Parigi moderna, rappresentata dalla architettura gaullista simboleggiata da Jussieu e la Parigi tradizionale, con i suoi edifici storici. Un altro aspetto molto importante dell’edificio è la sua relazione con la luce. È un luogo che si sviluppa attorno all'’organizzazione e ai mutamenti della luce nello spazio. Letteralmente questo avviene attraverso dei diaframmi, simili a quelli della macchina fotografica, attivati da fotocellule della parete sud e del pozzo di illuminazione al suo centro rivestito di alabastro. In questo modo lo spazio interno è reso suggestivo da una luce non diffusa né concentrata in poche aperture, ma che entra negli ambienti attraverso piccoli e numerosi fasci luminosi che conferiscono un carattere quasi sacrale allo spazio.
 L'’intera facciata Sud è disegnata come un moucharabieh, un disegno forte e legato alla tradizione, ma, come è moderno l'edificio è moderno anche il modello interpretativo e la tecnologia usata. Dobbiamo considerare che ci troviamo a Parigi e che la scelta di utilizzare un tale sistema poteva rivelarsi una grandissima contraddizione: gli inverni sono freddi e poco luminosi mentre il sole estivo non è certo quello del Nord Africa. Probabilmente sono state anche le considerazioni del progettista che ha avuto l'’intuizione di rendere gli elementi decorativi (molto simili a quelli che troviamo nell' Alhambra di Granada il quadrato, il cerchio, il pentagono, la stella figure generate da una rotazione) mobili.
Il vantaggio di utilizzare una facciata costituita da centinaia di elementi che ruotano è proprio quella di modulare l’ingresso della luce durante le varie ore del giorno e delle stagioni. Gli elementi sono costituiti da dischi di metallo di varie forme e grandezze ed attivati da cellule foto-sensibili che rivelando i cambiamenti delle condizioni di luminosità ne correggono continuamente la forma, rendendo la struttura un curtain-wall in costante movimento.
All’' esterno invece questo rende l’immagine del prospetto diversa durante tutto l’arco della giornata. L’edificio, non soltanto grazie alla presenza dei diaframmi fotografici, rivela una stretta e convincente relazione tra architettura e cinema. Ha una energia tale che, visitandolo, si ha l’impressione di entrare nella inquadratura di un film. Questo aspetto è sottolineato anche dalle parole di Nouvel:

« La sequenza dei passaggi tra diversi volumi e livelli d’illuminazione, a seconda delle diverse traiettorie al suo interno, può essere vista come una serie di angolazioni e aperture di un obbiettivo fotografico. »

