Dubai, ecco l'isola a forma di palma

Le Palm Islands sono tre isole artificiali, Palma Jumeirah, Palma Jebel Ali e Palma Deira, antistanti Dubai, negli Emirati Arabi Uniti.

Il Pantheon della Roma antica

All'inizio del VII secolo il Pantheon è stato convertito in basilica cristiana, chiamata Santa Maria della Rotonda.

Casa Batllò, Barcellona

Considerata una delle opere più originali del celebre architetto catalano Antoni Gaudí , l'edificio è stato dichiarato, nel 2005, patrimonio dell'umanità dell'UNESCO.

Giza e le sue Piramidi

Giza deve la sua importanza al fatto di ospitare, su un pianoro roccioso che si trova alla periferia della città, una delle più importanti necropoli dell'antico Egitto.

I trulli pugliesi

I Trulli di Alberobello sono stati dichiarati Patrimonio mondiale dell'umanità dall'UNESCO.

Villa Adriana, Tivoli

Costruita a partire dal 117 d.C. dall’imperatore Adriano, è la più importante e complessa Villa a noi rimasta dell’antichità romana.

Mediateque di Toyo Ito, Sendai

Toyo Ito: quando la comunicazione è come la luce.

martedì 4 giugno 2013

Burano, Venezia

Burano sorge nella Laguna Veneta settentrionale, a nord-est di Murano, ed è a questa collegata tramite il percorso navigabile canale Bisatto-canale Carbonera-scomenzera San Giacomo. Attorno si estendono alcune formazioni palustri, in particolare la palude di Santa Caterina, a sud-ovest, e la palude di Burano, a sud est. A nord è lambita dal canale dei Borgognoni-canale di Burano, con cui si raggiunte Treporti (a sud) e Torcello (a nord). Subito ad ovest si trova invece Mazzorbo, alla quale è unita tramite un ponte.
È costituita da quattro isole separate da tre canali interni, che sono il rio Pontinello, il rio Giudecca e il rio Terranova. Analogamente a Venezia, è divisa in cinque sestieri, distinti appunto dai suddetti canali, sui quali si basa la codifica degli indirizzi.
Burano colpisce, fin da lontano, per la vivacità dei suoi colori. Fondata anch'essa dagli abitanti di Altino , sorge su 4 isolette ed è costruita con modestia ma con notevole estro. Piccole case variopinte si susseguono lungo i canali principali e le minuscole calli, fra le lenzuola stese, mercatini del pesce, soglie aperte in un gioco in cui i confini tra spazi pubblici e privati spesso sfuggono e la vita sembra scorrere in un'atmosfera di convivenza domestica.
Le abitazioni tipiche dell'isola sono per lo più di forma quadrata e si dividono in due, tre piani. Al piano terra si trova la cucina, il tinello e i servizi, ai piani successivi le camere.
Burano è chiamata l'isola dei colori, un'esplosione infinita di colori che pennella le case di questo borgo. Facciate azzurre, rosso scarlatto, gialle ed altro ancora, da cui occhieggiano le caratteristiche finestre contornate, a mo' di vezzo, da una bianca cornice. A volte i colori sono stinti, consunti dalla salsedine e dall'aria della laguna, altre volte li percepisci ravvivati da una sapiente e recente mano di vernice.
Il motivo e l'origine di questa usanza non sia ancora chiaro. Un'ipotesi suggerisce che ogni colore sarebbe semplicemente il simbolo di una determinata famiglia, visto che ancor oggi a Burano vi sono pochi ma molto diffusi cognomi. Per questo motivo a Burano, come in altri luoghi del Veneto, si utilizzano dei soprannomi aggiunti al cognome per distinguere un ramo familiare dall'altro.
Un'altra supposizione, forse più fondata, afferma che i colori vivaci servirebbero ai barcaioli per ritrovare la propria casa in presenza della nebbia, che a Burano si presenta particolarmente fitta.
Tra le viuzze di Burano si possono ammirare i vari capitelli posti all'entrata delle calli fino ad arrivare alla casa più famosa dell'isola: "la Casa di Bepi" dipinta con l'utilizzo di tutti i colori.

lunedì 3 giugno 2013

Mediateca di Toyo Ito

La metafora "figura retorica sulla quale si esprime con una similitudine una cosa diversa da quella nominata" a cui si basa il progetto della mediateca a Sendai, unisce concetti naturali e artificiali, in quanto sono presenti nella figura dell'acquario "vasca o sistema di vasche, generalmente a vetri, in cui si tengono in vita piante e animali acquatici a scopo di studio o di ornamento".
L'acquario di Toyo Ito, una scatola di vetro 55x55 metri, è suddiviso in diversi piani. Lo spessore dei solai è ridotto al minimo con l'uso di un sistema costruttivo a "sandwich": due strati di acciaio con un disposizione di travi in mezzo.   

Nonostante la netta separazione delle funzioni e dei livelli dell'edificio, i materiali utilizzati - predominanza del vetro sul cemento e l'acciaio - e l'originalità degli allestimenti e degli elementi di arredo - forme ondulate, alcove, assenza quasi totale di pareti fisse, dispositivi d'illuminazione artificiale diversi a ogni piano e per ogni modalità di lettura o consultazione dei materiali audiovisivi, colori vivaci giocati sull'alternanza di verde e bianco, rosso, arancione fosforescente - creano un effetto di trasparenza che si traduce nella continuità tra interno ed esterno, 
evidente a ogni piano della mediateca. L'insieme di piazze pensili, con grande forza, comunica un preciso messaggio; oggi, in mancanza di uno stile condiviso, un nuovo monumento della città può essere imposto anche con una regia di tonalità cromatiche effimere: semplici e naturali variazioni tra luminosità notturna e trasparenza diurna. 

Nonostante la trasparenza delle facciate, che rivela le divisioni dei solai all'esterno, l'aspetto è di un singolo volume, di un recipiente "oggetto destinato a contenere specialmente liquidi: recipiente di ferro, di rame, di vetro, di coccio, di legno ", contenitore di tecnologia: quella esposta all'interno e quella utilizzata per la costruzione. 

La "scatola", come un vero e proprio acquario, è piena di alghe "Organismi vegetali, uni o pluricellulari, prevalentemente acquatici, che, sebbene morfologicamente diversi uni dagli altri, presentano tuttavia una grande semplicità di struttura", che, come dice l'architetto, "danzano nell'acqua". 

Sono dei tubolari metallici saldati insieme, che formano 13 cilindri costruttivi e che vano dal piano terra alla copertura, forando i piani quasi naturalmente. Come le vegetali, la struttura cresce e si sviluppa verso l'alto, con varie torsioni e deformazioni. Le composizioni nascono dall'incontro casuale delle forme, a volte come nella natura. 