15 - Institut du Monde Arabe, Parigi | Jean Nouvel | Pianta 4

La Piramide Cestia

La Piramide Cestia ,o Piramide di Caio Cestio è una piramide di stile egizio che si trova a Roma, vicino a Porta San Paolo e al cimitero acattolico.
Fu costruita tra il 18 e il 12 a.C.come tomba per Caio Cestio Epulone; è in calcestruzzo, con cortina di mattoni e copertura di lastre di marmo di Carrara; è alta 36,40 metri con una base quadrata di circa 30 metri di lato e si leva su una piattaforma di cementizio.
La piramide fu costruita in soli 330 giorni, forse anche meno. Infatti Caio Cestio nel testamento dispose espressamente che gli eredi gli innalzassero il sepolcro piramidale entro tale termine, pena la perdita della ricca eredità, come ricorda l'iscrizione scolpita sul fianco orientale del monumento: opus absolutum ex testamento diebus CCCXXX, arbitratu (L.) Ponti P. f. Cla (udia tribu), Melae heredis et Pothi l(iberti). Gli eredi si affrettarono ad eseguire la disposizione testamentaria, tanto che, sembra, completarono la costruzione della piramide con qualche giorno di anticipo.
All'interno di questa montagna di calcestruzzo vi è un'unica camera sepolcrale, di 5,95 × 4,10 ed alta 4,80 metri, la cui cubatura costituisce poco più dell'1% del volume complessivo del monumento. Su entrambi i lati verso oriente e verso occidente, a due terzi dell'altezza, è incisa nel rivestimento l'iscrizione che registra il nome e titoli di Cestio; sul solo lato orientale, a circa un terzo dell'altezza, sono descritte le circostanze della costruzione del monumento.
Una comparazione della forma con le Piramidi di Giza rivela che la resistenza strutturale del calcestruzzo ha permesso di costruire la piramide romana ad un angolo molto più acuto di quelle dell'Egitto. La forma più slanciata ha permesso che la Piramide Cestia raggiungesse un'altezza maggiore con la stessa quantità di materiale.
Il monumento era posto lungo la Via Ostiense, era circondato da una recinzione in blocchi di tufo, oggi parzialmente in vista, aveva 4 colonne agli angoli (di cui sono state rialzate quelle dal lato opposto dell'Ostiense) e due statue del defunto ai lati della porta.
La camera sepolcrale con volta a botte – originariamente murata al momento della sepoltura, come nelle piramidi egizie – è dipinta in bianco, con sottili cornici e figure decorative (sacerdotesse ed anfore alle pareti, 4 figure di Nike sulla volta) di stile pompeiano. È relativamente ben conservata, ma completamente nuda, e sulla parete di fondo, dove doveva esserci il ritratto del defunto, ora c'è un buco, praticato da scavatori alla ricerca di tesori.
La presenza di un monumento funebre in forma di piramide a Roma si deve probabilmente al fatto che l'Egitto era divenuto provincia romana alcuni anni prima, nel 30 a.C., e la cultura sontuosa di questa nuova provincia stava venendo di moda anche a Roma.
Nel III secolo la piramide di Cestio fu incorporata nelle Mura Aureliane, delle quali venne a costituire un bastione, e l'attuale accesso corrisponde ad una posterula che immetteva su una strada secondaria – il cui basolato è in vista – in direzione dell'emporio sul Tevere. Questa circostanza costituisce, presumibilmente, la ragione per cui il monumento si salvò dalle spoliazioni che afflissero nei secoli tutti i marmi di rivestimento dei monumenti antichi.
Nel Medioevo, la credenza popolare identificava la Piramide come "meta Remi", collegandola con un'altra piramide indicata come "meta Romuli", molto simile e coeva, esistente sino al 1499 nel rione di Borgo, riportata nella Pianta della città di Roma di Alessandro Strozzi del 1474, e demolita nel XVI sec. da Alessandro VI per l'apertura della nuova strada di Borgo Nuovo.
Per il riferimento fantasioso alle origini della fondazione di Roma - oltre che per la sua forma - la Piramide Cestia fu molto ammirata dai viaggiatori, in particolare nel Seicento, e godette comunque di costante attenzione da parte dell'amministrazione pontificia: nel 1663 furono intrapresi degli scavi per ordine di Alessandro VII, che ne fece incidere la memoria sulla facciata; all'esterno furono trovate le basi di due statue dedicate a Cestio e fu scavata un'apertura nella piramide stessa, scoprendo la camera sepolcrale - che, come detto sopra, fu trovata vuota e già visitata da tombaroli, chissà quando. Esiste anche un progetto del Borromini per trasformare la cella funeraria in chiesa, che non ebbe seguito. Ancora alla fine del potere temporale, comunque, la Piramide era oggetto di manutenzione conservativa: vi fu installato il primo parafulmine, che c'è ancora.

martedì 4 giugno 2013

Burano, Venezia

Burano sorge nella Laguna Veneta settentrionale, a nord-est di Murano, ed è a questa collegata tramite il percorso navigabile canale Bisatto-canale Carbonera-scomenzera San Giacomo. Attorno si estendono alcune formazioni palustri, in particolare la palude di Santa Caterina, a sud-ovest, e la palude di Burano, a sud est. A nord è lambita dal canale dei Borgognoni-canale di Burano, con cui si raggiunte Treporti (a sud) e Torcello (a nord). Subito ad ovest si trova invece Mazzorbo, alla quale è unita tramite un ponte.
È costituita da quattro isole separate da tre canali interni, che sono il rio Pontinello, il rio Giudecca e il rio Terranova. Analogamente a Venezia, è divisa in cinque sestieri, distinti appunto dai suddetti canali, sui quali si basa la codifica degli indirizzi.
Burano colpisce, fin da lontano, per la vivacità dei suoi colori. Fondata anch'essa dagli abitanti di Altino , sorge su 4 isolette ed è costruita con modestia ma con notevole estro. Piccole case variopinte si susseguono lungo i canali principali e le minuscole calli, fra le lenzuola stese, mercatini del pesce, soglie aperte in un gioco in cui i confini tra spazi pubblici e privati spesso sfuggono e la vita sembra scorrere in un'atmosfera di convivenza domestica.
Le abitazioni tipiche dell'isola sono per lo più di forma quadrata e si dividono in due, tre piani. Al piano terra si trova la cucina, il tinello e i servizi, ai piani successivi le camere.
Burano è chiamata l'isola dei colori, un'esplosione infinita di colori che pennella le case di questo borgo. Facciate azzurre, rosso scarlatto, gialle ed altro ancora, da cui occhieggiano le caratteristiche finestre contornate, a mo' di vezzo, da una bianca cornice. A volte i colori sono stinti, consunti dalla salsedine e dall'aria della laguna, altre volte li percepisci ravvivati da una sapiente e recente mano di vernice.
Il motivo e l'origine di questa usanza non sia ancora chiaro. Un'ipotesi suggerisce che ogni colore sarebbe semplicemente il simbolo di una determinata famiglia, visto che ancor oggi a Burano vi sono pochi ma molto diffusi cognomi. Per questo motivo a Burano, come in altri luoghi del Veneto, si utilizzano dei soprannomi aggiunti al cognome per distinguere un ramo familiare dall'altro.
Un'altra supposizione, forse più fondata, afferma che i colori vivaci servirebbero ai barcaioli per ritrovare la propria casa in presenza della nebbia, che a Burano si presenta particolarmente fitta.
Tra le viuzze di Burano si possono ammirare i vari capitelli posti all'entrata delle calli fino ad arrivare alla casa più famosa dell'isola: "la Casa di Bepi" dipinta con l'utilizzo di tutti i colori.

lunedì 3 giugno 2013

Mediateca di Toyo Ito

La metafora "figura retorica sulla quale si esprime con una similitudine una cosa diversa da quella nominata" a cui si basa il progetto della mediateca a Sendai, unisce concetti naturali e artificiali, in quanto sono presenti nella figura dell'acquario "vasca o sistema di vasche, generalmente a vetri, in cui si tengono in vita piante e animali acquatici a scopo di studio o di ornamento".
L'acquario di Toyo Ito, una scatola di vetro 55x55 metri, è suddiviso in diversi piani. Lo spessore dei solai è ridotto al minimo con l'uso di un sistema costruttivo a "sandwich": due strati di acciaio con un disposizione di travi in mezzo.   

Nonostante la netta separazione delle funzioni e dei livelli dell'edificio, i materiali utilizzati - predominanza del vetro sul cemento e l'acciaio - e l'originalità degli allestimenti e degli elementi di arredo - forme ondulate, alcove, assenza quasi totale di pareti fisse, dispositivi d'illuminazione artificiale diversi a ogni piano e per ogni modalità di lettura o consultazione dei materiali audiovisivi, colori vivaci giocati sull'alternanza di verde e bianco, rosso, arancione fosforescente - creano un effetto di trasparenza che si traduce nella continuità tra interno ed esterno, 
evidente a ogni piano della mediateca. L'insieme di piazze pensili, con grande forza, comunica un preciso messaggio; oggi, in mancanza di uno stile condiviso, un nuovo monumento della città può essere imposto anche con una regia di tonalità cromatiche effimere: semplici e naturali variazioni tra luminosità notturna e trasparenza diurna. 

Nonostante la trasparenza delle facciate, che rivela le divisioni dei solai all'esterno, l'aspetto è di un singolo volume, di un recipiente "oggetto destinato a contenere specialmente liquidi: recipiente di ferro, di rame, di vetro, di coccio, di legno ", contenitore di tecnologia: quella esposta all'interno e quella utilizzata per la costruzione. 

La "scatola", come un vero e proprio acquario, è piena di alghe "Organismi vegetali, uni o pluricellulari, prevalentemente acquatici, che, sebbene morfologicamente diversi uni dagli altri, presentano tuttavia una grande semplicità di struttura", che, come dice l'architetto, "danzano nell'acqua". 

Sono dei tubolari metallici saldati insieme, che formano 13 cilindri costruttivi e che vano dal piano terra alla copertura, forando i piani quasi naturalmente. Come le vegetali, la struttura cresce e si sviluppa verso l'alto, con varie torsioni e deformazioni. Le composizioni nascono dall'incontro casuale delle forme, a volte come nella natura. 

Questi 13 pilastri "elemento strutturale ad asse verticale di forma per lo più prismatica simbolo di solidità o di immobilità" sono effettivamente la struttura che regge l'edificio, ma per di più, sono dei volumi a pianta circolare con diverse funzioni. Fungano da corte verticali, attribuite da usi che evidenziano la loro continuità tra le varie livelli. Alcuni alloggiano gli impianti di circolazione come scale e ascensore, altri sono lucernari, oppure vuoti per gli scarichi idraulici e condutture elettriche.