Questi 13 pilastri "elemento strutturale ad asse verticale di forma per lo più prismatica simbolo di solidità o di immobilità" sono effettivamente la struttura che regge l'edificio, ma per di più, sono dei volumi a pianta circolare con diverse funzioni. Fungano da corte verticali, attribuite da usi che evidenziano la loro continuità tra le varie livelli. Alcuni alloggiano gli impianti di circolazione come scale e ascensore, altri sono lucernari, oppure vuoti per gli scarichi idraulici e condutture elettriche.

Il sistema statico della Mediateca  

L’intero sistema statico della Mediateca è poi costituito su un singolare insieme strutturistico particolarmente articolato – piuttosto semplice nella sua concezione – di elementi integrati ma parzialmente autonomi, composto da colonne portanti svuotate (barre metalliche leggere, individuali o tra loro saldate) reggenti i pianali dei pavimenti-soffitti in una maniera del tutto particolare (tenendoli cioè svincolati dai loro supporti, e soltanto infilati nelle forme tubolari di sostegno). Questo speciale impianto statico permette alle superfici orizzontali (come egregiamente mostra il modello simulativo creato dall’architetto nel 1995) di assoggettarsi ai movimenti delle scosse del terremoto, disponendosi perfino di traverso o addirittura inclinandosi consistentemente, senza però spezzarsi nei luoghi di contatto con le strutture verticali da cui le solette si trovano svincolate. Inoltre, gli stessi sostegni colonnari di forma ibrida, assemblati in fasci di tubi metallici ed il più possibile svuotate per non opporre ai dinamismi sismici una eccessiva resistenza monolitica, sono state conformate in una strana (ed all’apparenza assurda) composizione sghemba e di configurazione instabile, come traballante e già dissestata, proprio per assecondare anch’essi le azioni distorcenti dei terremoti, e frazionare già dalla loro origine costruttiva i punti di rovina in un complesso e dispersivo assemblaggio eterogeneo, a sua volta ammortizzante i colpi energetici sussultori.
In tutto seguendo il principio proprio di resistenza elastica di un aggregato organico di  canne di bambù lasciate tra loro indipendenti.

Villa Adriana, Tivoli (RM)

E’ la residenza imperiale dell'imperatore Adriano (76-138) presso Tivoli (l'antica Tibur), oggi in provincia di Roma. Realizzata gradualmente nella prima metà del II secolo a pochi chilometri dall'antica Tibur, la struttura appare un ricco complesso di edifici estendentesi su una vasta area, che doveva coprire circa 120 ettari, in una zona ricca di fonti d'acqua a 17 miglia romane dall'Urbs.  Si trova sui Monti Tiburtini, a circa 28 km (17 miglia romane) da Roma, dalla quale era raggiungibile sia per mezzo della via Tiburtina o della via Prenestina, sia tramite la navigazione sul fiume Aniene. La Villa si trovava sulla destra della via Tiburtina, poco oltre il ponte Lucano, prolungandosi fin quasi alle pendici del monte Ripoli su cui sorge Tivoli.
L'area prescelta si estendeva tra le valli dei fossi di Risicoli o di Roccabruna ad ovest e dell'Acqua Ferrata ad est, che, riunitisi, si gettano poi nell'Aniene; era una zona ricca di acque e vi passavano quattro degli antichi acquedotti romani che servivano Roma (Anio Vetus, Anio Novus, Aqua Marcia e Aqua Claudia). Nei pressi esiste tuttora la sorgente di acqua sulfurea delle Acque Albule (Bagni di Tivoli), che era conosciuta ed apprezzata dall'imperatore. Nei dintorni inoltre erano presenti numerose cave di materiali da costruzione (travertino, pozzolana, tufo e calcare per la realizzazione della calce).
Tra le molte ville rustiche che fin dall'età repubblicana erano sorte fra Roma e Tivoli, ne esisteva già una costruita nel periodo sillano, ingrandita all'epoca di Giulio Cesare, pervenuta forse in proprietà della moglie di Adriano, Vibia Sabina, che proveniva da una famiglia di antica nobiltà italica. Fu questo il primo nucleo della villa, incorporato poi nel Palazzo imperiale.
Lo studio del sistema di canalizzazione e delle fognature sembra indicare che la progettazione del complesso sia stata unitaria, anche se dai bolli laterizi ritrovati in circa metà degli edifici emergono tre fasi di costruzione particolarmente attive tra il 118 e il 121, il 125 e il 128 e il 134-138. Di ritorno a Roma nei primi mesi del 134, Adriano poté godere della villa solamente gli ultimi anni della sua esistenza, fino alla morte avvenuta a Baia il 10 luglio 138. 
La complessità della residenza, più che alle numerose sfaccettature della personalità di Adriano, fu dovuta alla necessità di soddisfare esigenze e funzioni diverse (residenziali, di rappresentanza, di servizio), oltre che all'andamento frastagliato del terreno; la magnificenza e l'articolazione delle costruzioni rispecchiano le idee innovative dell'imperatore in campo architettonico. Si afferma comunemente che egli volle riprodurre nella sua villa i luoghi e i monumenti che più lo avevano colpito durante i suoi viaggi nelle province dell'impero, sulla base di un passo del suo biografo tardo-antico Elio Sparziano. In realtà gli edifici della villa presentano tutti i caratteri più innovativi dell'architettura romana del tempo, per cui le riproduzioni adrianee di monumenti della Grecia o dell'Egitto vanno intese come suggestioni evocative e non come ricostruzioni reali.

Gli edifici che la compongono:

Pecile 

Il Pecìle è una ricostruzione della Stoà Pecile (stoà poikìle, "portico dipinto") nell'agorà di Atene, centro politico e culturale della città di Atene, la prediletta da Adriano durante i suoi numerosi viaggi.
Il Pecile, un'immensa piazza colonnata di forma quadrangolare, decorata al centro da un bacino e circondata da un portico, si innalzava su poderose costruzioni artificiali. Attraverso una serie di edifici termali poi si giungeva al Canopo. Sulla piazza centrale, si affacciavano gli alloggi delle guardie, del personale amministrativo e di servizio.