Il sistema statico della Mediateca  

L’intero sistema statico della Mediateca è poi costituito su un singolare insieme strutturistico particolarmente articolato – piuttosto semplice nella sua concezione – di elementi integrati ma parzialmente autonomi, composto da colonne portanti svuotate (barre metalliche leggere, individuali o tra loro saldate) reggenti i pianali dei pavimenti-soffitti in una maniera del tutto particolare (tenendoli cioè svincolati dai loro supporti, e soltanto infilati nelle forme tubolari di sostegno). Questo speciale impianto statico permette alle superfici orizzontali (come egregiamente mostra il modello simulativo creato dall’architetto nel 1995) di assoggettarsi ai movimenti delle scosse del terremoto, disponendosi perfino di traverso o addirittura inclinandosi consistentemente, senza però spezzarsi nei luoghi di contatto con le strutture verticali da cui le solette si trovano svincolate. Inoltre, gli stessi sostegni colonnari di forma ibrida, assemblati in fasci di tubi metallici ed il più possibile svuotate per non opporre ai dinamismi sismici una eccessiva resistenza monolitica, sono state conformate in una strana (ed all’apparenza assurda) composizione sghemba e di configurazione instabile, come traballante e già dissestata, proprio per assecondare anch’essi le azioni distorcenti dei terremoti, e frazionare già dalla loro origine costruttiva i punti di rovina in un complesso e dispersivo assemblaggio eterogeneo, a sua volta ammortizzante i colpi energetici sussultori.
In tutto seguendo il principio proprio di resistenza elastica di un aggregato organico di  canne di bambù lasciate tra loro indipendenti.

Villa Adriana, Tivoli (RM)

E’ la residenza imperiale dell'imperatore Adriano (76-138) presso Tivoli (l'antica Tibur), oggi in provincia di Roma. Realizzata gradualmente nella prima metà del II secolo a pochi chilometri dall'antica Tibur, la struttura appare un ricco complesso di edifici estendentesi su una vasta area, che doveva coprire circa 120 ettari, in una zona ricca di fonti d'acqua a 17 miglia romane dall'Urbs.  Si trova sui Monti Tiburtini, a circa 28 km (17 miglia romane) da Roma, dalla quale era raggiungibile sia per mezzo della via Tiburtina o della via Prenestina, sia tramite la navigazione sul fiume Aniene. La Villa si trovava sulla destra della via Tiburtina, poco oltre il ponte Lucano, prolungandosi fin quasi alle pendici del monte Ripoli su cui sorge Tivoli.
L'area prescelta si estendeva tra le valli dei fossi di Risicoli o di Roccabruna ad ovest e dell'Acqua Ferrata ad est, che, riunitisi, si gettano poi nell'Aniene; era una zona ricca di acque e vi passavano quattro degli antichi acquedotti romani che servivano Roma (Anio Vetus, Anio Novus, Aqua Marcia e Aqua Claudia). Nei pressi esiste tuttora la sorgente di acqua sulfurea delle Acque Albule (Bagni di Tivoli), che era conosciuta ed apprezzata dall'imperatore. Nei dintorni inoltre erano presenti numerose cave di materiali da costruzione (travertino, pozzolana, tufo e calcare per la realizzazione della calce).
Tra le molte ville rustiche che fin dall'età repubblicana erano sorte fra Roma e Tivoli, ne esisteva già una costruita nel periodo sillano, ingrandita all'epoca di Giulio Cesare, pervenuta forse in proprietà della moglie di Adriano, Vibia Sabina, che proveniva da una famiglia di antica nobiltà italica. Fu questo il primo nucleo della villa, incorporato poi nel Palazzo imperiale.
Lo studio del sistema di canalizzazione e delle fognature sembra indicare che la progettazione del complesso sia stata unitaria, anche se dai bolli laterizi ritrovati in circa metà degli edifici emergono tre fasi di costruzione particolarmente attive tra il 118 e il 121, il 125 e il 128 e il 134-138. Di ritorno a Roma nei primi mesi del 134, Adriano poté godere della villa solamente gli ultimi anni della sua esistenza, fino alla morte avvenuta a Baia il 10 luglio 138. 
La complessità della residenza, più che alle numerose sfaccettature della personalità di Adriano, fu dovuta alla necessità di soddisfare esigenze e funzioni diverse (residenziali, di rappresentanza, di servizio), oltre che all'andamento frastagliato del terreno; la magnificenza e l'articolazione delle costruzioni rispecchiano le idee innovative dell'imperatore in campo architettonico. Si afferma comunemente che egli volle riprodurre nella sua villa i luoghi e i monumenti che più lo avevano colpito durante i suoi viaggi nelle province dell'impero, sulla base di un passo del suo biografo tardo-antico Elio Sparziano. In realtà gli edifici della villa presentano tutti i caratteri più innovativi dell'architettura romana del tempo, per cui le riproduzioni adrianee di monumenti della Grecia o dell'Egitto vanno intese come suggestioni evocative e non come ricostruzioni reali.