Canopo e Serapeo 

Si deve a Pirro Ligorio, famoso architetto napoletano al servizio del cardinale Ippolito d’Este, il riconoscimento del Canopo menzionato nella biografia di Adriano (Elio Sparziano, Vita Hadriani) nella “valle longhissima” di fronte all’articolato padiglione absidato con giochi d’acqua, che egli definì tempio del dio Canopo o Nettuno.
L’identificazione di questa zona della villa con il canale egizio che congiungeva l’omonima città di Canopo - sede di un celebre tempio dedicato a Serapide - con Alessandria, sul delta del Nilo, venne accettata senza riserve, come documenta ampiamente la letteratura archeologica: non solo Ligorio vi aveva trovato una statua di Iside ma tale dato sembrò ulteriormente confermato dall’attribuzione a questa zona di Villa Adriana anche del ciclo di sculture egittizzanti in basalto e pietra nera, oggi conservate presso i Musei Vaticani, frutto di ritrovamenti settecenteschi da parte dei Gesuiti. Una recente rilettura critica delle fonti antiquarie ha tuttavia consentito di recuperare il vero luogo di ritrovamento di tali sculture, da riconoscere nella zona di fronte alle Cento Camerelle, compresa anch’essa nel Settecento nella proprietà dei Gesuiti e dove recentemente sono venuti in luce materiali del tutto analoghi, frutto delle campagne di scavo condotte negli ultimi anni. 
La presenza di uno stibadium, o letto tricliniare, all’interno dell’ampio padiglione a esedra del Canopo prova che il complesso sia da interpretare come un grande spazio per banchetto all’aperto, arricchito da giochi d’acqua: le cascatelle, i canali, e il mosaico di pasta vitrea sulla grande volta a ombrello dell’esedra conferiscono al padiglione quasi l’aspetto di una fontana monumentale. Lo stibadium, costituito da un basamento in muratura di forma semicircolare e dalla superficie inclinata, era coperto in antico da tappeti e cuscini: gli ospiti vi si sdraiavano in occasione del convito, rinfrescati dallo scorrere dell’acqua in rivoli, cascatelle e fontane, che circondava i commensali garantendo frescura e una piacevole atmosfera, completata dalla vista sul lungo specchio d’acqua. Quest’ultimo, inquadrato da un pergolato e da siepi di fiori, era completato da numerose sculture, in parte emergenti dall’acqua: su un dado in muratura nella zona meridionale era posizionato il gruppo di Scilla, mentre sul lato opposto era verosimilmente collocato il coccodrillo-fontana di marmo cipollino.
Fra i ritrovamenti venuti in luce negli anni cinquanta, quando tutta l’area venne liberata dall’interro, si rinvennero, oltre al coccodrillo, anche una statua di personaggio semisdraiato raffigurante il Nilo e due Sileni canefori (portatori di canestri) con funzione di telamoni, derivanti da modelli di ambiente alessandrino. In aggiunta alla statua di Iside scoperta da P. Ligorio, sono comunque poche le sculture di soggetto egizio provenienti con certezza dal Canopo, tutte peraltro realizzate non in stile egittizzante, ma secondo i canoni dell’arte ellenistica.
Non appare dunque giustificata l’ipotesi di caricare di un significato religioso – come ha fatto ad esempio J.-C. Grenier - questa zona della villa, la cui sistemazione in senso egizio, che lo studioso ricostruisce con tutte le sculture ‘egizie’ provenienti da Villa Adriana, alluderebbe al rilancio del culto di Serapide promosso da Adriano e alla celebrazione del nuovo dio Antinoo. Tale teoria, che ha avuto largo seguito, implica anche un altro presupposto, ugualmente da rigettare: che l’imperatore avesse voluto rappresentare qui l’“Egitto del viaggio”, come lo definisce Grenier, alludendo al viaggio in Egitto nel quale era morto il giovane favorito.
In realtà, come provano i marchi di fabbrica presenti sui laterizi, la costruzione del Canopo va collocata in una data decisamente antecedente al 130 d.C. e l’edificio noto come Canopo va piuttosto interpretato come una rappresentazione evocativa di un ambiente egizio in senso esotico, un giardino nilotico destinato ai banchetti, analogamente al canale sul delta del Nilo, famoso per le feste che vi si svolgevano.

Piazza d’Oro

Era un complesso periptero con una vasca centrale rettangolare, che tagliava longitudinalmente la spianata dei giardini, sul cui lato minore meridionale si staglia un grandioso edificio con cupola centrale. Le colonne, disposte su un portico a quattro bracci, in cipollino e granito egiziano, disegnano andamenti ora concavi ora convessi, rendendo un bellissimo gioco visivo. Sui bracci est ed ovest si delineano due lunghi corridoi. Da quello orientale si accede all'edificio principale. 
Alle spalle del portico sul lato nord vi sono i resti della Casa Colonica, una struttura di epoca precedente, caratterizzato da pavimenti a mosaico di modesta qualità e destinata alla servitù. In quest'ala della villa furono ritrovati i ritratti imperiali di Vibia Sabina, Marco Aurelio e Caracalla. La ricchezza degli ambienti e del corredo architettonico, dedotta dall'alto numero di fori che sorreggevano le grappe cui erano appesi i marmi, suggerisce l'ipotesi che questa zona fosse legata alle funzioni pubbliche del palazzo.

Il Teatro Marittimo 

Il Teatro marittimo, definizione assegnata dai moderni, è una delle prime costruzioni della villa, tanto che è stata interpretata come la primissima, provvisoria residenza di Adriano nel sito. Le sue caratteristiche di separatezza rendono credibile l'ipotesi che il luogo costituisse la parte privata del palazzo.
La struttura, iniziata nel 118, fu edificata nei pressi della villa repubblicana. È un complesso assai singolare, ad un solo piano, senza alcun rapporto con la forma abituale di un teatro romano, costituito da un pronao di cui non resta più nulla, mentre sono riconoscibili la soglia dell'atrio e tracce di mosaici pavimentali. All'interno consta di un portico circolare a colonne ioniche, voltato. Il portico si affaccia su un canale al centro del quale sorge un isolotto di 45 m di diametro, composto anch'esso da un atrio e da un portico in asse con l'ingresso, più un piccolo giardino, un complesso termale minore, alcuni ambienti e delle latrine. La struttura non prevedeva alcun ponte in muratura che collegasse l'isolotto al mondo esterno, e per accedervi era necessario protendere un breve ponte mobile.