Gli edifici che la compongono:

Pecile 

Il Pecìle è una ricostruzione della Stoà Pecile (stoà poikìle, "portico dipinto") nell'agorà di Atene, centro politico e culturale della città di Atene, la prediletta da Adriano durante i suoi numerosi viaggi.
Il Pecile, un'immensa piazza colonnata di forma quadrangolare, decorata al centro da un bacino e circondata da un portico, si innalzava su poderose costruzioni artificiali. Attraverso una serie di edifici termali poi si giungeva al Canopo. Sulla piazza centrale, si affacciavano gli alloggi delle guardie, del personale amministrativo e di servizio.

Canopo e Serapeo 

Si deve a Pirro Ligorio, famoso architetto napoletano al servizio del cardinale Ippolito d’Este, il riconoscimento del Canopo menzionato nella biografia di Adriano (Elio Sparziano, Vita Hadriani) nella “valle longhissima” di fronte all’articolato padiglione absidato con giochi d’acqua, che egli definì tempio del dio Canopo o Nettuno.
L’identificazione di questa zona della villa con il canale egizio che congiungeva l’omonima città di Canopo - sede di un celebre tempio dedicato a Serapide - con Alessandria, sul delta del Nilo, venne accettata senza riserve, come documenta ampiamente la letteratura archeologica: non solo Ligorio vi aveva trovato una statua di Iside ma tale dato sembrò ulteriormente confermato dall’attribuzione a questa zona di Villa Adriana anche del ciclo di sculture egittizzanti in basalto e pietra nera, oggi conservate presso i Musei Vaticani, frutto di ritrovamenti settecenteschi da parte dei Gesuiti. Una recente rilettura critica delle fonti antiquarie ha tuttavia consentito di recuperare il vero luogo di ritrovamento di tali sculture, da riconoscere nella zona di fronte alle Cento Camerelle, compresa anch’essa nel Settecento nella proprietà dei Gesuiti e dove recentemente sono venuti in luce materiali del tutto analoghi, frutto delle campagne di scavo condotte negli ultimi anni. 
La presenza di uno stibadium, o letto tricliniare, all’interno dell’ampio padiglione a esedra del Canopo prova che il complesso sia da interpretare come un grande spazio per banchetto all’aperto, arricchito da giochi d’acqua: le cascatelle, i canali, e il mosaico di pasta vitrea sulla grande volta a ombrello dell’esedra conferiscono al padiglione quasi l’aspetto di una fontana monumentale. Lo stibadium, costituito da un basamento in muratura di forma semicircolare e dalla superficie inclinata, era coperto in antico da tappeti e cuscini: gli ospiti vi si sdraiavano in occasione del convito, rinfrescati dallo scorrere dell’acqua in rivoli, cascatelle e fontane, che circondava i commensali garantendo frescura e una piacevole atmosfera, completata dalla vista sul lungo specchio d’acqua. Quest’ultimo, inquadrato da un pergolato e da siepi di fiori, era completato da numerose sculture, in parte emergenti dall’acqua: su un dado in muratura nella zona meridionale era posizionato il gruppo di Scilla, mentre sul lato opposto era verosimilmente collocato il coccodrillo-fontana di marmo cipollino.
Fra i ritrovamenti venuti in luce negli anni cinquanta, quando tutta l’area venne liberata dall’interro, si rinvennero, oltre al coccodrillo, anche una statua di personaggio semisdraiato raffigurante il Nilo e due Sileni canefori (portatori di canestri) con funzione di telamoni, derivanti da modelli di ambiente alessandrino. In aggiunta alla statua di Iside scoperta da P. Ligorio, sono comunque poche le sculture di soggetto egizio provenienti con certezza dal Canopo, tutte peraltro realizzate non in stile egittizzante, ma secondo i canoni dell’arte ellenistica.
Non appare dunque giustificata l’ipotesi di caricare di un significato religioso – come ha fatto ad esempio J.-C. Grenier - questa zona della villa, la cui sistemazione in senso egizio, che lo studioso ricostruisce con tutte le sculture ‘egizie’ provenienti da Villa Adriana, alluderebbe al rilancio del culto di Serapide promosso da Adriano e alla celebrazione del nuovo dio Antinoo. Tale teoria, che ha avuto largo seguito, implica anche un altro presupposto, ugualmente da rigettare: che l’imperatore avesse voluto rappresentare qui l’“Egitto del viaggio”, come lo definisce Grenier, alludendo al viaggio in Egitto nel quale era morto il giovane favorito.
In realtà, come provano i marchi di fabbrica presenti sui laterizi, la costruzione del Canopo va collocata in una data decisamente antecedente al 130 d.C. e l’edificio noto come Canopo va piuttosto interpretato come una rappresentazione evocativa di un ambiente egizio in senso esotico, un giardino nilotico destinato ai banchetti, analogamente al canale sul delta del Nilo, famoso per le feste che vi si svolgevano.