Le Grandi Terme 

Devono la loro denominazione sia all’ampiezza dei singoli ambienti che alla vastità di superficie occupata rispetto  agli altri impianti termali della villa.
Entrambi i complessi delle Piccole e Grandi Terme erano collegati, sul lato occidentale, da un corridoio sotterraneo che permetteva l’accesso ai praefurnia ed era direttamente raggiungibile dal personale di servizio alloggiato nell’area delle Cento Camerelle. 
Lungo questo lato si dispongono gli ambienti riscaldati, tra i quali, immediatamente riconoscibile per la forma circolare e la copertura a calotta con occhio centrale, nonché l’assenza di impianti idrici, la sala per la sudatio, che conserva ancora tutta la sua imponenza, nonostante il crollo della porzione frontale su cui si aprivano le grandi finestre per catturare i raggi solari. Si succedono poi tepidaria -  stanze riscaldate che in alcuni casi presentano, oltre alle suspensurae sotto il pavimento, anche le pareti costituite da tubuli o condotte di mattoni forati per la circolazione dell’aria calda -  e caldaria, o ambienti provvisti di vasche per il bagno caldo.  
La zona centrale è occupata quasi interamente dal frigidarium, un’ampia sala rettangolare con volta a crociera, su cui si aprivano ad un livello inferiore due ambienti accessibili per mezzo di gradini rivestiti di marmo, l'uno absidato e l’altro rettangolare, che costituivano le piscine per il bagno freddo; entrambi gli ingressi erano inquadrati da alte colonne di marmo cipollino con capitelli ionici assai raffinati; la vasca absidata era abbellita originariamente da statue, come indica la presenza di nicchie nella parete di fondo. Dal frigidarium si poteva accedere, oltre che all’ambiente circolare per la sudatio, anche ad  un’ampia sala, ugualmente riscaldata, affacciata sul lato meridionale, che presenta la peculiarità di un soffitto decorato da stucchi con motivi geometrici e medaglioni figurati, di cui rimane traccia nei pennacchi angolari della volta.
Su ciascun lato della vasca rettangolare un corridoio permetteva di raggiungere un ambiente rettangolare con pavimento a mosaico, interpretato da alcuni come sphaeristerium (sala adibita al gioco della palla), prospiciente la palestra, costituita da un ampio cortile in opus spicatum circondato da un portico pavimentato a mosaico, oggi privo delle colonne. L’opus spicatum risulta impiegato anche al di sopra della copertura della vasca rettangolare del frigidarium, che era evidentemente a terrazza, come possiamo dedurre dall’esame dei blocchi di crollo visibili sul pavimento della vasca.
Anche in questo complesso termale è notevole la varietà delle soluzioni architettoniche proposte per la copertura dei diversi ambienti, che si impongono per la loro monumentalità, anche se non presentano una decorazione sfarzosa come le altre terme della villa; se si eccettuano la grande sala con gli stucchi e l’ambiente contiguo, pavimentato in opus sectile, la decorazione dei rivestimenti è senza dubbio assai più modesta: i pavimenti, in gran parte conservati, sono di mosaico bianco, eventualmente bordato da una o due fasce nere e le pareti erano rivestite di intonaco anziché di marmi, caratteristiche che fanno supporre per questo edificio una destinazione per il personale addetto alla villa.    

L'Antinoeion  

Nel 2003 vengono alla luce lungo la strada di accesso al Grande Vestibolo e davanti al fronte delle Cento Camerelle i resti di quello che verrà identificato come un luogo di culto dedicato ad Antinoo, amante dell'imperatore e da esso divinizzato dopo la sua morte prematura. La struttura presenta il basamento di due templi affrontati all'interno di un recinto sacro con un'esedra sul fondo. Al centro, tra i due templi, il basamento dell'obelisco che è stato identificato con l'Obelisco Pinciano. Datato al 134 d.C. si pensa fosse anche luogo dell'inumazione del dio amante di Adriano.

All'interno del complesso sono stati rinvenuti frammenti di statue in marmo nero, relative a divinità egizie o a figure di sacerdoti che confermerebbero che quello fosse il luogo di culto del dio Osiride-Antinoo.

L'Eretteo, Atene

Nonostante la grande importanza del culto tributato ad Atena nel grande tempio (prima l'Ekatónpedon, poi il Partenone) sulla sommità dell'Acropoli, questo santuario, dedicato alla dea Atena Poliade (protettrice della città), era legato a culti arcaici e alle più antiche memorie della storia leggendaria della città, costituendo il vero nucleo sacro dell'Acropoli e dell'intera città. In questo luogo si sarebbe infatti svolta la disputa tra Atena e Poseidone: vi si custodivano le impronte del tridente del dio su una roccia, un pozzo di acqua salata da cui sarebbe uscito il cavallo, dono del dio, e l'olivo, donato dalla dea Atena alla città. Qui il re Cecrope, metà uomo e metà serpente, avrebbe consacrato il Palladio, la statua della dea caduta miracolosamente dal cielo. Il santuario ospitava inoltre le tombe di Cecrope, di Eretteo e un luogo di culto dedicato a Pandroso, la figlia di Cecrope amata dal dio Ermes. 
L'Eretteo venne costruito in sostituzione del tempio arcaico (VI secolo a.C.) avente la stessa funzione votiva di cui restano le fondamenta tra l'edificio più recente e il Partenone; in epoca romana il nuovo edificio prese il nome di "Eretteo" (Erekteíon, ovvero "colui che scuote"), dall'appellativo di Poseidone.
Iniziata da Alcibiade nel 421 a.C. in un momento di relativa pace, la costruzione fu interrotta durante la spedizione in Sicilia (Guerra del Peloponneso) e ripresa negli anni 409-407 a.C., come attestano i rendiconti finanziari conservati al Museo epigrafico di Atene e al British Museum.
Costruito in marmo pentelico, l'Eretteo è opera dell'architetto Filocle.
La necessità di ospitare i diversi culti tradizionali, collocati su un'area con un forte dislivello (più elevata a sud-est e più bassa di circa 3 m a nord-ovest) determinò una pianta insolita.
Il tempio si compone di un corpo rettangolare anfiprostilo (ovvero con colonne nella parte anteriore e posteriore del tempio), con sei colonne ioniche sulla fronte a est; a ovest gli intercolumni (spazi tra le colonne) sono chiusi da setti murari dotati di ampie finestre e le colonne si presentano all'esterno come semicolonne sopraelevate sul muro di 3 metri costruito per superare il dislivello del terreno. L'interno era suddiviso in due celle a livello diverso e non comunicanti tra loro: quella orientale, più alta, alla quale si accedeva dal pronao esastilo, che ospitava il Palladio, e quella occidentale più in basso, suddivisa in tre vani: un vestibolo comune dava accesso a due vani gemelli che ospitavano i culti di Poseidone e del mitico re Eretteo. Al corpo centrale si addossano la loggia con le Cariatidi a sud, che custodisce la tomba del re Cecrope, e un portico a nord, più sporgente del corpo centrale verso ovest, costruito per proteggere la polla di acqua salata fatta sgorgare da Poseidone. Il portico è costituito da quattro colonne in fronte e due di lato; da qui si accede sia alla cella per il culto di Poseidone e di Eretteo, sia ad una zona a cielo aperto davanti al basamento pieno che sorregge le semicolonne della fronte occidentale, dove si trovavano l'ulivo di Atena e la tomba di Pandroso (Pandroseion).
Le colonne si presentano particolarmente snelle ed eleganti e il tempio era ornato da una raffinata decorazione: le basi delle colonne, la fascia decorativa che sormonta e corre lungo le pareti del corpo centrale con un motivo di fiori di loto e palmette; il fregio continuo lungo l’esterno della costruzione, in pietra scura di Eleusi, sulla quale erano applicate figure scolpite in marmo bianco (con un gusto che, come annota Bianchi Bandinelli, sembra anticipare quello tardo ellenistico dei cammei in vetro a fondo azzurro). Particolarmente ricche le decorazioni del portico a nord, negli intrecci sulle colonne e nel fregio ornamentale della porta d’ingresso. Bronzi dorati, dorature, perle vitree in quattro colori sottolineavano la ricchezza dell’alzato.
Le statue delle Cariatidi, forse opera dello scultore Alcamene, sono attualmente sostituite da copie, mentre gli originali sono conservati al riparo nel Museo dell'Acropoli. Una delle cariatidi angolari, rimossa da lord Elgin, si trova al British Museum di Londra.
 