Piazza d’Oro

Era un complesso periptero con una vasca centrale rettangolare, che tagliava longitudinalmente la spianata dei giardini, sul cui lato minore meridionale si staglia un grandioso edificio con cupola centrale. Le colonne, disposte su un portico a quattro bracci, in cipollino e granito egiziano, disegnano andamenti ora concavi ora convessi, rendendo un bellissimo gioco visivo. Sui bracci est ed ovest si delineano due lunghi corridoi. Da quello orientale si accede all'edificio principale. 
Alle spalle del portico sul lato nord vi sono i resti della Casa Colonica, una struttura di epoca precedente, caratterizzato da pavimenti a mosaico di modesta qualità e destinata alla servitù. In quest'ala della villa furono ritrovati i ritratti imperiali di Vibia Sabina, Marco Aurelio e Caracalla. La ricchezza degli ambienti e del corredo architettonico, dedotta dall'alto numero di fori che sorreggevano le grappe cui erano appesi i marmi, suggerisce l'ipotesi che questa zona fosse legata alle funzioni pubbliche del palazzo.

Il Teatro Marittimo 

Il Teatro marittimo, definizione assegnata dai moderni, è una delle prime costruzioni della villa, tanto che è stata interpretata come la primissima, provvisoria residenza di Adriano nel sito. Le sue caratteristiche di separatezza rendono credibile l'ipotesi che il luogo costituisse la parte privata del palazzo.
La struttura, iniziata nel 118, fu edificata nei pressi della villa repubblicana. È un complesso assai singolare, ad un solo piano, senza alcun rapporto con la forma abituale di un teatro romano, costituito da un pronao di cui non resta più nulla, mentre sono riconoscibili la soglia dell'atrio e tracce di mosaici pavimentali. All'interno consta di un portico circolare a colonne ioniche, voltato. Il portico si affaccia su un canale al centro del quale sorge un isolotto di 45 m di diametro, composto anch'esso da un atrio e da un portico in asse con l'ingresso, più un piccolo giardino, un complesso termale minore, alcuni ambienti e delle latrine. La struttura non prevedeva alcun ponte in muratura che collegasse l'isolotto al mondo esterno, e per accedervi era necessario protendere un breve ponte mobile.

Le Grandi Terme 

Devono la loro denominazione sia all’ampiezza dei singoli ambienti che alla vastità di superficie occupata rispetto  agli altri impianti termali della villa.
Entrambi i complessi delle Piccole e Grandi Terme erano collegati, sul lato occidentale, da un corridoio sotterraneo che permetteva l’accesso ai praefurnia ed era direttamente raggiungibile dal personale di servizio alloggiato nell’area delle Cento Camerelle. 
Lungo questo lato si dispongono gli ambienti riscaldati, tra i quali, immediatamente riconoscibile per la forma circolare e la copertura a calotta con occhio centrale, nonché l’assenza di impianti idrici, la sala per la sudatio, che conserva ancora tutta la sua imponenza, nonostante il crollo della porzione frontale su cui si aprivano le grandi finestre per catturare i raggi solari. Si succedono poi tepidaria -  stanze riscaldate che in alcuni casi presentano, oltre alle suspensurae sotto il pavimento, anche le pareti costituite da tubuli o condotte di mattoni forati per la circolazione dell’aria calda -  e caldaria, o ambienti provvisti di vasche per il bagno caldo.  
La zona centrale è occupata quasi interamente dal frigidarium, un’ampia sala rettangolare con volta a crociera, su cui si aprivano ad un livello inferiore due ambienti accessibili per mezzo di gradini rivestiti di marmo, l'uno absidato e l’altro rettangolare, che costituivano le piscine per il bagno freddo; entrambi gli ingressi erano inquadrati da alte colonne di marmo cipollino con capitelli ionici assai raffinati; la vasca absidata era abbellita originariamente da statue, come indica la presenza di nicchie nella parete di fondo. Dal frigidarium si poteva accedere, oltre che all’ambiente circolare per la sudatio, anche ad  un’ampia sala, ugualmente riscaldata, affacciata sul lato meridionale, che presenta la peculiarità di un soffitto decorato da stucchi con motivi geometrici e medaglioni figurati, di cui rimane traccia nei pennacchi angolari della volta.
Su ciascun lato della vasca rettangolare un corridoio permetteva di raggiungere un ambiente rettangolare con pavimento a mosaico, interpretato da alcuni come sphaeristerium (sala adibita al gioco della palla), prospiciente la palestra, costituita da un ampio cortile in opus spicatum circondato da un portico pavimentato a mosaico, oggi privo delle colonne. L’opus spicatum risulta impiegato anche al di sopra della copertura della vasca rettangolare del frigidarium, che era evidentemente a terrazza, come possiamo dedurre dall’esame dei blocchi di crollo visibili sul pavimento della vasca.
Anche in questo complesso termale è notevole la varietà delle soluzioni architettoniche proposte per la copertura dei diversi ambienti, che si impongono per la loro monumentalità, anche se non presentano una decorazione sfarzosa come le altre terme della villa; se si eccettuano la grande sala con gli stucchi e l’ambiente contiguo, pavimentato in opus sectile, la decorazione dei rivestimenti è senza dubbio assai più modesta: i pavimenti, in gran parte conservati, sono di mosaico bianco, eventualmente bordato da una o due fasce nere e le pareti erano rivestite di intonaco anziché di marmi, caratteristiche che fanno supporre per questo edificio una destinazione per il personale addetto alla villa.    

L'Antinoeion  

Nel 2003 vengono alla luce lungo la strada di accesso al Grande Vestibolo e davanti al fronte delle Cento Camerelle i resti di quello che verrà identificato come un luogo di culto dedicato ad Antinoo, amante dell'imperatore e da esso divinizzato dopo la sua morte prematura. La struttura presenta il basamento di due templi affrontati all'interno di un recinto sacro con un'esedra sul fondo. Al centro, tra i due templi, il basamento dell'obelisco che è stato identificato con l'Obelisco Pinciano. Datato al 134 d.C. si pensa fosse anche luogo dell'inumazione del dio amante di Adriano.

All'interno del complesso sono stati rinvenuti frammenti di statue in marmo nero, relative a divinità egizie o a figure di sacerdoti che confermerebbero che quello fosse il luogo di culto del dio Osiride-Antinoo.

L'Eretteo, Atene

Nonostante la grande importanza del culto tributato ad Atena nel grande tempio (prima l'Ekatónpedon, poi il Partenone) sulla sommità dell'Acropoli, questo santuario, dedicato alla dea Atena Poliade (protettrice della città), era legato a culti arcaici e alle più antiche memorie della storia leggendaria della città, costituendo il vero nucleo sacro dell'Acropoli e dell'intera città. In questo luogo si sarebbe infatti svolta la disputa tra Atena e Poseidone: vi si custodivano le impronte del tridente del dio su una roccia, un pozzo di acqua salata da cui sarebbe uscito il cavallo, dono del dio, e l'olivo, donato dalla dea Atena alla città. Qui il re Cecrope, metà uomo e metà serpente, avrebbe consacrato il Palladio, la statua della dea caduta miracolosamente dal cielo. Il santuario ospitava inoltre le tombe di Cecrope, di Eretteo e un luogo di culto dedicato a Pandroso, la figlia di Cecrope amata dal dio Ermes. 
L'Eretteo venne costruito in sostituzione del tempio arcaico (VI secolo a.C.) avente la stessa funzione votiva di cui restano le fondamenta tra l'edificio più recente e il Partenone; in epoca romana il nuovo edificio prese il nome di "Eretteo" (Erekteíon, ovvero "colui che scuote"), dall'appellativo di Poseidone.
Iniziata da Alcibiade nel 421 a.C. in un momento di relativa pace, la costruzione fu interrotta durante la spedizione in Sicilia (Guerra del Peloponneso) e ripresa negli anni 409-407 a.C., come attestano i rendiconti finanziari conservati al Museo epigrafico di Atene e al British Museum.
Costruito in marmo pentelico, l'Eretteo è opera dell'architetto Filocle.
La necessità di ospitare i diversi culti tradizionali, collocati su un'area con un forte dislivello (più elevata a sud-est e più bassa di circa 3 m a nord-ovest) determinò una pianta insolita.
Il tempio si compone di un corpo rettangolare anfiprostilo (ovvero con colonne nella parte anteriore e posteriore del tempio), con sei colonne ioniche sulla fronte a est; a ovest gli intercolumni (spazi tra le colonne) sono chiusi da setti murari dotati di ampie finestre e le colonne si presentano all'esterno come semicolonne sopraelevate sul muro di 3 metri costruito per superare il dislivello del terreno. L'interno era suddiviso in due celle a livello diverso e non comunicanti tra loro: quella orientale, più alta, alla quale si accedeva dal pronao esastilo, che ospitava il Palladio, e quella occidentale più in basso, suddivisa in tre vani: un vestibolo comune dava accesso a due vani gemelli che ospitavano i culti di Poseidone e del mitico re Eretteo. Al corpo centrale si addossano la loggia con le Cariatidi a sud, che custodisce la tomba del re Cecrope, e un portico a nord, più sporgente del corpo centrale verso ovest, costruito per proteggere la polla di acqua salata fatta sgorgare da Poseidone. Il portico è costituito da quattro colonne in fronte e due di lato; da qui si accede sia alla cella per il culto di Poseidone e di Eretteo, sia ad una zona a cielo aperto davanti al basamento pieno che sorregge le semicolonne della fronte occidentale, dove si trovavano l'ulivo di Atena e la tomba di Pandroso (Pandroseion).
Le colonne si presentano particolarmente snelle ed eleganti e il tempio era ornato da una raffinata decorazione: le basi delle colonne, la fascia decorativa che sormonta e corre lungo le pareti del corpo centrale con un motivo di fiori di loto e palmette; il fregio continuo lungo l’esterno della costruzione, in pietra scura di Eleusi, sulla quale erano applicate figure scolpite in marmo bianco (con un gusto che, come annota Bianchi Bandinelli, sembra anticipare quello tardo ellenistico dei cammei in vetro a fondo azzurro). Particolarmente ricche le decorazioni del portico a nord, negli intrecci sulle colonne e nel fregio ornamentale della porta d’ingresso. Bronzi dorati, dorature, perle vitree in quattro colori sottolineavano la ricchezza dell’alzato.
Le statue delle Cariatidi, forse opera dello scultore Alcamene, sono attualmente sostituite da copie, mentre gli originali sono conservati al riparo nel Museo dell'Acropoli. Una delle cariatidi angolari, rimossa da lord Elgin, si trova al British Museum di Londra.
 