domenica 2 giugno 2013

I Propilei, Atene

Propilei (dal greco  "posto davanti alla porta") sono l'ingresso monumentale dell'Acropoli di Atene. La loro costruzione ebbe inizio nel 437 a.C., ma non furono completati. Per estensione sono stati chiamati propilei anche altri monumenti basati sulla stessa tipologia. La struttura dei Propilei in particolare è servita da modello in età neoclassica (XIX secolo).
Il monumentale accesso all'area sacra dell'Acropoli di Atene fu eretto su progetto dell'architetto Mnesicle tra il 437 a.C. ed il 432 a.C. L'anno successivo, allo scoppio della Guerra del Peloponneso i lavori furono interrotti e mai portati a termine. Lo stesso architetto Mnesicle è accreditato da alcune fonti per una partecipazione al cantiere dell'Eretteo.
Il monumento, di marmo pentelico bianco e pietra grigia di Eleusi, rientra nei grandi lavori di rifacimento dell'Acropoli promossi da Pericle. Arpocrazione afferma che i lavori iniziarono durante l'arcontato di Eutimene nel 437 a.C., e secondo Eliodoro durarono cinque anni, per una spesa (elevatissima) di 2012 talenti.

La Struttura 

La struttura dei Propilei consiste di un corpo centrale con due ali laterali, una verso nord (detta Pinacoteca) e una verso sud (un semplice portico). All'interno dell'ala sud, i blocchi di marmo presentano ancora le bozze lasciate a rilievo per il sollevamento e la messa in opera, il che mostra come l'edificio non abbia mai ricevuto la politura finale.
La facciata del corpo centrale è ornata di sei colonne doriche simili in proporzione, ma non nelle dimensioni, a quelle del Partenone; la coppia centrale di colonne è più distanziata per lasciare più spazio al carro della processione delle Panatenee, solenne processione che si teneva ogni quattro anni il giorno genetliaco di Atena, il 28 del mese di ecatombeone corrispondente al mese luglio-agosto, in onore della dea Atena Poliàs (o Poliade), protettrice della città, alla quale la struttura faceva da sfondo.
All'esterno la struttura si presenta inequivocabilmente di stile dorico mentre all'interno vi sono colonne ed elementi di stile ionico. L'armonizzazione di questi due stili in un solo edificio necessita di grande abilità, e la perfetta integrazione in questo edificio va a tutto merito dell'architetto. Il progetto dovette superare notevoli difficoltà tecniche, dovute soprattutto al forte dislivello del passaggio. Il corpo centrale costituiva il vero e proprio ingresso, chiuso fra due facciate doriche con sei colonne. Dei quattro ambienti che dovevano occupare le due ali venne realizzato solo quello di nord-ovest, la Pinacoteca, dove erano raccolti quadri di soggetto mitologico.
I Propilei furono parzialmente distrutti nel 1656 da un'esplosione delle munizioni turche che vi erano depositate.


Partenone , Atene

Il Partenone è un tempio greco, octastilo, periptero di ordine dorico dedicato alla dea Atena, che sorge sull'Acropoli di Atene.
Questo tempio è il più famoso reperto dell'antica Grecia; è stato lodato come la migliore realizzazione dell'architettura greca classica e le sue decorazioni sono considerate alcuni dei più grandi elementi dell'arte greca. Il Partenone è un simbolo duraturo dell'antica Grecia e della democrazia ateniese e rappresenta senz'altro uno dei più grandi monumenti culturali del mondo. 
Il Partenone sostituì il più antico tempio di Atena Poliàs che era stato distrutto dai Persiani nel 480 a.C., al tempo di Serse (guerre persiane). Come la maggior parte dei templi greci, il Partenone fu utilizzato come tesoreria e, per qualche tempo, servì come tesoreria della lega di Delo, che diventò, successivamente, l'Impero ateniese.
Nel VI secolo, il Partenone venne convertito in una chiesa cristiana dedicata alla Madonna; dopo la conquista turca, fu convertito in moschea. Nel 1687, durante l'assedio di Atene da parte della Repubblica di Venezia, il Partenone fu colpito da una cannonata che fece scoppiare la polvere da sparo lì depositata; l'esplosione danneggiò seriamente il Partenone e le sue sculture.
Nel XIX secolo, Lord Elgin rimosse alcune delle lastre rimanenti e le portò in Inghilterra. Queste sculture, conosciute oggi come marmi di Elgin, sono in mostra al British Museum. Il governo greco e parte della comunità internazionale ne richiedono da molti anni il rientro in patria.
Il Partenone, insieme agli altri edifici sull'Acropoli, è oggi uno dei siti archeologici più visitati in Grecia. Il Ministero greco della cultura grazie ai finanziamenti per i Giochi Olimpici del 2004 e ai finanziamenti giunti dall'UNESCO, ha inaugurato un imponente progetto di restauro, tuttora in corso.
Il nuovo Museo dell'Acropoli, che è stato aperto nel giugno 2009, situato ai piedi dell'Acropoli, raccoglie tutti i frammenti del fregio in possesso del governo greco, assieme ad altri in corso di recupero, in uno spazio architettonico ricostruito con le esatte dimensioni e l'orientamento del Partenone.

Progettazione 

Il Partenone fu costruito per iniziativa di Pericle, il generale ateniese del V secolo a.C. Fu costruito dall'architetto Ictino, a prosecuzione di un progetto già avviato con Callicrate sotto Cimone. La costruzione avvenne sotto la stretta supervisione dello scultore Fidia (nominato  supervisore), che, inoltre, costruì la statua della dea Atena al suo interno, di circa 12 metri completamente rivestita di oro ed avorio. L' edificazione del templio cominciò nel 447 a.C., e fu completata sostanzialmente attorno al 438 a.C., ma il lavoro sulle decorazioni continuò almeno fino al 432 a.C. Sappiamo che la spesa maggiore fu il trasporto della pietra dal Monte Pentelico, circa 16 chilometri da Atene, fino all'Acropoli. I fondi furono in parte ricavati dal tesoro della lega di Delo, che fu spostato dal santuario panellenico di Delo all'Acropoli nel 454 a.C.
Sebbene il vicino Tempio di Efesto sia l'esempio esistente più completo di tempio di ordine dorico, il Partenone, a suo tempo, fu considerato il migliore. Il tempio, scrisse John Norwich, "gode della reputazione di essere il più perfetto tempio dorico mai costruito. Persino nell'antichità i suoi miglioramenti architettonici erano leggendari, specialmente la sottile corrispondenza tra la curvatura dello stilobate, l'assottigliarsi dei muri del naos e l'entasis delle colonne". Lo stilobate, piattaforma sulla quale si reggono le colonne, curva in su leggermente per ragioni ottiche. L'entasis è il leggero rigonfiamento posto sul fusto a 1/3 della sua altezza che annulla l'illusione ottica che le colonne siano concave nella zona centrale. L'effetto di queste leggere curve è quello di far apparire il tempio più simmetrico di quanto realmente sia. Altra correzione ottica è la diversa distanza delle colonne per risolvere il problema dell'angolo, o la diversa forma delle colonne d'angolo per correggere il diverso intercolumnio tra i lati del tempio. A differenza dei classici templi che presentano sei colonne sulla facciata e 13 sul lato lungo, il Partenone è ottastilo, ha cioè 8 colonne sul lato corto e 17 su quello lungo.
Misurate allo stilobate, le dimensioni della base del Partenone sono di 69,5 per 30,9 metri. Il pronao era lungo 29,8 metri e largo 19,2, con colonnati dorico-ionici interni in due anelli, strutturalmente necessari per sorreggere il tetto. All'esterno, le colonne doriche misurano 1,9 metri di diametro e sono alte 10,4 metri. Le colonne d'angolo sono leggermente più grandi di diametro. Lo stilobate ha una curvatura verso l'alto, in direzione del proprio centro, di 60 millimetri sulle estremità orientali ed occidentali e di 110 millimetri sui lati. Alcune delle dimensioni seguono il canone del rettangolo aureo che esprime la sezione aurea, lodata da Pitagora nel secolo precedente la costruzione. 

Metope 

Le novantadue metope doriche (realizzate da Fidia e da suoi allievi) furono scolpite come altorilievi. Le metope, concordando con i registri degli edifici, sono datate come degli anni 446-440 a.C. Le metope del lato est del Partenone, sopra l'entrata principale, raffigurano la Gigantomachia (la lotta degli dei dell'Olimpo contro i Giganti). Sul lato ovest, le metope mostrano l' Amazzono-machia (la mitica battaglia degli Ateniesi contro le Amazzoni). Le metope del lato sud — con l'eccezione di 13-20 metope piuttosto problematiche, ormai perdute — mostrano la Centauro machia Tessala. Sul lato nord del Partenone, le metope sono poco conservate, ma l'argomento sembra essere la Guerra di Troia.
Stilisticamente, le metope sopravvissute presentano tracce di stile severo nell'anatomia delle teste, nella limitazione dei movimenti del corpo alle curve e non ai muscoli e nella presenza di vene pronunciate (veins) nelle immagini della Centauro-machia. Parecchie metope rimangono ancora sull'edificio ma con l'eccezione di quelle del lato nord, che sono severamente danneggiate. Alcune di esse sono situate al museo dell'Acropoli, altre, più numerose, sono al British Museum ed una può essere ammirata al museo del Louvre.

Il Fregio 

Il tratto più caratteristico nella decorazione del Partenone è sicuramente il lungo fregio ionico posto lungo le pareti esterne della cella. Si tratta di una caratteristica innovativa, dal momento che il resto del tempio è costruito in stile dorico.
L'intero fregio marmoreo è stato scolpito in altorilievo da Fidia e dai collaboratori della sua bottega. Il fregio continuo era lungo 160 metri di cui ne sopravvivono 130, circa l'80%, dislocati oggi in vari musei europei. La parte mancante ci è nota dai disegni effettuati da Jacques Carrey nel 1674, tredici anni prima che il bombardamento veneziano danneggiasse il tempio.
In una prima semplice lettura, il fregio rappresenta la solenne processione che si teneva ogni quattro anni in occasione delle feste panatenaiche. Sono invece possibili diverse interpretazioni circa il significato della rappresentazione o la sua possibile attribuzione ad un evento storico preciso: c'è chi ipotizza che l'ampio spazio riservato alla rappresentazione della cavalleria sia un esplicito riferimento all'eroismo bellico delle Guerre Persiane; altri hanno ritenuto di riconoscere nei vari personaggi della processione figure rappresentanti la polis aristocratica e arcaica in contrapposizione ad altre che incarnerebbero invece la democrazia dell'Atene classica, in un tentativo di unire passato e presente. Sta di fatto che si tratta della rappresentazione di un avvenimento comunitario, che era legato al culto di Atena e quindi della patria che la dea rappresentava: gli individui di ogni strato della società potevano identificarsi nei personaggi del fregio e riconoscere i vari momenti della cerimonia. 
L'intero fregio è stato concepito per essere letto a partire dall'angolo sud-ovest: lo spettatore a partire da questo angolo poteva scegliere se dirigersi verso nord, oppure dirigersi direttamente verso est. Dall'angolo sud-ovest del fregio prendono il via dunque due processioni che girano attorno alla cella per confluire poi sul lato est (quello dell'ingresso al tempio), al cui centro è rappresentato il gesto della consegna del Peplo alla dea Atena. Al gesto della consegna assiste la schiera degli dei e degli eroi.

I Frontoni  

Tutte le figure del fregio sono state rappresentate da Fidia in modo idealizzato, come se tutti i personaggi fossero abitanti di una dimensione trascendente di eterna festa e allegria. Questo effetto complessivo di aura divina è dato dalla scelta di soggetti giovani, dalle espressioni dei quali non traspare fatica, nonostante molti siano impegnati in qualche azione (come trasportare anfore o cavalcare), bensì solenne allegria.
Pausania, viaggiatore del II secolo, quando visitò l'Acropoli e vide il Partenone, ne descrisse solo i frontoni. Il frontone orientale racconta della nascita di Atena dalla testa di suo padre Zeus, mentre il frontone occidentale narra la disputa che Atena (con il ramo d'ulivo) ebbe con Poseidone (che dona l'acqua) per il possesso di Atene e dell'Attica, ed è costituito da statue a tuttotondo incassate nella cavità. Le statue in particolare non sono distaccate una dall'altra, non hanno una storia a sé propria, ma interagiscono fra di loro, entrano in contatto concatenandosi e sono costruite in una sequenza di arsi e tesi, ad ogni movimento concitato ne corrisponde una rilassato e teso (ciò si vede anche nelle vesti delle donne che seguono una ritmo naturale e libero e soprattutto equilibrato). Il lavoro sui frontoni durò dal 438 al 432 a.C.