domenica 2 giugno 2013

I Propilei, Atene

Propilei (dal greco  "posto davanti alla porta") sono l'ingresso monumentale dell'Acropoli di Atene. La loro costruzione ebbe inizio nel 437 a.C., ma non furono completati. Per estensione sono stati chiamati propilei anche altri monumenti basati sulla stessa tipologia. La struttura dei Propilei in particolare è servita da modello in età neoclassica (XIX secolo).
Il monumentale accesso all'area sacra dell'Acropoli di Atene fu eretto su progetto dell'architetto Mnesicle tra il 437 a.C. ed il 432 a.C. L'anno successivo, allo scoppio della Guerra del Peloponneso i lavori furono interrotti e mai portati a termine. Lo stesso architetto Mnesicle è accreditato da alcune fonti per una partecipazione al cantiere dell'Eretteo.
Il monumento, di marmo pentelico bianco e pietra grigia di Eleusi, rientra nei grandi lavori di rifacimento dell'Acropoli promossi da Pericle. Arpocrazione afferma che i lavori iniziarono durante l'arcontato di Eutimene nel 437 a.C., e secondo Eliodoro durarono cinque anni, per una spesa (elevatissima) di 2012 talenti.

La Struttura 

La struttura dei Propilei consiste di un corpo centrale con due ali laterali, una verso nord (detta Pinacoteca) e una verso sud (un semplice portico). All'interno dell'ala sud, i blocchi di marmo presentano ancora le bozze lasciate a rilievo per il sollevamento e la messa in opera, il che mostra come l'edificio non abbia mai ricevuto la politura finale.
La facciata del corpo centrale è ornata di sei colonne doriche simili in proporzione, ma non nelle dimensioni, a quelle del Partenone; la coppia centrale di colonne è più distanziata per lasciare più spazio al carro della processione delle Panatenee, solenne processione che si teneva ogni quattro anni il giorno genetliaco di Atena, il 28 del mese di ecatombeone corrispondente al mese luglio-agosto, in onore della dea Atena Poliàs (o Poliade), protettrice della città, alla quale la struttura faceva da sfondo.
All'esterno la struttura si presenta inequivocabilmente di stile dorico mentre all'interno vi sono colonne ed elementi di stile ionico. L'armonizzazione di questi due stili in un solo edificio necessita di grande abilità, e la perfetta integrazione in questo edificio va a tutto merito dell'architetto. Il progetto dovette superare notevoli difficoltà tecniche, dovute soprattutto al forte dislivello del passaggio. Il corpo centrale costituiva il vero e proprio ingresso, chiuso fra due facciate doriche con sei colonne. Dei quattro ambienti che dovevano occupare le due ali venne realizzato solo quello di nord-ovest, la Pinacoteca, dove erano raccolti quadri di soggetto mitologico.
I Propilei furono parzialmente distrutti nel 1656 da un'esplosione delle munizioni turche che vi erano depositate.