L’Acropoli di Atene

L'Acropoli di Atene si può considerare la più rappresentativa delle acropoli greche. È una rocca, spianata nella parte superiore, che si eleva di 156 metri sul livello del mare sopra la città di Atene. Il pianoro è largo 140 m e lungo quasi 280 m. È anche conosciuta come Cecropia in onore del leggendario uomo-serpente Cecrope, il primo re ateniese. http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/6/64/AcropolisatathensSitePlanPeripatos.svg/600px-AcropolisatathensSitePlanPeripatos.svg.png
L'Acropoli è stata dichiarata patrimonio dell'umanità dall'UNESCO nel 1987.
I resti sono risalenti all'epoca arcaica e quindi si attesta che delle costruzioni imponenti si elevavano sull'acropoli alla fine del VII secolo a.C., epoca in cui le mura risalenti all'età micenea (XVI-XII secolo a.C.) persero la loro importanza difensiva. Nella prima metà del VI secolo a.C., dopo l'espulsione dei Pisistratidi, l'acropoli cessò di essere una fortezza.

https://lh3.googleusercontent.com/Y70Tie5sEQG7LYqVjPMDAYJmkUImxj_IY0bBjmpZYv28E-YRkQxC1HjVQZTS9ZtIvmCn5NPWTinNUJjFP8rWkO_p68lKOgQrFuabn8CqiYv_GWkFSXEyy8FGtUAUVKINSwLe antiche fortificazioni, le costruzioni, gli edifici templari e le statue furono distrutti durante l'occupazione persiana del 480 a.C. I primi sforzi ricostruttivi degli ateniesi si concentrarono sulle opere di maggiore utilità. Le mura e i bastioni furono ricostruiti sotto il governo di Temistocle e di Cimone. Durante l'epoca di Pericle per celebrare la vittoria sui Persiani e il primato politico, economico e culturale di Atene fu realizzata la ricostruzione dell'acropoli, con la costruzione del Partenone - all'interno del quale fu eretta una statua colossale di Atena Parthenos, realizzata da Fidia e oggi perduta -, dei Propilei ed in seguito dell' Eretteo e del Tempio di Atena Nike.
http://images.placesonline.com/photos/17411_atene_veduta_dell_acropoli.jpg
Nel tardo impero romano il Partenone fu trasformato in chiesa dedicata alla Vergine Maria. Nel Medioevo l'acropoli fu trasformata in fortezza militare prima dai Franchi e poi dai Turchi. Nel 1687 i veneziani bombardarono l'Acropoli, causando ingenti danni al Partenone, che, poiché conteneva dei depositi di polvere da sparo, saltò in aria.


Durante la dominazione dell'Impero ottomano l'Acropoli venne spogliata di gran parte dei marmi che ornavano i frontoni e delle metope da Lord Elgin che li portò in Inghilterra. Nell'Ottocento iniziarono i primi scavi e restauri dei templi, che portarono a scoperte clamorose, come le famose statue arcaiche di fanciulle, le Kore. La maggior parte dei ritrovamenti è esposta nel Museo dell'Acropoli.

sabato 1 giugno 2013

I Trulli

Cosa è un trullo? 

I trulli sono esempi di architettura spontanea tramandata dai contadini nello scorrere dei secoli.
TrulloSi tratta di strutture straordinariamente semplici, realizzate completamente a secco, senza uso di malta, che si concludono con un tetto conico ricoperto di chiancarelle, pietre larghe e strette disposte come le tegole di un tetto in anelli concentrici che decrescono verso un foro in alto, chiuso da un monolito circolare su cui si innalza il pinnacolo dalle forme curiose e misteriose. Sulle chiancarelle si possono notare, in corrispondenza della porta d’ingresso, vari disegni dipinti a calce.
Si tratta prevalentemente di simboli cristiani (ostia raggiata, cuore trafitto di Maria ecc.) eccetto alcuni che sono pagani, probabilmente legati ad usanze magico- religiose collegabili ad influssi della cultura greca e persino di quelle egiziana, assira e babilonese.
Il contadino li riproduceva sulla propria abitazione per avere la protezione divina contro ogni male.
Sulla sommità del trullo si trovano i “cucurnini”, ovvero multiformi pinnacoli in pietra che hanno una funzione puramente estetica ma, secondo alcuni studiosi, si ricollegano ad un antichissimo culto delle pietre e del Sole.
La località in cui esse determinano totalmente il paesaggio, rendendolo unico al mondo, è la famosa Alberobello.

I Trulli di Alberobello sono stati dichiarati Patrimonio mondiale dell'umanità dall'UNESCO.

I Trulli possono essere annoverati tra gli esempi ancestrali di prototipo delle costruzioni modulari che nel XX secolo, con l'affermazione dell'architettura razionalista, avrebbero avuto il loro exploit. Essi possono essere composti da un vano semplice (modulo unitario), oppure dall'accostamento di più ambienti (moduli), che in genere vengono aggiunti per gemmazione attorno al vano centrale. 
L'unità costruttiva modulare del trullo presenta una pianta di forma approssimativamente circolare, sul cui perimetro si imposta la muratura a secco di spessore molto elevato. Questa soluzione, da un lato restringe enormemente gli spazi interni, ma dall'altro, unita alla quasi totale assenza di aperture ad esclusione della porta d'ingresso e, raramente, di un piccolissimo foro in alto dotato di finestrino per garantire un minimo ricambio di aria all'interno, ne fa un interessantissimo esempio "ante-litteram" di bio-edilizia passiva. Il grande spessore delle murature, unito al ridottissimo numero e dimensionamento delle aperture (spesso solo la porta di ingresso e al massimo il piccolissimo finestrino quadrato che fa da sfiato ai ridottissimi WC ricavati all'interno per esigenze igieniche nel secondo dopoguerra) ne assicura un'elevatissima inerzia termica, il che garantisce una buona conservazione del calore all'interno durante l'inverno e le giornate più fredde,così come in estate conserva il fresco che le murature stesse hanno accumulato durante la stagione fredda e che cederanno a poco a poco fino alla seconda metà del mese di agosto[senza fonte], quando, per effetto dell'inversione termica, si verifica una sensazione di maggior calore all'interno che non all'esterno.

Le murature portanti, edificate così come descritto, vengono completate da una pseudo-cupola che ne costituisce la copertura. Questa consiste in una struttura autoportante – nel senso che non necessita di centinatura – costituita da una serie concentrica di lastre orizzontali disposte a gradini rientranti sempre più, man mano che si va verso l'alto, in cui ogni giro completo è staticamente in equilibrio con quelli inferiori. Questo strato interno di lastre calcaree di maggiore spessore, dette chianche, è completato da quello esterno, costituente il vero e proprio tetto, in lastre più sottili, dette chiancarelle, terminante in una chiave di volta frequentemente scolpita con elementi lapidei decorativi a carattere esoterico, spirituale o scaramantico, sporgenti al vertice del conoide di copertura.
Si pensa che inizialmente l'intera costruzione fosse costituita dalla sola cupola, ma oggigiorno non si hanno conferme né smentite in tal senso. Inoltre il trullo era una fortezza difensiva dagli attacchi nemici, per cui pochi sono i trulli perfettamente intatti.

L'altopiano della Murgia, per la sua stessa natura geolitologica a matrice essenzialmente calcarea, ha fornito  la possibilità agli abili costruttori delle epoche più remote di progettare e tramandare fino ai nostri giorni queste costruzioni. Il territorio in cui più importante è la presenza dei Trulli si identifica geograficamente con la Valle d' Itria, dove sono chiamati casiedde (dal latino casella, piccola casupola, capanna). Qui la città di Alberobello (Ba), avendo un intero quartiere, coincidente con il centro storico cittadino, edificato integralmente con queste costruzioni, rappresenta a tutti gli effetti la Capitale dei Trulli. Sino agli anni cinquanta del XX secolo, anche il comune di Villa Castelli (Br) era costituito prevalentemente da trulli di cui oggi restano pochi esemplari. Altre aree in cui particolarmente diffuso è questo tipo di costruzione sono le zone rurali e/o periferiche delle cittadine limitrofe Locorotondo, Castellana Grotte, Conversano, Noci,Putignano, Turi, Bitonto e Monopoli in provincia di Bari, Martina Franca, Mottola, Crispiano, Montemesola, Grottaglie in Provincia di Taranto; Cisternino, Villa Castelli, Ostuni, Fasano, Selva di Fasano, Ceglie Messapica e Francavilla Fontana in Provincia di Brindisi, che costituiscono la cosiddetta Murgia dei Trulli, ossia un territorio omogeneo per la diffusione dei trulli, la popolazione sparsa nelle campagne e la polverizzazione fondiaria. 

Nelle campagne circostanti a questi centri urbani negli ultimi decenni del XX secolo si è ampiamente diffusa la cultura del recupero e riuso dei manufatti antichi che connotano tale area, tanto da renderli appetibili ad un turismo stanziale ad alto livello che ha portato investitori stranieri, per lo più inglesi ad acquistare tenute di dimensioni considerevoli e spesso a trasferirvisi anche per diversi mesi all'anno. Costruzioni simili sono presenti anche nella zona costiera dell'altopiano della Murgia pugliese, a partire dai territori di Monopoli e Polignano a Mare fino all'incirca a Barletta - rimanendo lungo la costa - e fino ad addentrarsi nell'entroterra dei Comuni della Murgia Nord-occidentale (Bari); tali costruzioni più vicine al mare ed utilizzate per altri scopi, presentano evidenti particolari architettonici differenti da quelli dei trulli propriamente detti, primo fra tutti la tipologia costruttiva della volta che è centinata e non più costituita dal conoide autoportante caratteristico del Trullo.
Anche nel Nord-Barese, nella Murgia Nord-Occidentale, si rinvengono numerose costruzioni a trullo. Queste venivano soprattutto utilizzate dai pastori, come ricoveri temporanei, e dagli agricoltori come depositi di attrezzi oltre che come riparo da improvvisi eventi meteorici. Alcuni sono di fattura molto pregiata e non si esclude che in talune epoche possano aver rivestito ruoli importanti nella difesa del territorio dalle incursioni saracene, altri invece molto più semplici.

Altri tipi di trulli, detti anche "pajare", sono molto diffusi nei territori di Lizzano, Torricella, Sava e Maruggio ma un po' in tutto il Salento. Per la costruzione della tipica struttura pugliese venivano utilizzate pietre calcaree del posto, il cui utilizzo ne implicava la rimozione dai campi, laddove impedivano la coltivazione. A ciò si deve l'esistenza di numerose tipologie costruttive, le quali dipendendo molto dal tipo di pietra rinvenuta (a chianca, tondeggiante, più o meno facilmente lavorabile, ecc.), variano anche nel raggio di pochi chilometri. 

Il Trullo nasce come una tipica costruzione contadina in cui, a prescindere dalle diverse teorie sulle motivazioni storiche che hanno portato alla sua diffusione in questa particolare area che è la Valle d'Itria, il cozzaro (ovvero colui che coltivava la terra del padrone) poteva avere un giaciglio dove dormire e tenere gli attrezzi del campo. I lettini (generalmente semplici pagliericci poggiati sul pavimento) dei bambini erano collocati in alcove ricavate in nicchie, generate per gemmazione dalla muratura del trullo principale e separate da questo tramite tende, che sopperivano, dati gli spazi angusti, alla funzione delle porte.
Dal punto di vista dell'utilizzo degli spazi interni, il trullo è nato con un solo piano abitabile, quello terreno (l'unica eccezione di un trullo a due piani è il così denominato Trullo Sovrano, presumibilmente edificato nell'Ottocento a scopo di promozione turistica). Tuttavia, per un migliore utilizzo degli angusti spazi, man mano che le famiglie crescevano spesso si ricorreva alla soppalcatura di uno o più vani allo scopo di allocarvi i giacigli per i figli oppure di adibirli a ripostigli celati allo sguardo dei visitatori occasionali.

Lo spazio davvero ristretto e la poca luce proveniente da quella che spesso era l'unica apertura, l'uscio dell'ingresso, ha determinato l'adozione praticamente generalizzata di un accorgimento elementare ma efficace per dare agli ambienti profondità e luminosità allo stesso tempo: l'utilizzo di mobili dotati di almeno uno specchio (a tutt' altezza o come specchiere su credenze), collocati esattamente in posizione frontale all'entrata di ciascun trullo. Alcune travi di legno, disposte trasversalmente in alto e tuttora visibili in alcuni trulli, non hanno mai avuto funzioni strutturali ma hanno assolto piuttosto la funzione di appendere vivande, provviste, stoviglie, attrezzi, in modo tale da tenerli ben sollevati da terra, soprattutto quando il pavimento era ancora in terra battuta e veniva spesso condiviso, con grande promiscuità, da persone e animali domestici.
Si pensa che in origine i trulli fossero stati ideati in questo particolare tipo di modalità costruttiva per evadere il pagamento delle tasse sulle case. Ci sono varie teorie in proposito. Una di queste afferma che i Trulli venivano usati per comunicare mediante segnali di fumo l'arrivo di eventuali controlli; in quel caso venivano letteralmente scoperchiati, in attesa di essere ricostruiti una volta passato il pericolo. Una diceria popolare vuole che nell'approssimarsi della venuta del padrone che chiedeva il pagamento del dazio per la residenza nel terreno, ai cozzari bastasse tirare via una sola pietra per far crollare tutta la costruzione, facendo apparire il tutto come un semplice cumulo di pietre.